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LO STAMPATORE AI LETTORI.

Eoco, cortese Lettore, il volume che da noi si aggiunge a’tre

che rinchiudono la Divina Commedia colle note del P. L. e con altre che aggiunse il nuovo Editore.

ove

que

Collochiamo primieramente in fronte di esso l'effigie in buon bulino del massimo Poeta, tratto fedelmente da quella, che trovasi dipinta dal gran Raffaello nella celebre opera a fresco delle Camere Vaticane, chiamata la disputa del Sacramento, ha luogo fra Teologi, e dottori di S. Chiesa e qui appresso ne viene immediatamente il RIMARIO de' versi intieri delle tre Cantiche, che fu compilato nel 1602. da Carlo Noci, e quale fu ristampato nella pregiatissima Edizione di Giuseppe Comino nell' anno 1726. lo che, come già annunciammo nel Manifesto di sta nostra Edizione, per doppio motivo abbiamo fatto: 1.° perchè resta in tal guisa più volgarizzata la Divina Commedia, e resa comoda a coloro, che avendola un tempo letta, e volendo nuovamente ricorrere a qualche luogo di essa, ricordandosi, com'è solito, la desinenza de' versi, facilmente giungono ad appagare il desiderio loro; oltre di che la Gioventù che si diletta di poetare, troverà per questa via le più belle rime e le più genuine, non discompagnate dalle respettive frasi, per le quali agevolmente apprenderassi il buono stile del verso italiano: 2.o perchè si avrà in tal guisa l'intiero testo degli Accademici, il quale se da tutti egualmente non fu apprezzato, da niuno, per quanto ci sembra disprezzar si dovrebbe ; nè il diciam solo per la debita venerazione all' amplissimo Collegio della Crusca tanto benemerito della Lingua Toscana, ma a riguardo altresì dell' utilità di conoscere, riscontrandolo con quel del Lombardi, le varianti che da lui vi s'introdussero, se non con pari autorità, certo con ragione palesemente maggiore: onde gli eruditi e gli ammiratori di Dante, speriamo che molto pascolo ne prenderanno .

La gran questione da parecchj valent' uomini promossa e specialmente da Monsig. Bottari, non ultimo ne' fasti della Italiana Letteratura, e dal P. Ab. di Costanzo, fu cagione che il ch. Signor Abate Francesco Cancellieri nostro pubblicasse nel 1814. un Opera su tal particolare, la quale solleticando la curiosità del publico corse per le mani di molti, e la famosa visione di Alberico, che vi si conteneva non istampata per avanti, abbagliò, qualche erudito, ed il volgo trasse a dubitare dell' Originalità della divina Commedia. La qual cosa essendo a noi parsa poco men che sacrilega, studiar volemmo che rovinasse l'edifizio per la sua stessa mole, e perciò non solo la LETTERA DI MONSIG. BOTTARI, nella quale nondimeno si rivendica a Dante la primazia sopra l'Autor del Meschino, ma quella altresì del P. ABB. DI COSTANzo abbiamo ristampata, ed apresso LA VISIONE stessa di Alberico molto più corretta, a tenor del Manoscritto Alessandrino, ne collocammo; ponendo di sotto in nota tutti que'passi di Dante, che lontanamente possono esser creduti affini, come più di proposito dicemmo in fronte di essa. Ma siccome di già il ch. Caval. GIO: GHERARDO DE Rossi avea su tal soggetto conversato per doppie lettere col sullodato CANCELLIERI, ponendo in giovial derisione cotal dubbio, alle quali alle quali piegossi l'animo fin' allor fluttuante del competitore; noi le abbiamo stampate come scrivemmo più apertamente avanti di loro, e quindi a nome dell' Editore una diceria a modo di conclusione ne distendemmo, inutile, ma non grave, siccome speriamo, ai dotti; piacevole, nè superflua agli studiosi, ed alla moltitudine. La Visione di Tantalo però della quale rechiamo parecchj squarci, mentre serve al nostro argomento non ci pare che possa esser male accolta da alcuno, per la gran somiglianza che ha con quella d'Alberico, onde concludere come abbiam fatto, che le idee a que' due comuni, non che a Dante, sono de' tempi, e non frutto di plagio veruno.

Quindi, avendo veduta ben corrisposta la nostra confidenza ne' cortesi e letterati Uomini, credemmo pregio della cosa inserire aleune particolari osservazioni trasmesseci dal Sig. Luigi

Lampredi su' versi 134 e 136 del Canto XXVI del Paradiso; e parecchie altre che dalla nobil Donna Sig. Marchesa Orinzia Romagnoli Sacrati cultissima Dama ci furono consegnate del Sig. Luigi Strocchj, ardentissimo dell' Alighieri, fin da quando stampammo la cantica del Purgatorio, e che noi tenemmo in serba per arricchirne il presente volume. Nè poteaci esser data migliore occasione di questa per combattere in ristretto campo la sentenza forse troppo magistrale sulla nuova interpretazione de' vv. 37-39 del Canto dell' Inferno promulgata nella Biblioteca Italiana (T. I. p.145.), alla quale però rimandiamo con buona fiducia i lettori riguardo alla questione sopra il verso Che diedi al Rè Giovanni i ma' conforti del Canto XXVIII. dell' Inferno, contro quel che ne opinava il Sig. Ginguenè. ( Id. T. VI. p. 50. e seg. )

Scegliemmo tra le parecchie Vite di Dante che si conoscono quella scritta dal celebratissimo Tiraboschi nella sua Storia Letteraria d'Italia; e dessa ne vien corteggiata da parecchie note, altre interessanti, ed altre curiose; tra l' une o l' altre, secondo che parrà conveniente à lettori, sarà riposta quella, che tende a provar la Romana Origine di Dante, la quale ci è stata molto a cuore; su di che vogliam soltanto che eglino vadan persuasi non aver noi avuto altro in mira che la schietta verità; alla quale ricorreremo sempre, ove da qualcuno provato ci venga essercene noi allontanati.

Siegue la prima e seconda parte dell' EsAME DELLA DIVINA COMMEDIA fatto dal Cav. de Cesare Napoletano, pe' motivi che abbiamo esposto in fronte di esso desiderio di ciò fare ne fu in noi destato dagli encomj, che ne leggemmo nella Storia Letteraria d'Italia del Sig. Ginguenè. Nè era a noi incognito quel lavoro: ma trovandoci nel caso di far cosa consimile la quale facile dopo del de Cesare ci sarebbe stata, non abbiam voluto riempir furtivamente della sua messe il nostro granajo; e poichè in Italia e fuori era dessa conosciuta, e poco comune, credemmo di far cosa grata ad altrui, e non ingrata all'Autore col ristamparla.

Per non dissimile oggetto abbiam riprodotto. l' erudita lettera del D. BIANCHINI di Prato, sulla necessità che hanno i Predicatori di legger la Divina Commedia; nè però il di lei scopo

ci fu meno caro della Toscana eleganza colla quale è scritta .

Promettemmo la Bibliografia delle Edizioni di Dante, e dalle più antiche stampe fino alle ultime l'abbiam prodotta. Nè possiam tacere che se ci ha servito di guida l'Opera di Gio: Antonio Volpi, e di ajuto quella del Sig. Cav. Artaud, elegantissimo traduttore di Dante in Prosa Francese, molte edizioni dal primo non ricordate e parecchie non ben descritte, a'quali difetti zelantemente procurò di supplire il secondo, sono state da noi aggiunte, e dichiarate; apponendovi di tanto in tanto qualche nota o istorica o letteraria, sempre però semplici e frugali, come aspettar si devono da' Bibliografi, che non sono critici di partito, ma innocenti, araldi della Letteratura.

Non è nostro proposito di render conto di altre note ed ароstille messe ne' varj luoghi delle cose testè nominate, poichè servono soltanto esse a formare il nesso delle une colle altre; nè ci tratteniamo a dir altro su due Capitoli, uno di Messer BosonE d'Agobbio, l'altro creduto DEL FIGLIO DI DANTE sulla divina Commedia. Il dire, ridire in diversi modi ciò ch' ella è, ciò che in essa contiensi crediam che sia utile, se non necessario, trattandosi di cosa, che malgrado della sua oscurità dee essere volgarizzata.

L'INDICE, che recasi in fine concerne soltanto le tre Cantiche, le rispettive note del Lombardi, e quelle dell' Editore per le giunte che sono in questo volume, due altri brevi Indici siamo stati costretti a compilare dalla doppia numerazione de' fogli; rinvengonsi essi dopo il suddetto, e ne respettivi titoli indicano ambidue le principalità delle materie, alle quali risguardano . E già null' altro sù questo volume a predicar ci rimane.

Non vogliam però nascondere, esserci, allorchè trovavansi sotto il Torchio gli ultimi fogli di questa edizione, giunta notizia di cosa da esser celebrata ad onor di Roma e di Dante. Un discendente di que' generosi Pietro e Francesco Massimi, che dierono il primo asilo quì in Roma a' due Tedeschi, che fortunatamente recarono i. Tipi in Italia, onde si fecero i primi passi al felice dirozzamento del secolo, e furon divulgati dopo Lattanzio ed Agostino, il Dialogo sull' Oratore, le auree Lettere e il Trattato degli Offici di Marco Tullio, e l'Eneide, e Cesare, e Livio, e Strabone,

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