Page images
PDF
EPUB

DELL' INFERNO

CANTO PRIMO

PROEMIO

Ad intelligenza generale delle cose comprese e

distribuite nelle Cantiche dell' Allighieri, vuolsi principalmente avere un' esatta ragion del tempo nel quale ha posto la sua visione, e tener sempre distinto lo spazio, dove si rappresenta il gran dramnia, dagli avvenimenti anteriori e posteriori che la narrazion vi rapporta. Gioverà perciò, di questo cronologico ordinamento de' fatti, toccare via via negli argomenti o proemj quel tanto che, senza sopraccarico della mente, introduca il lettore alla più spedita cognizione della materia, e lo disbrighi dall' impaccio di studiare anche nelle chiose per comporsi un' immagine della scena alla quale

assiste.

In prima dunque è da sapere o da ricordare che Dante, in un libro intitolato da lui Vita nuova, perchè risguarda gli anni suoi giovanili, descrive secondo le idee platoniche gli affetti suoi per donna che lo aveva indirizzato nel cammino della sapienza e della virtù. Questa donna era Beatrice de' Portinari, concittadina del poeta; morta la quale nel 1290, pare che poco appresso egli concepisse la prima idea del suo poema, tutta con

forme a sì nobile indirizzamento, per manifestare al mondo le condizioni di quell' anima eletta e renderne la memoria immortale. Certamente non oscuro è l' indizio datone da lui medesimo nella conchiusione del mentovato libro, ove dice: Se piacere sarà di Colui, per cui tutte le cose vivono, che la mia vita per alquanto perseveri, spero dire di lei quello che mai non fu detto d' alcuna.

Ma per più anni lo frastornarono da quel disegno, anzi lo distolsero dal primo lodato cammino le dissipazioni e le cure secolaresche: del che, senza cercarne estrinsecamente altre prove, bastano per tutte all'intento nostro le manifeste dichiarazioni lasciatene da lui medesimo per entro a questo poema. Sopravvenne l'anno 1300, memorabile pel Giubileo che suscitò sì grande fervore in tutta Cristianità; nè l'anima di Dante potea rimanersi fredda ed inoperosa in quel generale commovimento. Egli, che senza dubbio esser deve il migliore spositor di sè stesso, non potè studiosamente riferire a quest' epoca la sua visione e circoscriverla a' giorni più santi e solenni, senza volerci dinotare, come effetto di quelle medesime contingenze, un rinnovamento di spirito ed una volontà risoluta di convertirsi alla contemplazione ed al conseguimento del vero bene. Ciechi ed infelici coloro che non vi sanno scorgere se non le mire d'un politico macchinatore o del settario più tenebroso! Io dico questo in riguardo all' origine ed al primario intendimento dell'opera, senza però negare che le diverse vicende, così dell'autore come dell' Italia, ne' tempi susseguenti, non contribuissero a quel vario

ed appassionato andamento che nè pur l'autore potea da principio antivedere, ma che per una meravigliosa condizione dell' animo suo, anche fra gli urti e la violenza degli umani interessi, ebbe a riuscire nel fine spirituale e sublime ch'egli si era, all' incominciare, proposto.

Dopo queste necessarie premesse, tornerà facile intendere che la selva, di cui parla Dante nell' introduzione del suo poema, non è, per rispetto alla sua persona, che la vita da lui passata nel decennio dal 1290 al 1300, anno che dell' età sua rispondeva al trigesimoquinto. Così naturalmente apparisce che il monte è lo stesso fine virtuoso e celeste al quale intendeva prima del suo smarrimento; e che le tre fiere, scontrate al cominciare della salita, simboleggiano i tre principali vizj che opponeva il secolo alla immediata sua conversione da quella vita ad una migliore; onde non gli fu dato operare questo passaggio se non cogli ajuti della grazia superiore, e mediante la meditazione delle sorti serbate all' uomo nella vita a venire. Abbiam detto in generale i vizj del secolo o della corrotta natura, perchè si vuole eziandio tener presente che Dante pone sè in forma comune d'uomo inchinato alle sensualitadi di questo mondo, come notava l'antico spositore contemporaneo e familiare del poeta, e fu similmente avvertito dall' altro vecchio comentatore, creduto figlio dello stesso poeta, dicendo: Loquens in persona sua, ut in persona ceterorum.

Ma Dante non poteva ulteriormente adombrare in que' simboli le circostanze della sua vita civile? Osserviamo, in ordine a questo particolare, com' ei

si trovasse all' epoca sovraccennata. I Guelfi, che da più anni tenevano la signoría di Firenze, cominciavano allora a dividersi nelle fazioni de' Bianchi e de' Neri, rappresentate dalle potenti case di Vieri de' Cerchi e di Corso Donati. Dante era nel novero de' priori eletti, secondo gli ordini già statuiti, a governar la repubblica, e stava aspettando il bimestre designato al suo reggimento, che fu poscia, senza ostacolo, da lui assunto a mezzo il mese di giugno, e sostenuto medesimamente fino al termine stabilito. Ora, figurare nella prima delle tre belve il popolo fiorentino, nella seconda i Reali di Francia e principalmente Carlo di Valois, nella terza la parte Guelfa, come avversarj presenti del poeta al principio d' aprile, par che torni contrario a quella coordinazione de' tempi e de' fatti che da lui diciamo sì costantemente osservata. Si può tuttavía conciliare la discordanza concedendo ch' egli intendesse, quanto a Firenze, i tanti impacci che gli davano i pubblici negozj e le brighe cittadinesche anche prima del priorato, e quanto alla casa di Francia ed alla parte Guelfa, i maneggi ed i preparativi politici che già lo mettevano in pericolo ed in sospetto di sua caduta e ruina. Tanto basti, senza fantasticare di più come s' accordi realmente con quel termine disgraziato lo scampo dalle fiere, che l'autore qui ci descrive portentosamente

ottenuto.

Il presagio del Veltro, uccisor della Lupa, è verisimilmente un tratto aggiunto dal poeta, quando in tempo di sua disgrazia gli conveniva magnificare la generosità di un suo principal protettore, e

dicasi ben anche d' uno sperato sterminatore della parte guelfa, alla quale era stato pur ligio lo stesso Dante, prima che sdegno e vendetta lo traesse a parteggiare sì focosamente coi Ghibellini. Non è qui luogo a discutere le sentenze di chiari ingegni che, nel raffigurar la persona intesa per questo Veltro, si dividono fra Can grande Scaligero ed Uguccione della Faggiola, ambidue fieri avversarj e persecutori della parte Guelfa, e tali nel concetto de' Ghibellini da non lasciar parere troppo stravagante ed esagerata la predizione che avrebbero cacciati i loro antagonisti per ogni villa o città, fino ad esterminarli compiutamente. L'inclinare piuttosto all' uno che all' altro, od anche ad un terzo men determinato soggetto, non altera uu filo dell' orditura poetica.

In Virgilio, della cui mente s'ebbe un tempo tale idea che passava ogni termine, è personificata la pienezza della scienza umana, non abbandonata al solo ingegno naturale, ma subordinata ad una ragion superiore; il che non parrà strano, quando si rifletta alla condizion presente nella quale è figurato Virgilio stesso. Tanto fu sagacemente avvertito da Lodovico Castelvetro, contraddicendo in questi termini ad una dichiarazione di Cristoforo Landino: «Par da considerare che non è vero che << la dottrina de' gentili basti allo Inferno ed al << Purgatorio; e si vede per prova, e per lo me<< desimo Dante il proveremo. Par che dunque Vir«gilio eccellentissimo fra' poeti (essendo la poesía << comprensione di tutte le scienze ed eccellentis<«<sima fra le cose mondane) si ponga per tutto

« PreviousContinue »