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Poichè Nerone fu morto, Galba, Ottone, Pisone, Vítellio, gli uni imperadori di pochi di, gli altri di poche settimane, e Vespasiano ad ultimo, occuparon tumultuariamente la casa de' Cesari, e parvero, al cospetto di Roma e del mondo, rappresentare una farsa sanguinosa d'innalzamenti e cadute, di proscrizioni ed eceidii, d'atroci battaglie (scrive Tacito), discordia di parti, crudeltà nella stessa pace; quattro imperadori morti di ferro; tre guerre civili; molte più straniere; prosperità in Levante; avversità in Ponente; travagli nell' Illirio; le Gallie vacillanti; la Britannia conquistata e tosto perduta; genti sarmate e sveve sollevate; la Dacia rinomata per date e tocche sconfitte; Italia per novi, e dopo lunghi anni ritornati guai, afflitta; inghiottite e rovinate città della Terra di Lavoro; Roma da fuoco guasta, templi antichissimi distrutti; e il Campidoglio stesso arso per mano di cittadini; grandi adulterii; isole ripiene di confinati; scogli di sangue tinti; atrocità crudelissime in Roma; nobiltà, ricchezza, rifiutati od esercitati onori apposti a delitto; la virtù rovina certissima; i premii delle spie, abbominevoli quanto i delitti, riportatone chi sacerdozi e consolati, quasi spoglie opime; schiavi e liberti corrotti contro a' padroni, e chi non avea nemici oppresso dagli amici... e tutto ciò nel corso di sedici mesi! >>

Attiepiditesi ne'romani petti le passioni politiche, lo sperimento fatto di padroni forniti qual di vizi mostruosi, qual d' intempestive virtù, e, per tutto dire in una parola, il militare despotismo, la peggiore delle tirannidi perchè sancisce il regno della forza brutale;

tutto ciò contribuiva a far si che lo sdegnarsi a' giorni di Domiziano contro Nerone fu cosa che non corse in mente a veruno: oltrechè da Augusto in poi il gran duello politico, combattuto dianzi tra il popolo e l'aristocrazia, ayea cambiato natura, attori, stanza; trasportato dal foro al palagio, tra Cesare da una parté, possessore inquieto di precaria podestà, circondato di liberti e delatori, imperador di ventura, di cui la moltitudine tutto ignorava, tranne il nome e i delitti; e tra'duci delle legioni dall'altra parte, i quai dall' ambizione di regno poteano facilmente trovarsi aggirati, ogni qual volta un ardito centurione, per diventar tribuno, loro gettava sulle spalle un manto di porpora; tra il competitore coronato, e quel che aspirava ad esserlo, il duello compievasi in mezzo all' indifferenza universale: pochi illustri per nascita, per meriti parteggiavano a favore dell' una o dell'altra di coteste legittimità di fortuna, per tema d'indugiar troppo ad abbandonare l'antica, o d'affrettarsi troppo a corteggiare la nuova: per la gran massa del popolo a cui per natali e per cuore appartengono i poeti, i vizi e le virtù dell'imperante, ed in particolare de' morti, non potevano fornir materia nè a caldi risentimenti, ně a vive simpatie: per quella massa Nerone spento era un imperadore come un altro, un personaggio cronologico che serviva di separazione tra Claudio e Galba. Gli amadori de'bagni, ed eran molti, diceano con Marziale, facendosi ugner la persona dalle schiave delle terme Quid Nerone pejus! Quid thermis melius Neronianis! mitis

simo rimbrotto, da cui trasparisce più gratitudine per

le terme, che indegnazione contro il loro fondatore; arroge che doveva dispiacere a Domiziano vedersi adulato da' suoi poeti a spese di Nerone; perciocchè vi ha un limite, oltre a cui la critica d'un cattivo principe morto può assai facilmente non esser più l'elogio d'un cattivo principe vivo.

E in adulare Domiziano per buscarne favori, oro, perfino pane, niuno fu più intrepido, più importuno di Marziale. Che cosa dic' egli di voler conseguire? Un campicello da coltivare; vivere sciolto da cure penose, cacciando, pescando, moltiplicando le sue api; aversi una bella fantesca che gl'imbandisca la mensa di cibi semplici, abbondanti; scaldarsi con legne non compre (le legna doveano costare assai in Roma): ecco i voti emessi dal poeta; ma noi non gli crediamo: far pompa di moderazione è arte antica nel regno d' Apollo; e di fatti qui domanda Marziale al suo Giove (Domiziano) molte migliaia di sesterzi; là aspira all'onore del banchetto imperiale.« S'io fossi invitato contemporaneamente da Giove e da Cesare, e che ciascun d'essi mì chiamasse al proprio Olimpo, ancor che il cielo fosse più presso, e l'imperial palagió più discosto, farei risposta agli Dei: Cercatevi un altro commensale pel vostro Giove; il mio trattienmi in terra e ci resto». (Lib. rx, ep. 92 ).

Nè ci sorprenda veder cotesto poeta accattone iscrivere ne' suoi versi non solo i benefizi ricevuti, ma ben anco i rifiuti frequenti che la sua indiscrezione gli attira: il mestier di poeta oh quanto era spinoso a quei giorni! Piacea vivere da uom abituato a tutte le vo

luttà, lo che è dire con bisogni sproporzionati a'redditi della professione. Fuor di Corte non vi avean guadagni: conveniva viver ligi alla Corte, aggiogarvisi, s'era uopo, alla lettica d'un eunuco in favore, sotto pena di patir di fame. Il poeta non potea sognarsi nemmanco di trovare un pubblico fuori del breve circolo de' privilegiati: quando Marziale si yanta d'essere letto appo i Geti, intende dire da qualche centurione, da qualche tribuno ivi stanziato a guarnigione: lentissima, costosissima era la trascrizione dei manoscritti, e ben pochi esemplari se ne smaltivano, pressochè niuno a profitto dell'autore era dunque giocoforza buscarsi il pane adulando; e Quintiliano, che loda Domiziano con due o tre frasi, dice in quelle più forse che Marziale in cento epigrammi. Non vi avea alternativa nella Roma imperiale: far l'avvocato, il banditor pubblico, anco il ciabattino, e rimaner indipendente; o far il poeta, e adulare Cesare e i Grandi. Marziale anço a tal patto volle restare poeta: nè sempre adulatore basso; spesso anco gentilmente ispirato da generosi affetti. Era buon amico, qualità raça in tempi del più sfacciato egoismo. « Ciò che si dà agli amici è il solo bene che non vada perduto » (Extra fortunam est quidquid donatur amicis): tuttochè povero, e ben più in caso di ricevere che di donare, le soddisfazioni della beneficenza gli eran care, e le assaporava: «Io amo le tue calende di aprile, o Quinto, quanto le mie di marzo; giorni ugualmente avventurati, de' quali uno mi diè la vita, l'altro un amico: e le tue calende hannomi dato anco più delle mie! » Ecco idea che non può scaturire che da un cuor buon

l'uom dabbene addoppia gli anni del viver suo; conciossiachè gli è vivere due volte, poter godere anco il passato. (Ampliat aetatis spatium sibi vir bonus; hoc est Vivere bis, vita posse priore frui).

« La mia pagina (scrive Marziale) non è sempre casta; ma la mia vita è proba ». In città ove le statue di Priapo contaminavano gli atrii de' palagi, i vestiboli de' templi; ove nelle feste di Flora vedevansi correre per via scapigliate, non vili cortigiane, ma matrone di chiaro sangue; ove le attrici dispogliavansi sulle scene dell'ultimo lor vestimento al grido degli spettatori dispogliatevi! —in Roma quale avevanla fatta Caligola e Nerone, le oscenità di Marziale, che ci fanno oggidì nauseati e stupiti, erano lieve cosa; e l'impudente poeta osà dire che i suoi versi possono esser letti anco dalle vergini e dai garzoni....

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La società romana ha già cominciata la sua lenta ignobile agonia: le virtù del passato muoiono ad una ad una; nè l'avvenire sa loro sostituirne di nuove. I retori parlano omai soli della Città Eterna; Nerone provvide alla sua durata, incendiandola per riedificarla, meglio de' buoni principi, che di buone leggi dotaronla ; giacchè le buone leggi sono inefficaci sovra una società che si discioglie, mentre nuove case, e meglio ancor nuove mura, sapranno almeno ritardare il ferro e il fuoco de' barbari. Ogni credenza era spenta; ed ecco perchè le cerimonie della religione non furono mai più pompose, e il capo dell'impero assumea titolo di Pontefice Massimo. Gli onori apparteneano per dritto agli opulenti, ai patrizi, ai delatori, subdola genia,

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