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ORLANDO FURIOSO FURIOSO

1

GANTO PRIMO

ARGOMENTO

Segue Rinaldo il suo destrier Bajardo,
Ed Angelica incontra, che fuggia:
Seco s'azzuffa Ferraù gagliardo,
Poi torna al fonte ov' era giunto pria.
Conosce Sacripante agli atti, al guardo
La bella donna, e gli si mostra pia.
Rinaldo intanto sopraggiunge ratto;
Da lunge grida, e lo disturba affatto.

Le donne, i cavalier, l'arme, gli amori,
Le cortesie, l'audaci imprese io canto,
Che furo al tempo che passaro i Mori

D' Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
Seguendo l'ire e i giovenil furori
D'Agramante lor re, che si die vanto
Di vendicar la morte di Trojano
Sopra re Carlo imperator romano.

2 Dirò d' Orlando in un medesmo tratto
Cosa non detta in prosa mai, ne in rima;
Che per amor venne in furore e matto,
D'uom che si saggio era stimato prima:
Se da colei, che tal quasi m' ha fatto,
Che' poco ingegno ad or ad or mi lima,
Me ne sarà pero tanto concesso,

Che mi basti a finir quanto ho promesso. 3 Piacciavi, generosa Erculea Prole,

Ornamento e splendor del secol nostro,
Ippolito, aggradir questo che vuole
E darvi sol puo l'umil servo vostro.
Quel ch' io vi debbo, posso di parole
Pagare in parte e d'opera d'inchiostro:
Ne che poco io vi dia da imputar sono,
Che quanto io posso dar, tutto vi dono.
4 Voi sentirete fra i più degni eroi,

Che nominar con laude m'apparecchio,
Ricordar quel Ruggier che fu di voi
E de' vostri avi illustri il ceppo vecchio.
L'alto valore e' chiari gesti suoi
Vi faro udir, se voi mi date orecchio,
E vostri alti pensier cedino un poco
Si, che tra lor miei versi abbiano loco.
5 Orlando, che gran tempo innamorato
Fu della bella Angelica, e per lei
In India, in Media, in Tartaria lasciato
Avea infiniti ed immortal trofei,
In Ponente con essa era tornato,
Dove sotto i gran monti Pirenei
Con la gente di Francia e di Lamagna
Re Carlo era attendato alla campagna,

6 Per fare al re Marsilio e al re Agramante
Battersi ancor del folle ardir la guancia,
D'aver condotto l'un, d'Africa quante
Genti erano atte a portar spada e lancia;
L'altro, d'aver spinta la Spagna innante
A destruzion del bel regno di Francia.
E cosi Orlando arrivò quivi appunto:
Ma tosto si penti d'esservi giunto:

7 Chè vi fu tolta la sua donna poi:
Ecco il giudicio uman come spesso erra!
Quella che dagli esperj ai liti eoi
Avea difesa con si lunga guerra,
Or tolta gli è fra tanti amici suoi,
Senza spada adoprar, nella sua terra:
Il savio imperator, ch' estinguer volse
Un grave incendio, fu che gli la tolse.
8 Nata pochi di innanzi era una gara
Tra il conte Orlando e 'l suo cugin Rinaldo;
Che ambi avean per la bellezza rara
D'amoroso disio l'animo caldo.
Carlo, che non avea tal lite cara,
Che gli rendea l'aiuto lor men saldo,
Questa donzella, che la causa n'era,
Tolse, e die in mano al duca di Baviera;
9 In premio promettendola a quel d'essi
Che in quel conflitto, in quella gran giornata,
Degl' Infedeli più copia uccidessi,

E di sua man prestasse opra più grata.
Contrarj ai voti poi furo i successi;
Ch'in fuga andò la gente battezzata,
E con molti altri fu 'l duca prigione,
E restò abbandonato il padiglione.
10 Dove, poichè rimase la douzella

Ch'esser dovea del vincitor mercede,
Innanzi al caso era salita in sella,
E quando bisogno le spalle diede,
Presaga che quel giorno esser rubella
Dovea fortuna alla cristiana fede:
Entro in un bosco, e nella stretta via
Rincontro un cavalier ch'a piè venía.

11 Indosso la corazza, l'elmo in testa,
La spada al fianco, in braccio avea lo scudo;
E più leggier correa per la foresta,
Chal pallio rosso il villan mezzo ignudo.
Timida pastorella mai si presta

Non volse piede innanzi a serpe crudo,
Come Angelica tosto il freno torse,

Che del guerrier, ch' a piè venia, s'accorse. 12 Era costui quel paladin gagliardo,

Figliuol d'Amon, signor di Montalbano,
A cui pur dianzi il suo destrier Bajardo
Per strano caso uscito era di mano.
Come alla donna egli drizzò lo sguardo,
Riconobbe, quantunque di lontano,
L'angelico sembiante e quel bel volto
Ch' all' amorose reti il tenea involto.

per

13 La donna il palafreno addietro volta,
E la selva a tutta briglia il caccia,
Ne per la rara più che per la folta,
La più sicura e miglior via procaccia:
Ma pallida, tremando, e di sè tolta,
Lascia cura al destrier che la via faccia.
Di sù, di giù nell' alta selva fiera
Tanto girò, che venne a una riviera.

14 Sulla riviera Ferraù trovosse
'Di sudor pieno, e tutto polveroso.
Dalla battaglia dianzi lo rimosse
Un gran disio di bere e di riposo:
E poi, mal grado suo, quivi fermosse;
Perchè, dell'acqua ingordo e frettoloso,
L'elmo nel fiume si lasciò cadere,
Ne l'avea potuto anco riavere.
15 Quanto potea più forte, ne veniva
Gridando la donzella ispaventata.
A quella voce salta in sulla riva
Il Saracino, e nel viso la guata;
E la conosce subito ch'arriva,
Benchè di timor pallida e turbata,
E sien più di che non n'udi novella,
Che senza dubbio ell' è Angelica bella.
16 E perchè era cortese, e n' avea forse
Non men dei dui cugini il petto caldo,
L'aiuto che potea, tutto le porse,
Pur come avesse l'elmo, ardito e baldo:
Trasse la spada, e minacciando corse
Dove poco di lui temea Rinaldo.
Più volte s'eran già non pur veduti,
Ma al paragon dell' arme conosciuti.
17 Cominciar quivi una crudel battaglia,
Come a pie si trovar, coi brandi ignudi:
Non che le piastre e la minuta maglia,
Ma ai colpi lor non reggerian l'incudi.
Or, mentre l'un coll' altro si travaglia,
Bisogna al palafren che 'l passo studi;
Chè, quanto può menar delle calcagna,
Colei lo caccia al bosco e alla campagna.
18 Poichè s' affaticar gran pezzo in vano
I due guerrier per por l'un l'altro sotto;
Quando non meno era coll' arme in mano
Questo di quel, nè quel di questo dotto;
Fu primiero il signor di Montalbano,
Che al cavalier di Spagna fece motto,
Si come quel ch'ha nel cor tanto foco,
Che tutto n' arde e non ritrova loco.

19 Disse al Pagan: Me sol creduto avrai,
E pur avrai te meco ancora offeso:
Se questo avvien perchè i fulgenti rai
Del nuovo Sol t'abbiano il petto acceso,
Di farmi qui tardar che guadagno hai?
Che quando ancor tu m'abbi morto o preso,
Non però tua la bella donna fia;
Che, mentre noi tardiam, se ne va via.
20 Quanto fia meglio, amandola tu ancora,
Che tu le venga a traversar la strada,
A ritenerla e farle far dimora,
Prima che più lontana se ne vada!
Come l'avremo in potestate, allora
Di chi esser de' si provi colla spada.
Non so altrimente, dopo un lungo affanno,
Che possa riuscirci altro che danno.
21 Al Pagan la proposta non dispiacque:
Cosi fu differita la tenzone;

E tal tregua tra lor subito nacque,
Si l'odio e l' ira va in obblivione,
Chè 'l Pagano al partir dalle fresche acque
Non lasciò a piedi il buon figliuol d'Amone,
Con preghi invita, ed al fin lo toglie in groppa,
E per l'orme d' Angelica galoppa.
22 Oh gran bontà de' cavalieri antiqui!
Eran rivali, eran di fe diversi,
E si sentian degli aspri colpi iniqui
Per tutta la persona anco dolersi;
E pur per selve oscure e calli obliqui
Insieme van senza sospetto aversi.

Da quattro sproni il destrier punto, arriva
Dove una strada in due si dipartiva.

23 E come quei che non sapean se l' una
O l'altra via facesse la donzella,
(Perocchè senza differenzia alcuna
Apparia in amendue l'orma novella)
Si messero ad arbitrio di fortuna,
Rinaldo a questa, il Saracino a quella:
Pel bosco Ferraù molto s'avvolse,
E ritrovossi al fine onde si tolse.

24 Pur si ritrova ancor sulla riviera,

Là dove l' elmo gli cascò nell' onde.
Poichè la donna ritrovar non spera,
Per aver l' elmo che 'l fiume gli asconde,
In quella parte, onde caduto gli era,
Discende nell' estreme umide sponde:
Ma quello era si fitto nella sabbia,
Che molto avrà da far prima che l'abbia.
25 Con un gran ramo d'albero rimondo,
Di che avea fatto una pertica lunga,
Tenta il fiume e ricerca sino al fondo,
Ne loco lascia ove non balta e punga
Mentre colla maggior stizza del mondo
Tanto l'indugio suo quivi prolunga,
Vede di mezzo il fiume un cavaliero
Insino al petto uscir, d'aspetto fiero.
26 Era, fuorchè la testa, tutto armato,
Ed avea un elmo nella destra mano;
Avea il medesimo elmo che cercato
Da Ferraù fu lungamente invano.
A Ferraù parlò come adirato,

E disse: Ah mancator di fe, marrano!
Perchè di lasciar l'elmo anche t'aggrevi,
Che render già gran tempo mi dovevì ?

27 Ricordati, Pagan, quando uccidesti
D' Angelica il fratel, che sou quell' io;
Dietro all' altre arme tu mi promettesti
Fra pochi di gittar l'elmo nel rio.
Or se fortuna, quel che non volesti
Far tu, pone ad effetto il voler mio,
Non ti turbar; e se turbar ti dei,
Turbati, che di fe mancato sei.

28 Ma se desir pur hai d'un elmo fino,
Trovane un altro, ed abbil con più onore;
Un tal ne porta Orlando paladino,
Un tal Rinaldo, e forse anco migliore:
L'un fu d' Almonte, e l'altro di Mambrino:
Acquista un di quei dui col tuo valore;
E questo, c'hai già di lasciarmi detto,
Farai bene a lasciarmelo in effetto.
29 All' apparir che fece all' improvviso
Dell' acqua l'ombra, ogni pelo arricciosse,
E scolorosse al Saracino il viso;
per uscir, fermosse.

La voce,

ch'era

Udendo poi dall' Argalia, ch' ucciso
Quivi avea già, (che l' Argalia nomosse)
La rotta fede cosi improverarse,

Di scorno e d'ira dentro e di fuor arse.

30 Ne tempo avendo a pensar altra scusa,
E conoscendo ben che 'l ver gli disse,
Resto senza risposta a bocca chiusa ;
Ma la vergogna il cor si gli trafisse,
Che giuro per la vita di Lanfusa
Non voler mai ch'altro elmo lo coprisse,
Se non quel buono che già in Aspramonte
Trasse del capo Orlando al fiero Almonte.
31 E servò meglio questo giuramento,

Che non avea quell' altro fatto prima.
Quindi si parte tanto mal contento,
Che molti giorni poi si rode e lima.
Sol di cercare è il paladino intento
Di qua, di là, dove trovarlo stima.
Altra ventura al buon Rinaldo accade,
Che da costui tenea diverse strade.
32 Non molto va Rinaldo, che si vede

Saltare innanzi il suo destrier feroce :
Ferma, Bajardo mio, deh ferma il piede!
Chè l'esser senza te troppo mi nuoce.
Per questo il destrier sordo a lui non riede,
Anzi più se ne va sempre veloce.
Segue Rinaldo, e d'ira si distrugge:
Ma seguitiamo Angelica che fugge.
33 Fugge tra selve spaventose e scure,
Per lochi inabitati, ermi e selvaggi.
Il mover delle frondi e di verzure,
Che di cerri sentia, d'olmi e di faggi,
Fatto le avea con subite paure
Trovar di qua e di là strani viaggi;
Che ad ogni ombra veduta o in monte o in valle,
Temea Rinaldo aver sempre alle spalle.

34 Qual pargoletta o damma o capriola
Che tra le fronde del natio boschetto
Alla madre veduta abbia la gola
Stringer dal pardo, e aprirle fianco o 'l petto,
Di selva in selva dal crudel s'invola,
E di paura trema e di sospetto,
Ad ogni sterpo che passando tocca,
Esser si crede all' empia fera in bocca.

35 Quel di e la notte e mezzo l' altro giorno
S'ando aggirando, e non sapeva dove:
Trovossi al fin in un boschetto adorno,
Che lievemente la fresca aura move.
Dui chiari rivi mormorando intorno,
Sempre l'erbe vi fan tenere e nove;
E rendea ad ascoltar dolce concento,
Rotto tra picciol sassi, il correr lento.
36 Quivi parendo a lei d'esser sicura
E lontana a Rinaldo mille miglia,
Dalla via stanca e dall' estiva arsura,
Di riposare alquanto si consiglia.
Tra fiori smonta, e lascia alla pastura
Andare il palafren senza la briglia ;

E quel va errando intorno alle chiare onde,
Che di fresca erba avean piene le sponde.
37 Ecco non lungi un bel cespuglio vede
Di spin fioriti e di vermiglie rose,
Che delle liquide onde al specchio siede,
Chiuso dal Sol fra l'alte querce ombrose;
Cosi voto nel mezzo, che concede
Fresca stanza fra l'ombre più nascose:
E la foglia coi rami in modo è mista,
Che 'l Sol non v' entra, non che minor vista.
38 Dentro letto vi fan tenere erbette,

Ch' invitano a posar chi s'appresenta. La bella donna in mezzo a quel si mette; Ivi si corca, ed ivi s'addormenta. Ma non per lungo spazio così stette, Ch' un calpestio le par che venir senta. Cheta si leva, e appresso alla rivera Vede ch'armato un cavalier giunt' era. 39 S'egli è amico o nemico non comprende: Tema e speranza il dubbio cor le scuote; E di quella avventura il fine attende, Ne pur d'un sol sospir l'aria percuote. Il cavaliero in riva al fiume scende Sopra l'un braccio a riposar le gote; Ed in un gran pensier tanto penétra, Che par cangiato in insensibil pietra. jo Pensoso più d'un'ora a capo basso Stette, Signore, il cavalier dolente; Poi cominciò con suono afflitto e lasso A lamentarsi si soavemente,

Che avrebbe di pietà spezzato un sasso,
Una tigre crudel fatta clemente:
Sospirando piangea, tal ch' un ruscello
Parean le guance, e 'l petto un Mongibello.
41 Pensier (dicea) che 'l cor m'agghiacci ed ardi,
E causi 'l duol che sempre il rode e lima,
Che debbo far, poi ch' io son giunto tardi.
E ch'altri a corre il frutto è andato prima?
Appena avuto io n'ho parole e sguardi,
Ed altri n' ha tutta la spoglia opima.
Se non ne tocca a me frutto nè fiore,
Perchè affligger per lei mi vo' più il cuore?
42 La verginella è simile alla rosa,

Ch' in bel giardin su la nativa spina
Mentre sola e sicura si riposa,
Ne gregge ne pastor se le avvicina;
L'aura soave e l'alba rugiadosa,
L'acqua, la terra al suo favor s'inchina:
Giovani vaghi e donne innamorate

Amano averne e seni e tempie ornate;

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