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schiera della Tosa, Baldinaccio Adimari, Naldo di Messer Lottino Gherardini, ed altri. Questo diede gravezza assai a Dante, e contuttochè lui si scusi, come uomosenza Parte, nientedimanco fu riputato, che pendesse in Parte Bianca, e che gli dispiacesse il Consiglio tenuto in Santa Trinita di chiamar Carlo di Valois a Firenze, come materia di scandolo e di guai alla Città: e accrebbe l'invidia, perchè quella parte di Cittadini, che fu confinata a Serezzana,subito ritornò a Firenze; l'altra ch' era confinata a Castello della Pieve, si rimase di fuori. A questo risponde Dante, che quando quelli da Serezzana furono rivocati, esso era fuori dell'ufficio del Priorato, e che a lui non si debba imputare. Più dice, che la ritornata loro fu per l'infirmita e morte di Guido Cavalcanti, il quale ammalò a Serezzana per l'aere cattiva, e poco appresso mori. Questa disagguaglianza mosse il Papa a mandar Carlo a Firenze,il quale essendo per riveren za del Papa e della Casa di Francia onorevolmente ricevuto nella Città, di subito rimise dentro i Cittadini confinati; e appresso cacciò la Parte Bianca. La cagione fu per rivelazione di certo trattato fatto per Messer Pietro Ferranti suo Barone, il quale disse essere stato richiesto da tre Gentiluomini della Parte Bianca, cioè da Naldo di Messer Lottino Gherardini,da Baschiera della Tosa, e da Baldinaccio Adimari, di adoperar si con Messer Carlo di Valois, che la loro parte rimanesse superiore nella Terra: e che gli aveano promesso di dargli Prato in Governo, se facesse questo e produsse la scrittura di questa richiesta e promessa co'suggelli di costoro. La quale scrittura originale io ho veduta, perocchè ancor oggi è in Palagio con altre scritture pubbliche; ma quanto a me, ella mi pare forse sospetta, e credo certo, ch'ella sia fittizia. Pure quello che si fusse, la cacciata seguitò di tutta la Parte Biança, mostrando Carlo grande sdegno di questa richie

sta e promessa da loro fatta. Dante in questo tempo non era in Firenze, ma era a Roma, mandato poco avanti Ambasciadore al Papa, per offerire la concordia e la pace de'Cittadini; nondimanco per isdegno di coloro,che nel suo Priorato confinati furono della parte Nera, gli fu corso a casa, e rubata ogni sua cosa, e dato il guasto alle sue possessioni; e alui, e a Messer Palmieri Altoviti dato bando della persona, per contumacia di non comparire, non per verità d'alcun falle commesso. La via del dar bando fu questa; che legge fecero iniqua e perversa, la quale si guardava in dietro, che il Podestà di Firenze potesse e dovesse conosce re i falli commessi per l'addietro nell'ufficio del Priora◄ to, contuttochè assoluzione fusse seguita. Per questa legge citato Dante per Messer Conte de'Gabbrielli allora Podestà di Firenze, essendo assente, e non comparendo, fu condannato, e sbandito, e pubblicati i suoi be ni, contuttochè prima rubati e guasti. Abbiamo detto, come passò la cacciata di Dante,e perchè cagione e perchè modo: ora diremo qual fusse la vita sua nell'esilio. Sentita Dante la sua ruina, subito partì di Roma,dove era Ambasciadore, e camminando con gran celerità ne venne a Siena. Quivi intesa più chiaramente la sua calamità, non vedendo alcur, riparo, deliberò accozzarsi con gli altri Usciti, e il primo accozzamento fu in una congregazione degli Usciti, la quale si fe' a Gorganza, dove trattate molte cose, finalmente fermarono la sedia loro ad Arezzo, e quivi ferono campo grosso, e crearono loro Capitano il Conte Alessandro da Romena; feron dodici Consiglieri, del numero de'quali fu Dante e di speranza in speranza stettero infino all'anno milletrecentoquattro; e allora fatto sforzo grandissimo d'ogni loro amistà, ne vennero per rientrare in Firenze con grandissima moltitudine, la quale non solamente da Arezzo, ma da Bologna, e da Pistoja con loro si congiunse, e giugnendo improvvisi subito presero una porta di Firenze, e

vinsero parte della Terra; ma finalmente bisognò se n'andassero senza frutto alcuno. Fallita dunque questa tanta speranza, non parendo a Dante più da perder tempo, parti d'Arezzo, e andossene a Verona, dove ricevuto molto cortesemente da'Signori della Scala, con loro fece dimora alcun tempo; e ridussesi tutto a umiltà, cercando con buone opere e con buoni portamenti riacquistare la grazia di poter tornare in Firenze per ispontanea rivocazione di chi reggeva la Terra; e sopra questa parte s'affaticò assai, e scrisse più volte non solamente a'particolari Cittadini del Reggimento, ma ancora al popolo; e intra l'altre un' Epistola assai lunga, che incomincia: popule mee,quid feci tibi? Essendo in questa speranza di ritornare per via di perdono, sopravvenne l'elezione di Arrigo di Luzinburgo Imperadore, per la cui elezione prima, e poi la passata sua, essendo tutta Italia sollevata in speranza di grandissime novità, Dante non potè tenere il proposito suo dell'aspettare grazia, ma levatosi coll'animo altiero; cominciò a dir male di quelli, che reggevano la Terra, appellandoli scellerati e cattivi, e minacciando loro la debita vendetta per la potenza dell'Imperadore; contro la quale, diceva esser manifesto, ch'essi non avrebbon potuto avere scampo alcuno. Pure li tenne tanto la riverenza della Patria,che venendo l'Imperatore contro a Firenze, e ponendosi a campo presso alla Porta, non vi volle essere, secondo lui scrive, contuttochè confortatore fosse stato di sua venuta. Morto poi l'Imperador Arrigo, il quale nella seguente state morì a Buonconvento, ogni speranza al tutto fu perduta da Dante: perocchè di grazia lui medesimo si avea tolto la via per lo sparlare e scrivere contro a'Cittadini, che governavano la Repubblica; e forza non ci restava, per la quale più sperar potesse. Sicchè deposta ogni speranza, povero assai trapassò il resto della sua vita, dimorando in va

rj luoghi per Lombardia, per Toscana ; e per Romagna, sotto il sussidio di varj Signori; per infino che finalmente si ridusse a Ravenna, dove finì sua vita. Poichè detto abbiamo degli affanni suoi pubblici, ed in questa parte mostrato il corso di sua vita; diremo ora del suo stato domestico, e de'suoi costuni, e studj. Dante innanzi la cacciata sua di Firenze, contuttochè di grandissima ricchezza non fusse, nientedimeno non fu povero, ma ebbe patrimonio mediocre, sufficiente al vivere onoratamente . Ebbe un fratello chiamato Francesco Alighieri; ebbe moglie, come di sopra dicemmo, e più figliuoli, de'quali resta ancor oggi successione,e stirpe, come di sotto faremo menzione. Case in Firenze ebbe assai decenti, congiunte con le case di Geri di Messer Bello suo consorto: possessioni in Camerata, e nella Piacentina, e in Piano di Ripoli:suppellettile abbondante e preziosa, secondo lui scrive. Fu uomo molto pulito, di statura decente, e di grato aspetto, e pieno di gravità: parlatore rado, e tardo, ma nelle sue risposte molto sottile. L'effige sua propria si vede nella Chiesa di Santa Croce, quasi al mezzo della Chiesa, dalla mano sinistra andando verso l'altar maggiore, e ritratta alnaturale ottimamente per dipintor perfetto di quel tempo. Dilettossi di musica, e di suoni; e di sua mano egregiamente disegnava. Fu ancora scrittore perfetto, ed era la lettera sua magra, e lunga, e molto corretta, secondo io ho veduto in alcune pistole di sua propria mano scritte. Fu usante in giovanezza sua con giovani innamorati; e lui ancora di simile passione occupato,non per libidine, ma per gentilezza di cuore; e ne'suoi teneri anni versi d'amore a scrivere cominciò, come vedere si può in una sua Operetta vulgare, che si chiama Vita Nuova. Lo studio suo principale fu Poesia ; non sterile, nè povera, nè fantastica, ma fecondata, e irricchita, e stabilita da vera scienza, e

da molte discipline. E per dare ad intendere meglio a chi legge, dico, che in due modi diviene alcuno Poeta. Un modo si è, per ingegno proprio, agitato, e commosso da alcun vigore interno e nascoso, il quale si chiama furore, e occupazione di mente. Dirò una similitudine di quello, che io vo'dire. Il Beato Francesco, non per iscienza, nè per disciplina scolastica, ma per occupazione e astrazione di mente si forte applicava l'animo suo a Dio, che quasi si trasfigurava oltre al senso umano, e conosceva d'Iddio più, che nè per istudio, nè per lettere conoscono i Teologi. Così nella Poesia, alcuno per interna agitazione,e applicazione di mente Poeta diviene : e questa si è la somma e la più perfetta spezie di Poesia; onde alcuni dicono, i Poeti esser Divini, e alcuni li chiamano Sacri, e alcuni li chiamano Vati. Da questa astrazione,e furore, ch'io dico,prendonol'appellazione. Gli esempli abbiamo d'Orfeo, e d'Esiodo, de' quali l'uno e l'altro fu tale, quale di sopra da me è stato raccontato. E fu di tanta efficacia Orfeo, che sassi,e selve movea con la sua lira: ed Esiodo, essendo pastore rozzo e indotto, bevuta solamente l'acqua della fonte Castalia, senza alcun altro studio, Poeta sommo divenne: del quale abbiamo l'opere ancora oggi, e sono tali, che niuno de' Poeti litterati e scientifici le vantaggia. Una spezie dunque di Poeti è per interna astrazione di mente: l'altra spezie è per iscienza, per istudio, per disciplina e arte, e per prudenza; e di questa seconda spezie fu Dante: perocchè per istudio di Filosofia, di Teologia, Astrologia, Aritmetica, e Geometria,per lezioni di Storie, per rivoluzione di molti, e varj libri, vigilando e sudando nelli studj, acquistò la scienza, la quale dovea ornare, ed esplicare co'snoi versi. E perchè della qualità de'Poeti abbiamo detto, diremo ora del nome, pei quali ancora si com prenderà la sustanza; contuttochè queste sien cose,

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