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DI DANTE

SCRITTA

DA LIONARDO ARETINO

I maggiori di Dante furono in Firenze di

molto antica stirpe, intantochè lui pare volere in alcuni luoghi i suoi Antichi essere stati di quelli Romani, che posero Firenze. Ma questa è cosa molto incerta, e, secondo mio parere, niente è altro che indovinare. Di quelli, che io ho notizia, il tritavolo suo fu Messer Cacciaguida, Cavalier Fiorentino, il quale militò sotto l'Imperador Currado. Questo Messer Cacciaguida ebbe due fratelli, l'uno chiamato Moronto, l'altro Eliseo. Di Moronto non si legge alcuna successione, ma da Eliseo nacque quella famiglia nominata gli Elisei ; e forse anche prima avevano questo nome. Di Messer Cacciaguida nacquero gli Aldighieri, così nominati da un suo figliuolo, il quale per stirpe materna ebbe nome Aldighieri. Messer Cacciaguida, e i fratelli, e i loro antichi abitarono quasi in sul canto di Porta San Piero, dove prima vi s'entra da Mercato Vecchio nelle case, che ancora oggi si chiamano degli Elisei, perchè a loro rimase l'eredità. Quelli di Messer Cacciaguida, detti Aldighieri, abitarono in su la

di

piazza dietro a San Martino del Vescovo, rimpetto alla via, che va a casa i Sacchetti; e dall'altra parte si stendono verso le case de' Donati, e de' Giuochi. Nacque Dante nelli anni Domini 1265 poco dopo la tornata de' Guelfi in Firenze, stati in esilio per la sconfitta di Montaperti. Nella puerizia sua nutrito liberalmente, e dato a' Precettori delle Lettere, subito apparve in lui ingegno grandissimo, e attissimo a cose eccellenti. Il Padre suo Aldighieri perdè nella sua puerizia; nientedimanco confortato da' Propinqui e da Brunetto Latini, valentissimo uomo, secondo quel tempo, non solamente a litteratura, ma a degli altri studii liberali si diede, niente lasciando indietro, che appartenga a far l'uomo eccellente: nè per tutto questo si racchiuse in ozio, nè privossi del secolo, ma vivendo e conversando con li altri giovani di sua età costumato, ed accorto, è valoroso, ad ogni esercizio giovanile si trovava; intantochè in quella battaglia memorabile e grandissima, che fu a Campaldino, lui giovane, bene stimato si trovò nelle armi combattendo vigorosamente a cavallo nella prima schiera, dove portò gravissimo pericolo: perocchè la prima battaglia fu delle schiere equestri, cioè de' Cavalieri, nella quale i Cavalieri, che erano dalla parte degli Aretini, con tanta tempesta vinsero e superchiarono la schiera de' Cavalieri Fiorentini, che sbarattati, e rotti, bisognò fuggire alla

schiera pedestre. Questa rotta fu quella, che fe' perdere la battaglia alli Aretini, perchè i loro Cavalieri vincitori, perseguitando quelli che fuggivano, per grande distanza, lasciarono addietro la loro pedestre schiera; sicchè da quindi innanzi in niun luogo interi combatterono, ma i Cavalieri soli, dipersè senza sussidio di Pedoni, e i Pedoni poi dipersè senza sussidio dei Cavalieri. Ma dalla parte de' Fiorentini addivenne il contrario; che per esser fuggiti i loro Cavalieri alla schiera pedestre, si ferono tutti un corpo, agevolmente vinsero, prima i Cavalieri, e poi i Pedoni. Questa battaglia racconta Dante in una sua epistola, e dice esservi stato a combattere, e disegna la forma della battaglia. E per notizia della cosa sapere dobbiamo, che Uberti, Lamberti, Aba

ti e tutti li altri Usciti di Firenze erano con li Aretini; e tutti li Usciti d'Arezzo Gentiluomini, e Popolani, e Guelfi, che in quel tempo tutti erano scacciati, erano co' Fiorentini in questa battaglia. E per questa cagione le parole scritte in Palagio dicono: Sconfitti i Ghibellini a Certomondo, e non dicono: Sconfitti gli Aretini; acciocchè quella parte degli Aretini, che fu col Comune a vincere non si potesse dolere. Tornando dunque al nostro proposito dico, che Dante virtuosamente si trovò a combattere per la Patria in questa battaglia. E vorrei, che il Boccaccio nostro di questa virtù avesse fatta

menzione, più che dell' ainore di nove anni, di simili leggierezze, che per lui si raccontano di tanto uomo. Ma che giova a dire? La lingua pur va, dove il dente duole; e a chi piace il bere, sempre ragiona di vini. Dopo questa battaglia tornatosi Dante a casa, alli studii più ferventemente, che prima, si diede e nondimanco niente tralasciò delle conversazioni urba→ ne e civili. Ed era mirabil cosa, che studiando continuamente, a niuna persona sarebbe paruto ch'egli studiasse, per l'usanza lieta, e conversazione giovanile. Perlaqualcosa mi giova riprendere l'errore di molti ignoranti, i quali credono, niuno essere studiante, se non quelli, che si nascondono in solitudine, ed in ozio e io non vidi mai niuno di questi camuffatti, e rimossi dalla conversazione delli uomini, che sapesse tre lettere. L'ingegno grande e alto non ha bisogno di tali tormenti; anzi è verissima conclusione e certissima, che quelli, che non apparano tosto, non apparano mai: sicchè stranarsi, e levarsi dalla conversazione è al tutto di quelli, che niente son atti col loro basso ingegno ad imprendere. Nè solamente conversò civilmente Dante con li uomini, ma ancora tolse moglie in sua giovanezza; e la moglie sua fu Gentildonna della famiglia dei Donati, chiamata per nome Madonna Gemma, della quale ebbe più figliuoli, come in altra parte di quest' opera dimostreremo. Qui il Boccaccio non ha pa

zienza, e dice, le inogli esser contrarie alli studii; e non si ricorda, che Socrate, il più ncbile Filosofo, che mai fusse, ebbe moglie, e figliuoli, e ufficii nella Repubblica della sua Città e Aristotile, che non si può dir più là di sapienza e di dottrina, ebbe due mogli in varii tempi, ed ebbe figliuoli, e ricchezze assai. E Marco Tullio, e Catone, e Varrone, e Seneca, latini sommi Filosofi tutti, ebbero moglie, ufficii, e governi nella repubblica. Sicchè perdonimi il Boccaccio; i suoi giudicii sono molto fievoli in questa parte, e molto distanti dalla vera opinione. L'uomo è animale civile, secondo piace a tutti i Filosofi. La prima congiunzione, dalla quale multiplicata nasce la Città, è marito, e moglie; nè cosa può esser perfetta, dove questo non sia; e solo questo amore è naturale, e legittimo, e permesso. Dante adunque, tolto Donna, e vivendo civilmente ed onesta e studiosa vita, fu adoperato nella Repubblica assai, e finalmente, pervenuto all' età debita, fu creato de' Priori, non per sorte, come s'usa al presente, ma per elezione, come in quel tempo si costumava di fare. Furono nell' uficio del Priorato con lui Messer Palmieri degli Altoviti, e Neri di Messer Jacopo degli Alberti, ed altri colleghi; e fu questo suo Priorato nel milletrecento. Da questo Priorato nacque la cacciata sua, e tutte le cose avverse, ch'egli ebbe nella vita, secondo lui medesimo scrive in una sua

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