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Bizzarra ed originale è questa immagine, dove Minosse viene rappresentato sedente sul suo scanno con magistrale prosopopea, ascoltare i misfatti de' rei, e senza degnarsi di far parole dare la sentenza con un giro di coda. La speditezza con cui le anime si accusano, son giudicate, e condotte al castigo è maravigliosamente espressa in un solo verso: Dicono, odono, e poi son giù volte. Se non che facendo credere il poeta ch'esse conoscano il giudizio di Minosse a' cenni della coda, la parola odono è impropria in tal caso. È vero che non dice espressamente che quel diavolo stesse in silenzio, ma ciò si dee sottintendere, e questa circostanza è troppo essenziale all’immagine, poichè riconosce da essa tutta la sua singolarità. Per iscusare Dante potrei dire che egli abbia voluto usare in questo luogo quella figura detta da' retori Metonimia, ma sono persuaso che mi sarebbe poco obbligato per questa mia uffiziosità, poichè sa anch' egli che il levargli un neo non lo può fare niente più bello.

Ora partito il poeta da Minosse entra nel secondo cerchio, e vede come sono puniti i

lussuriosi. Semiramide, Didone, Cleopatra, Elena, Achille, Paris, Tristano, stan fra costoro, e sono continuamente sbattuti per aria da un vento tempestoso. Ma qui cominciano veramente, per parlare con Dante, a farsi sentire le dolorose note, e siamo giunti al passo più tenero e più patetico di tutta la divina Commedia, e che meritamente vien considerato come uno de' più be' gioielli della poesia italiana. Francesca Ariminese n' è l'argomento. Costei era figlia di Guido da Polenta signore di Ravenna, ed essendo stata maritata contro saa voglia dal padre a Lancilotto figliuolo di Malatesta Signore di Rimini, s'iunamorò di Paolo suo cognato. Ebbe con lui delle segrete pratiche amorose, in una delle quali restò sorpresa dal marito, e fu uccisa d'un colpo di spada insieme con l'amante. Dante la trova nell'Inferno con Paolo, che volteggiavano tutt' a due per aria malmenati dalla tempesta. Tosto che il vento gli fe' piegare alla sua volta, indirizzò ad essi la parola, e gli interrogò di lor condizione. Francesca allora fermossi, e informollo come amo

Bizzarra ed originale è questa immagine, dove Minosse viene rappresentato sedente sul suo scanno con magistrale prosopopea, ascoltare i misfatti de' rei, e senza degnarsi di far parole dare la sentenza con un giro di coda. La speditezza con cui le anime si accusano, son giudicate, e condotte al castigo è maravigliosamente espressa in un solo verso: Dicono, odono, e poi son giù volte. Se non che facendo credere il poeta ch'esse conoscano il giudizio di Minosse a'cenni della coda, la parola odono è impropria in tal caso. È vero che non dice espressamente che quel diavolo stesse in silenzio, ma ciò si dee sottintendere, e questa circostanza è troppo essenziale all'immagine, poichè riconosce da essa tutta la sua singolarità. Per iscusare Dante potrei dire che egli abbia voluto usare in questo luogo quella figura detta da' retori Metonimia, ma sono persuaso che mi sarebbe poco obbligato per questa mia uffiziosità, poichè sa anch'egli che il levargli un neo non lo può fare niente più bello.

Ora partito il poeta da Minosse entra nel secondo cerchio, e vede come sono puniti i

lussuriosi. Semiramide, Didone, Cleopatra, Elena, Achille, Paris, Tristano, stan fra costoro, e sono continuamente sbattuti per aria da un vento tempestoso. Ma qui cominciano veramente, per parlare con Dante, a farsi sentire le dolorose note, e siamo giunti al passo più tenero e più patetico di tutta la divina Commedia, e che meritamente vien considerato come uno de' più be' gioielli della pocsia italiana. Francesca Ariminese n'è l'argomento. Costei era figlia di Guido da Polenta signore di Ravenna, ed essendo stata maritata contro saa voglia dal padre a Lancilotto figliuolo di Malatesta Signore di Rimini, s'iunamorò di Paolo suo cognato. Ebbe con lui delle segrete pratiche amorose, in una delle quali restò sorpresa dal marito, e fu uccisa d'un colpo di spada insieme con l'amante. Dante la trova nell'Inferno con Paolo, che volteggiavano tutt' a due per aria malmenati dalla tempesta. Tosto che il vento gli fe' piegare alla sua volta, indirizzò ad essi la parola, e gli interrogò di lor condizione. Francesca allora fermossi, e informollo come amo

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pelo;

molto in poco, esprime solo le circostanze più vive, e di rado vi si ferma su a lungo. Egli è come un lampo, che brilla e svanisce. Non sarebbe già stato di suo genio il rappresentare Caronte come un orrido nocchiero, cui pende dal mento molta barba bianca ed incolta, ed a cui un lordo cencio sta appiccato per un nodo alle spalle. A Dante bastò il chiamarlo un vecchio bianco per antico dove la parola antico è quella circostanza viva, quel tocco forte che dà risalto all'immagine. Così parlando dell'anime che stavano sulle rive del fiume, egli non avrebbe avuto la pazienza d'individuare le madri, gli sposi, gli eroi, i fanciulli, le fanciulle ed i giovani arsi nel rogo dinanzi agli occhi del padre, ma con una sola energica frase chiama la turba de' dannati il mal seme di Adamo. La precisione e la forza sono il carattere dello stile di Dante, che egli mantiene sempre ne' suoi versi, e che lo distingue singolarmente da tutti gli altri poeti. Dotato di una fantasia vivacissima che sempre brulicava, e sempre era affollata d'immagini, cercava di esprimersi con la maggiore prestez

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