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bolo di quella volontaria purificazione, che si richiede per vedere Dio, per levarsi, cioè, a quell'altissimo grado di perfetta vita spirituale, che è la contemplazione, ultima meta del viaggio di Dante nel Paradiso poi, nessun seg. gio è apparecchiato per Dante; e innanzi al mistero dell' Incarnazione, confessa egli stesso che non eran da ciò le proprie penne ». Col che, si badi, non credo già d'aver annoverate tutte l'assurdità che deriverebbero dall'ipotesi di cui ragioniamo.

Nel senso allegorico (« una verità ascosa sotto bella menzogna »), Dante simboleggia lo studioso di Teologia, che, diversamente da quanto si praticava e tuttora si pratica nelle << scuole dei religiosi », incomincia dalla Teologia morale, e poi passa alla dommatica: nel senso morale (« quello che li lettori deono intentamente andare appostando, a utilità di loro e di loro discenti » 3), Dante simboleggia l'uomo. che, non avendo trovata << nella vita attiva, cioè nelle operazioni delle morali virtú », quella felicità e beatitudine che ognuno cerca, e che consiste nel « vedere Iddio, ch'è sommo intelligibile», la cerca e la trova « quasi perfetta nella vita contemplativa, cioè nell'operazione delle intellettuali virtú, simboleggiate nelle tre principali guide di Dante (Virgilio,

1 << Quis ascendet in montem Domini, aut quis stabit in loco santo ejus? Innocens manibus et mundo corde » ; cosí Davide, nel salmo XXIII, 3; vale a dire che di quella purificazione, a cui l'angelo del Purgatorio dantesco accenno con le parole del Vang. di san Matteo, « Beati mundo corde quoniam ipsi Deum videbunt >, abbisogna, non solo chi aspira alla beatitudine celeste (il luogo santo di Dio), come le anime del Purgatorio; ma anche chi aspira alla beatitudine della contemplazione (il monte del Signore), come Dante (cfr. SAN TOMM., Summae theol. II, II, VIII, 7o). Conviene però che tale purificazione si compia diversamente per l'anime del Purgatorio e per Dante: quelle stanno dentro le fiamme, e si guardano bene dall'uscirne, sia pure per poco; a Dante basta il solo attraversarle; ché per quelle il fuoco è pena; per Dante simboleggia il volontario sacrificio d'ogni resto di carnalità, per diventar finalmente « homo quasi totus spiritualis (cfr. SANT'AGOSTINO, Scala Paradisi, cap. V). Mal s'avvisa dunque chi da questo passar di Dante attraverso le fiamme argomenta, come argomenta il Colagrosso (Studj cit., pag. 51), che « la lussuria deve essere stato il peccato di cui » Dante « si sentisse assai intinto ».

2 Conv., II, I.

3 Op. e loc. cit.

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Matelda e Beatrice): quasi perfetta, perché << la somma beatitudine qui non si puote avere »; infine, nel senso anagogico o sovrasenso (<«<e quest'è quando spiritualmente si spone una scrittura, la quale eziandio nel senso litterale, per le cose significate, significa delle cose dell'eternale gloria »), Dante simboleggia l'uomo che, uscito dalla servitú della carne e della corruzione, acquista quella libertà che è « dov'è lo spirito del Signore », per la quale « noi tutti contemplando a faccia scoperta, come in uno specchio, la gloria del Signore, siam trasformati nella stessa immagine, di gloria in gloria, come per lo Spirito del Signore »; in altre parole, e d'accordo con Gioacchino Calabrese, raggiunge la libertà della contemplazione, ascendendo per i quattro gradi della Scala del Paradiso, lectio, meditatio, oratio, contemplatio. Né importa che

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1 Op. cit., IV, 22. 2 Op. cit., II, 1.

3 Ad Rom., VIII, 4 e 21.

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4 Cfr. Purg. I, 71 (« libertà va cercando »); e Parad. XXXI, 84 (< tu m'hai di servo tratto a libertate). 5 Ad. Cor, Ep. II, cap. III, 17 e 18.

6 Secondo la dottrina di Gioacchino Calabrese, «< il primo ordine », che corrisponde alla prima età del mondo, « passò sotto il giogo dei precetti legali: il secondo fu sottoposto a, travagli della passione; il terzo è destinato alla libertà della contemplazione, secondo il testo: Ubi spiritus, ibi libertas. Questo è un altro carattere dei tempi nuovi ». Tocco, op. cit., pag. 282. E nella stessa pag., n. 2, il Tocco cita il seguente passo di Gioacchino : « Concordia, II 6, 5, foli 26, col. 3: Pater siguidem imposuit laborem legi, quia timor est; filius imposuit laborem discipline, quia sapientia est; spiritus sanctus exhibat libertatem, quia amor est. Ubi enim timor, ibi servitus; ubi magisterium, ibi disciplinar; ubi amor, ibi libertas ». Ora, ricordando le spaventevoli pene dell' Inferno; gl' insegnamenti evangelici, sparsi a piene mani nel Purgatorio; la legge di carità o d'amore, che governa il Paradiso, non si direbbe quasi che i tre regni danteschi simboleggino le tre età del mondo, quali le prospetto Gioacchino? e Dante, l'umanità, progrediente attraverso queste tre età ?

7 Coi quali tre simboli di Dante, come personaggio del Poema, non dico che non s'accorderebbe affatto il soggetto del Poema stesso, quale è dichiarato nell' Epistola a Cangrande (<< un poema serio sull' oltretomba», scrive benissimo il D'Ovidio, a pag. 485 dei cit. suoi Studii sulla « Div. Comm.», << che altro può trattare, se non lo stato delle anime dopo la morte? »); ma, certo, meglio vi s'accorderebbe quest' altro: la via da tenere per giungere a quella quasi perfetta felicità che in questa vita è possibile; e che solo si trova mercé le

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tre intellettuali virtú, intelletto, scienza e sapienza. Che se l'allegoria fondamentale del Poema, quale io l'ho prospettata, avesse fortuna; essa potrebb'essere un altro argomento da aggiungere ai non pochi né deboli, coi quali si dimostra che l'Epistola a Cangrande è, per lo meno, d'assai dubbia autenticità Cfr. D' OVIDIO, Studii cit., pagg. 448-485.

1 Cfr. SAN TOMMASO (Summae theol. II, II, 180, 4o, ad 3), il quale distingue, nella contemplazione, sei gradi, de' quali l'ultimo è « consideratio intelligibilium, quae ratio nec invenire nec capere potest, quae scilicet pertinet ad sublimem contemplationem divinae veritatis, in qua finaliter contemplatio perficitur ».

2 << Auditus enim quodam modo pertinet ad lectionem ». SANT'AGOSTINO, Scala Paradisi, cap. X.

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2 Parad., XI, 31-42. Anche nella similitudine delle anime dei contemplanti con le pole, contenuta ne' vv. cit., potrebbe vedersi una traccia delle dottrine di Gioacchino, che il primo ordine de' coniugati, che corrisponde al primo grande periodo della storia dell' umanità, paragona agli animali terrestri; il secondo ordine, dei sacerdoti, che corrisponde al secondo periodo, ai pesci; il terzo ordine, de' monaci, che corrisponde al terzo periodo, agli uccelli, < perché i monaci nella mistica contemplazione si movono liberamente come in aere piú salubre ». Cfr. Tocco, op. cit., pag. 375-367.

VARIETÅ

Correzione all'esordio dell'Epistola di Dante | affectus gratuitatis dominantis, introducendo cioè

a Moroello Malaspina.

L'inizio della nota lettera che l'Alighieri scriveva al marchese Malaspina dal Casentino,

intorno alla sua nuova avventura d'amore, se

condo il codice Vaticano, è questo: Ne lateant dominum vincula servi sui, quam affectus gratuitatis dominantis, et ne alia reluta pro aliis, que falsarum opinionum seminaria frequentius esse solent, negligentem proedicent carceratum, ad conspectum magnificentie vestre presentis oraculi seriem placuit destinare. L'imbroglio sta nel primo membro del periodo: Ne lateant dominum vincula servi sui, quam affectus gratuitatis dominantis, parole che oppongono all'intelligenza, dice il Novati, un ostacolo di gravità quasi eccezionale. Il Witte corresse: quem affectus gratitudinis dominantur, emendazione generalmente ricevuta. Lo Zenatti volle leggere: que affectus gratuitatia dominantis; proposta che giu

stamente il Novati dice insostenibile, non solo per il senso inintelligibile che offre, ma anche perché a tale lezione non suffraga per nulla il codice e la grafia usuale di quei tempi antichi. Ond'egli attribuisce la cattiva redazione del manoscritto o all'omissione di uno o piú vocaboli, o ad equivoco in cui sia caduto il copista nell'interpretare le abbreviazioni finali delle parole che aveva dinanzi. Ben detto. E all'una e all'altra di queste cause, va, secondo noi, attribuita quella strana scrittura. Altrove avevamo proposta la correzione: Ne lateant dominum tam vincula servi sui, quam

1 In Dante e La Lunigiana, Milano, Hoepli 1909, p. 520.

2 Op. cit., p. 524.

nel testo la sola congiunzione tam, correlativa di quam. Ma dopo cortese critica del prof. Novati, ripensando alla stranezza del gratuitatis, dovemmo persuaderci che qui stava il peggior incaglio dell'intelligenza, e che quel gratuitatis del copista aveva da rispondere a qualcosa di più chiaro, da lui male interpretato nelle abbreviazioni. Questo qualcosa di piú chiaro sarebbe, a parer nostro, il nesso gravitas ei. Due voci che per suono e per grafia s'accostano assaissimo a gratuitatis. Onde, sostituendo, l'esordio suona cosí: Ne lateant dominum tam vincula servi sui, quam affectus gravitas ei dominantis. Questa correzione dà un senso perspicuo e consono a tutto il resto dell' epistola, perché viene chiarissimamente a dire: Affinché non restino ignote al mio Signore cosí le catene del servo suo, come la gravezza dell' affetto che lo signoreggia, ecc. Perché dice il medesimo Alighieri nella Vita nuova: « Non buona è la signoria d'amore, però che quanto lo suo fedele piú fede gli porta, tanto più gravi e dolorosi punti gli conviene passare ». Quale e quanta fosse cotal gravezza, pôrta al Poeta dall' avventura casentinese, oltre che dall' epistola si fa piú che chiaro dalla canzone Amor dacché che l'accompagnava, ove per l'appunto l'Alighieri canta che

una catena il serra

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tal, che se piega vostra crudeltate, non ha di ritornar piú libertate,

1 Vita nuova, XIII.

2 Gravezza e grave in tal senso spirituale s'incontra in altri luoghi danteschi: (Inf. I, 52) Questa mi porse tanto di gravezza; Purg. XIII, 57 e Vita nuova, VII, 20) < grave dolore »; (Vita Nuova, XXXII, 84) « mente grave ».

Giornale dantes.

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perché l'affetto o amore della « nemica figura che rimane vittoriosa e fera gli signoreggia la virtú che vuole ». Concetto che richiama quell'altro della Vita nuova (I, 1. 24): Ecce Deus fortior me, veniens dominabitur mihi, come questa frase risponde a quella dell' epistola: gravitas affectus ei dominantis. Si noti ancóra che l'introduzione da noi fatta del tam in correlazione col quam, ci viene suggerita dal séguito dell'epistola stessa, ove ricorre analoga frase non nuova nelle opere latine di Dante: meditationes assiduas, quibus tam celestia quam terrestria intuebas.

Tale è la correzione che noi proponiamo a sí difficile passo della lettera a Moroello. Ma anche nell'altre epistole c'è parecchio da emendare, come nell' Epistola a Can Grande (per tacere di discursurus da mutarsi in discussurus (1. 12 ed. MOORE); di primordii in primo redii

[1. 19]; domino in dono meo [1. 79] va letto: (1. 95) veritas de re quae in entitate causistit tanquam in subiecto, non già quae in veritate: e (1. 613) vera illa beatitudo in intuendo veritatis principium consistit invece di in sentiendo; secondoché il contesto stesso de' due luoghi esige e anche la dottrina seguíta dal Poeta. Ma di tali e tant' altre emendazioni è da lasciarne la cura al perspicace e dottissimo prof. Novati, profondo conoscitore dell' ars dictaminis medievale, al quale la Società dantesca con ogni merito e ragione affidò l'edizione critica delle epistole di Dante. 1

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BULLETTINO BIBLIOGRAFICO

AGRESTI ALBERTO. Studi pel Canto VII dell'« Inferno»: memoria letta all'Accademia Pontaniana, nella tornata del 2 giu. 1908, Napoli, stab. tip. F. Giannini e figli, 1908, in-8°, pp. II-(1).

Su la giostra dei prodighi e degli avari, e il concetto della Fortuna. Cfr. il no. 3728 di questo Bull. (3657)

AGRESTI Alberto. Un pensiero dantesco per Pio X. (Nella Strenna napoletana, 1908). (3658)

ALIGHIERI DANTE. Opere poetiche. Con nuova traduzione tedesca di contro, per Riccardo Zoozmann. Friburgo in Breslavia, B. Herder, [1908], voll. quattro, in-16°, pp. XIV-(2)315-(3); (4)-316; (3)-315-(1); XIV-439-(1)

I voll. I-III contengono il testo e la traduzione della Commedia, il IV il testo e la traduzione della Vita nova e delle Rime. L'opera, preziosa, oltre che pel suo contenuto, anche per la veste tipografica gustosissima, dedicata a Margherita di Savoia regina d'Italia, nipote di Giovanni re di Sassonia esimio traduttore di Dante, amica delle lettere e delle arti, che per nascita e per cultura in sé graziosamente armonizza il genio di due popoli.

(3659)

«

ALIGHIERI DANTE. La « Divina Commedia nuovamente commentata da Francesco Torraca. Roma-Milano, 1905-1907, in-16°, pp. VIII-966.

Cfr. Giorn. dant., XXV, 134.

(3660)

ALIGHIERI DANTE. La Divina Commedia » novamente annotata da G. L. Passerini. Nuova edizione. Firenze, G. C. Sansoni, editore [tip. di G. Carnesecchi e figli], 1909, voll. tre in-8°, pp. XXI-(2)-392; (8)-388; (8)-384.

(3661)

ALIGHIERI DANTE. La « Divina Commedia» edited and annotated by C. H. Grandgent. Vol. I. « Inferno. Boston, U. S. A.,

D. C. Heath and Co., publishers, 1909, in-16°, pp. XXVI-283-(1).

Testo italiano, con brevi lucide annotazioni in lingua inglese. (3662) ALIGHIERI DANTE. La « Divine Comédie » traduite et commentée par A. Meliot. Portrait d'après Giotto e Masaccio. Paris, Garnier frères, éditeurs, 1909, in-8°, pp. 612.

Recens. di L. Chervoillot, in Les études religieuses, giu. 1909; di J. Moréas, in Gaz. de France, 28 sett. 1908; di G. B. Picozzi, in L'Unione, 27 ott. 1909. (3663)

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(3666)

AHIGHIERI DANTE. « Vita nova », suivant le texte critique préparé pour la « Società dantesca italiana » par Michele Barbi, traduite avec une introduction et de notes par Henry Cochin. Paris, Honoré Champion, éditeur, [Abbeville, impr. F. Paillart], 1908, in.16o, pp. LXXX-246-(2).

Frutto di lungo studio e grande amore, questa traduzione della Vita nova, nonostante i soliti inevitabili difetti di tutte le traduzioni, può ritenersi senza esagerazione una delle migliori versioni che del gentile « libello » sono ve

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