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nerato nel Grande Archivio di Palermo deplorevoli conseguenze. Nessuno o pochissimi vi accedono con lo intento di studiare e ritrarre opportuni insegnamenti; ed amano meglio di rovistare, occorrendo, i numerosi manoscritti della Biblioteca comunale che per altro son ben tenuti e diligentemente annotati (1). Inoltre si lascia travedere nello stesso ufficio una certa intolleranza o impazienza, quantunque volte avvenga che si presenti uno per ragioni di studio. La cosa è naturale; imperocchè si prova grande fatica nel soddisfare alle legittime esigenze degli studiosi.

Ho visitato gli archivi governativi dei vecchi stati Italiani che si trovano nelle principali città della bella Penisola; ed ho veduto che dovunque in essi è istituita una sala pubblica di studio, assistita da impiegati capaci e frequentata da eletti ingegni, nazionali e stranieri. Le Deputazioni delegate per la storia patria, che funzionano, come istituti governativi, ricevono valevoli aiuti dagli archivisti che vi sono addetti; e ciò malgrado la ristrettezza del loro numero, causata dalla maggiore riduzione dei Bilanci dello Stato.

E per dire di Torino, poichè l'argomento mi vi mena, città felice e fortunata, ove le buone e liberali pratiche presto s'innestano a comune ammaestramento e crescono con rapido e prospero successo; ivi la benemerita Deputazione di storia patria, istituita già sin dal 1833, non avrebbe potuto procedere a sì lunga serie di pubblicazioni, senza che fosse intervenuta la cooperazione efficace degli archivisti governativi. Ivi di continuo convengono i più dotti uomini di Europa filosofi e letterati, ai quali si reputa sommo onore, e tale è, usare le più cortesi e diligenti agevolazioni.

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Prescrive il regolamento dei Regii Archivi in Torino: pei giorni, nei quali gli Archivi sono aperti, l'ingresso alla sala di studio è libero per gli studiosi dalle ore dieci antemeridiane alle tre pomeridiane. L'ufficiale delegato alla direzione ed ispezione della sala di studio consegna ai due ufficiali di assistenza i documenti che si richiedono (2). E agli studiosi

(1) Sono stati molto stimati da'dotti i lavori intorno alla lingua volgare forniti dal prof. Vincenzo Di Giovanni filosofo e letterato sui mss. di quella Biblioteca. Quale e quanta messe non può essere raccolta su tale subietto dai documenti del Grande Archivio ?

(2) In atto dirige la sala di studio il cav. Pietro Vayra egregio scrittore, valente paleografo e profondo conoscitore delle materie archivistiche. La scelta non poteva essere più opportuna, avuto riguardo, che in quel luogo sogliono intervenire le prime celebrità europee.

non è vietata che una sola cosa, cioè quella di usare acidi per aiutare la lettura di caratteri svaniti; ma con le dovute cautele possono far lucidi o calchi (1). Io mi lodo sinceramente di sì nobile esempio (2); e desidero che sia imitato in Palermo, ove non vi ha una sala di studio aperta al pubblico e non vi funziona alcuna Deputazione di storia patria, come istituto governativo.

Questo fatto si rende molto più rincrescevole, ove si rifletta, che assai prima che si fosse negato lo accesso nello Archivio di Corte in Torino al grande uomo che fu Ludovico Muratori, erano state già stampate non poche raccolte diplomatiche trascritte dagli archivi della Real Cancellaria, del Protonotaro del regno e del Conservatore del registro ecc. E sin dalla metà del secolo XVI, quando la scienza della diplomatica era bambina, erasi istituita in Palermo una carica di regio storiografo, annessa ai regii archivi ed occupata da uomini insigni per merito e per dottrina. Tali furono prima Antonino Amico e Rocco Pirri, e poscia Giovanni Evangelista Di Blasi, Rosario Di Gregorio e Domenico Scinà.

Ma la grande sventura dei detti archivi è quella di non possedere scritture di data anteriore al secolo XIV; anzi a parlare con verità esse scritture non procedono regolarmente se non dal secolo XV. Imperocchè sebbene l'archivio della Real Cancellaria, che è al certo il più antico, offra documenti autentici del secolo XIV; non pertanto i medesimi sono reliquie frantumi e per la natura dei tempi sono della più alta importanza. In generale poi dovunque rivolgerai accurato lo sguardo, non ti riuscirà di vedere in Sicilia carta di data anteriore. all'anno 1061.

Assai prima che le guerre delle Crociate avessero mostrata la via alla cognizione della civiltà d'oriente e l'emigrazione bizantina avesse riacceso nell'addormentata Europa lo amore per l'antica erudizione, in Sicilia fiorivano le lettere e le arti pei legami politici ed economici col greco impero e per la confluenza della nuova civilizzazione importata dagli Arabi. Mi dispenso citare gli scrittori siciliani di quel tempo, i quali altro sono ricordati nei fasti della letteratura bizantina;

per

(1) Regolamento per gli archivi governativi di Torino, approvato dal Ministero degl'interni addì 20 marzo 1871. Tipografia dell'Unione tipografica editrice.

(2) In una recente stampa, Torino, tipografia V. Vercellino, col titolo: Degli archivi di stato delle provincie subalpine pensieri e voti, si fa plauso a quella sala di studio; e si combatte con piena dimostrazione il nocivo principio delle carte segrete ammesso in alcuni degli archivi storici.

ma dico, che la maggior parte dei monumenti medievali che ivi torreggiano e che una critica superficiale per lunga pezza ha riferito ai Normanni, appartengono a quel ciclo. I Normanni ristaurarono il bello del genio greco, che erasi ispirato nella filosofia neoplatonica dei cristiani; e le opere nuove ch'eglino eressero dalle fondamenta furono innalzate secondo le norme della stessa scuola.

Chè se le antiche biblioteche dei monasteri basiliani, gli archivi governativi e i codici, che quali spoglie opime furono arrecati dagli illustri esuli bizantini, si fossero conservati almeno in picciola parte; il Grande Archivio di Palermo sarebbe senza dubbio il più importante tra quelli che sono in Italia. Il suo pregio oggi sarebbe di sommo rilievo, perchè le sue tradizioni costituzionali lo renderebbero attinente alla presente condizione politica del regno d'Italia. Ma considerata la grande mole dei disastri sofferti, e considerato che l'isola perdette la indipendenza, quando gli stati italiani erano nell'apice dello sviluppo morale e materiale; e che gli stessi vicerè cessando dalle funzioni usarono di menar secoloro le carte dei loro gabinetti, il Grande Archivio di Palermo cede di antichità e di pregio non solo a quelli di Firenze, Milano, Napoli, Torino e Venezia, ma per certi rispetti anche a quello di Genova.

L'esperienza che è la maestra delle cose umane ha dimostrato, che il Grande Archivio di Palermo nello stato in cui è, non basta a sopperire ai bisogni della scienza e agli ammaestramenti della storia. Il summentovato Antonino Amico intraprendendo nel principio del secolo XVII la compilazione di un codice diplomatico siculo fu costretto a visitare gli archivi ecclesiastici e comunali dell'isola. E ciò fu poco; ma dovette recarsi a Napoli, Roma, Parigi e Madrid, onde trascrivere dagli archivi di Napoli e di Simancas e dalle biblioteche Vaticana, Parigina e dell'Escuriale i numerosi documenti, dei quali erasi perduta ogni traccia nella sua patria. Per buona fortuna la maggior mole delle collezioni fatte dallo Amico si salvarono, ricuperatesi entro i cancelli della Biblioteca comunale di Palermo. A quella copiosa fonte attinse la schiera degli scrittori di storia e di diplomatica del secolo passato, che si egregiamente furon messi in veduta dallo Scinà nella sua storia della letteratura siciliana del secolo XVIII.

Il Di Gregorio, ultimo per ordine di tempo ma il più illustre rampollo di quella accolta d'ingegni, dedusse le considerazioni intorno al diritto pubblico siciliano più dai manoscritti della succitata Biblioteca, anzichè dai registri dei pubblici

archivi. Che più? Il ch.mo prof. Michele Amari, Senatore del regno e già ministro per la istruzione pubblica, narrò i Vespri siciliani, giovandosi principalmente dei manoscritti della summentovata Biblioteca e dei regesti angioini degli archivi napolitani; e creò la storia degli Arabi in Sicilia, ricavandola dai miss. della succitata Biblioteca, dalle memorie arabiche della biblioteca nazionale di Parigi e dalle opere in istampa. Egli non varcò mai la soglia del Grande Archivio a cagione d'indagini storiche.

Dacchè Ferdinando di Castiglia, denominato il Giusto, salì sul trono lasciato vedovo da Martino il vecchio, cioè dal 1410 sino al 1713, la Sicilia venne aggiogata al vasto reame della monarchia spagnuola. Nel 1713 fu data in possesso, come cosa venale posta ad incanto, a Vittorio Amedeo II duca di Savoia, e nel 1718 a Carlo VI imperatore d'Austria. Nel 1735 ritornò in mano di un Borbone, discendente di Francia, qual'era Carlo secondogenito di Filippo V. Se è lecito argomentare dalle cose picciole le grandi, osservando il breve regno del re sabaudo e considerando il cumulo delle carte spettanti a Sicilia che si allogano nel Regio Archivio di Corte in Torino, conviene giudicare che immensa dee essere la suppellettile di quelle che si trovano negli archivi di Simancas, Napoli e Vienna.

Poichè non è a sperare che le ragioni del materiale possesso cedano il luogo a quelle legittime del diritto, e poichè la distanza dei siti in cui giacciono e il silenzio che le avvolge, ci consentono appena di poterle ricordare; si gradiscano almeno i presenti inadeguati ragguagli intorno alle scritture di Sicilia che sono in Torino; e si considerino come beneficio arrecatoci dal novello ordine di cose italiane e come guiderdone ottenuto dalla comunanza di una stessa e medesima fortuna.

II.

Adunque le carte di Sicilia che si adunano nel regio Archivio di Corte in Torino si riferiscono propriamente al breve regno che ebbe in quell'isola il duca Vittorio Amedeo. Però molti sono i documenti che ivi si accolgono di data anteriore e non pochi quelli di data posteriore. Avvi di più una lunga e varia serie di notizie, informazioni, ragguagli, relazioni, compilazioni, riassunti, opere e manoscritti, che nel loro complesso costituiscono un vero tesoro storico.

Stabilita la pace in Utrecht, 13 agosto 1713, posarono per un momento le armi in Europa; e la lunga e penosa guerra

della successione ebbe fine con lo smembramento della vasta e decrepita monarchia spagnuola. Filippo V dovette cedere a molte e grandi esigenze della diplomazia armata e precipuamente dovette spogliarsi dei possedimenti italiani, vale a dire dei regni di Sicilia e di Sardegna, delle provincie di Napoli e di Lombardia, del marchesato di Finale e dello stato dei Presidii. Lo stato dei Presidii si componeva di Portolongone nell' isola di Elba e di una lista marittima nel Sienese. La Sicilia fu aggiudicata alla casa ducale di Savoia; e le province napolitane e lombarde, una agli altri possessi or ora accennati furono annesse all'impero austriaco. Nondimeno non trascorsero che cinque anni, e l'Europa di nuovo sorse in armi; e per l'altro trattato firmato a Londra, 2 agosto 1718, la Sicilia fu devoluta a Carlo VI imperatore d'Austria; e re Vittorio Amedeo in cambio dovette contentarsi dell'isola di Sardegna. L'impero austriaco mantenne sino al 1735 Napoli e Sicilia e sino al 1859 Milano e la Lombardia. L'isola di Sardegna fu per re Vittorio Amedeo tenue ed inadeguato compenso. Però il Piemonte estese a poco a poco i suoi confini sino alle sponde della Scrivia; e da Novi Ligure lungo per le giogaie degli Appennini si allargò per la province di Alessandria e della Lomellina. Così acquistò una parte della pianura lombarda (1), che formò sempre l'ardente desiderio dei Principi di Savoia.

È stato detto che il breve governo di Vittorio Amedeo non riuscì gradito, come si sperava, ai Siciliani. Ciò è vero. Varie e molteplici, secondo me, furono le cagioni, che tuttora non sono state investigate accuratamente e molto meno discusse senza ira e senza studio. Ne citerò alcune: la difficoltà di stabilirsi un principato nuovo in tempi statuali; l'indole del popolo siciliano, genus argutum et valde suspiciosum, come disse Cicerone; la sua abitudine di servire con orgoglio allo straniero e sperare assai dalla sua vita tumultuaria; la pubblica opinione concitata ed invasa dalla idea di un vicino perturbamento di cose europee; gl'intrighi dell'Alberoni; l'ingerenza nelle faccende pubbliche di uno sciame di Piemontesi onesti, ma disadatti, inconsapevoli delle leggi e degli ordinamenti del paese e corrivi a volerlo moralizzare alla loro guisa; la lotta ch' era divampata prima ed allora divenne accanita tra il sacerdozio e l'impero; e sovratutto il poco rispetto che si mostrò per le libertà costituzionali, riconquistate a prezzo di grandi sacrifici con la guerra del Vespro e mantenute ad

(1) Trattati di Vienna 1738 e di Worms 1743.

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