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Questo Discorso fu spedito dall'autore al sig. prof. Angelo De-Gubernatis, per inserirlo nella Rivista Europea. Se non che per aver già la Rivista fatto parola dell'Apologia del Monti per ben tre volte, il sig. De-Gubernatis non giudicò ben fatto il pubblicarlo; ma da quell'uomo imparziale ed egregio amico ch'egli è, diede assenso all'autore di pubblicarlo dove e quando avesse voluto. Ed ora, benchè tardi, non crede l'autore di far male a pubblicarlo, essendo persuaso d'aver battuto l'errore, e propugnato il vero, che è sempre buono a sapere e mettere in luce.

Mio carissimo De-Gubernatis

Quando lessi le parole del Gazzettino bibliografico della nostra Rivista intorno l'Apologia politica di Vincenzo Monti per Achille Monti, non mi parve di potervi consentire. Molte volte di poi mi son messo a considerare e il Monti nella vita e nelle opere, e la comune opinione sui fatti e i pensieri dell' uomo famoso. Finalmente mi son venute giù dalla penna le osservazioni che seguono, e che ti prego inserire nella Rivista medesima; siccome quelle che, almeno nella intenzione, sono indirizzate ad aiuto e vantaggio di quel giudizio che il nostro popolo sempre vuole, e spesso non può, recare intero e sicuro sugli uomini e sulle cose nostre. Molte volte l'opinione volgare diventa opinione comune, e prende il posto di quel terribile giudice che è l'opinione pubblica, per la sola ragione che gli amici e ricercatori scrupolosi del vero o si tacciono intimiditi dal chiasso generale, o pur si contentano di accennare al vero con parole e con tono così rimesso com'è quello delle cause perdute. Rimedio peggiore del male. Io vo' dire interissimamente come la sento; e l'indole tua franca e studiosa

sempre, e coraggiosamente propugnatrice del vero, onde principalmente mi è cara e pregiatissima la tua amicizia, mi garantisce che non ti dispiacerà di pubblicare quanto mi han cacciato. dall'animo e lo studio stesso del vero, e l'amarezza onde mi stringe il cuore la storia degli uomini e dei nostri costumi fino ad oggi. Sta sano, ed ama sempre il tuo

D' Arpino 23 Luglio 1870.

Ferdinando Santini

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Nel Gazzettino della Rivista sono contro l'Apologia del Monti le seguenti parole: << In questa carestia d'uomini di >> carattere, onde giace sì basso la dignità dell'intiera nazione, non era precisamente il carattere di Vincenzo Monti quello » che urgesse ora più di difendere con la scusa del molto ingegno, del buon cuore, della nobile immaginazione, e dei >>> tempi corrotti ». E più sotto il timore « che le scuse perso>> nali al Monti da qualche lettore di quel libretto fossero » prese per regola di sua vita civile; la generosità verso un grande estinto non deve farci tollerabili in noi i suoi difetti >> dissimulati e resi quasi poetici da un'apologia fatta con garbo, ma forse meno oppportuna. »

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Ora a me pare che nessun lettore di quest'Apologia possa pur sospettare, che abbia Achille Monti voluto presentare al pubblico l'esempio di un grande carattere, nè per tale nessun lettore potrà mai prendere quello dell'uomo difeso, quando l'apologista assegna il giusto luogo così alle lodi come al compatimento. Per contrario è manifesto ad ogni pagina, com'egli vuol difendere un suo antenato, che fu e sarà sempre una gloria italiana, da certe accuse, onde il nome di lui veniva poco meno che trascinato nel fango persino da qualche cattedra d'insegnamento. Ha voluto mostrare che cosa di vero ci fosse in quelle accuse, e qual parte di falso e d'esagerato. Quest'intendimento, e il lavoro con cui è venuto ad esecuzione, è opera sempre buona e giusta, ancorchè ci sieno altri uomini, e di gran carattere, che o meritino più di quello di esser difesi dalle false opinioni del pubblico errante e ingannato, o più di quello tornino utili ed efficaci a rammentare. Non tutti io credo che sieno obbligati a far tutto; nè Achille Monti per fare l'apologia di Vincenzo doveva o far prima egli quelle dei più meritevoli, o aspettare che altri le facessero, e così rimettere la sua ad altri cento anni, quando egli di certo sarebbe

morto, e i suoi nipoti si e no l'avrebbero più fatta. Egli aveva carte, notizie, documenti, amore, da difendere il Monti, e l'ha difeso. Cento altri possono averli per altri grand'uomini, più interessanti del Monti, e possono scriverne. Egli avrebbe fatto male soltanto allora che avesse mentito. La verità è sempre utile a mettersi fuori, massime quando è a correggere giudizi ingiuriosi. Che sebbene egli mostri del poeta il buon cuore e il molto ingegno, ei non vuol già che si debbano scusare atti inescusabili in grazia di queste due qualità; ma prova specialmente, che son false due sanguinosissime accuse date a quell'uomo: l'avere venduta l'opinione, e servito ai tiranni. E si duole, com'è giusto, che queste insinuazioni maligne di cui s'è ammorbata l'aria in Italia, sieno per lo più venute fuori (come naturalmente avviene) dalla bocca di quella gente, che o non ha fatto nulla di bene, o ha fatto o almeno avrebbe voluto far male alla sua patria. Pur troppo i Catoni incontentabili, e strilloni e calunniatori sono sempre questi; perchè gli uomini che fanno, sanno di essere gloriosi per l'opera, e non cercano gloria di patrioti dal gridare la croce addosso a chiunque non sia stato un eroe, e dal falsificare gl'indizi fino alla calunnia, e dare certezza ai sospetti, come fanno i tiranni, perchè appunto gli estremi si toccano. E questo precisamente avvenne del Monti nei tempi che viveva, perchè di tempera irritabile e fantastica avea molti nemici; i quali non si facevano certo sfuggire dagli occhi qualche suo lato debole per assaltarlo da quello, cavarne indizi di reità, e gridar crucifige. Tempi d'effervescenza politica, nei quali si dà corpo ad ogni ombra, e dall'operar timidamente, e talora anche giustamente, si riceve nome e castigo di perversità. Ricordo il 1848. Un francese della guarnigione domandò una strada di Roma ad un pover uomo che passava pe'fatti suoi, e questi glie la indicò... Dopo due minuti il popolano giaceva scannato. E si aggiunga che molta inimicizia, che fruttò al Monti persecuzioni e calunnie, gli venne addosso per un atto che i nostri presenti, veneratori del Lobbia, dovrebbero levare a cielo. Monti ebbe il coraggio che pochi de'nostri oggi avrebbero, di lasciare un lucroso impiego, mal sofferendo l'avidità disonesta di un potente, e pubblicamente vituperandolo.

Dopo la ristaurazione del 1815 il Monti si diè alle questioni filologiche; la sua Proposta di correzioni al vocabolario della Crusca alzò gran rumore... Dunqu' egli serviva il tiranno, perchè il tiranno ne dovea sentir piacere, come di cosa che deviava le menti italiane dalla politica. Ma, se il tiranno era

stolto, come tutti sono i tiranni, tal sia di lui; che colpa ne aveva il povero Monti? Noi non crederemo mai, come forse si lusingava un imperatore d'Austria, che se l'Italia avesse avuto sangue e fuoco nelle vene da scuotere la mala signoria, non l'avrebbe più fatto per divertirsi con le quistioni letterarie del Monti, e di quei cinquanta filologi che s'accapigliavano per il capro, il becco, e il frullone. Tutte le pubblicazioni letterarie avrebbero avuto la medesima colpa. - Ma non fecero tanto rumore. E che ne sapeva il Monti del chiasso ch'avrebbero mosso le sue parole? Se la sua penna otteneva quel risultato che le altrui neppure a metà, per questo la sua penna era venduta? Noi non sappiamo se il tiranno ne godesse davvero; e, se ne godesse, colpa della sua corta intelligenza. Ma sappiamo di certo, che custodire, purificare, accrescere il tesoro della patria favella, è opera di buon cittadino, specialmente dopo che un'invasione straniera ne aveva monato quel guasto che tutti sappiamo. E non so perchè abbiamo da credere mentite le parole del Monti, veaute dal cuore, quand'egli scrivendo ad un amico su questo proposito, gli significava questi magnanimi sensi, ch'io restringo in poche parole: Conserviamo intatto almeno l'unico tesoro che ci resta, e per cui solamente oggi siamo una nazione, oggi che abbiamo perduto tutto. E questo diceva con una tinta di tristezza, quale può essere solamente di un uomo, che ami profondamente la patria, e la pianga delusa, tradita e vilipesa dagli stranieri. Perchè crederemo mentite queste espressioni, quando non vogliamo credere scritta per forza la Basvilliana, e sotto l'incubo d'una terribile minaccia? Della quale opera si arrecano dal nipote Achille ben chiare spiegazioni; ma non mica si dice, ch'ei facesse bene, e ch'ogni cittadino dovrebbe far così.

Cadde la chimera dei regni e delle repubbliche italiane, cadde la sanguinosa ingiustizia della potenza francese, che li aveva assorbiti famelica divoratrice dei propri parti. All'Italia non rimaneva di tante mal fondate speranze e lusinghe altro che un campo d'ossa e di ceneri, e la vergogna della pazza fede, e il pentimento della inutile complicità. Cessata l'ultima usurpazione, ritornarono gli usurpatori antichi, promettendo mantenere ai popoli quei patti di reciprocanza, a'quali aveva mancato il sublime soverchiatore. Le anime più forti e meglio avvedute non ebbero fede alle promesse della vecchia tirannide. Ma in siffatta condizione di cose tre maniere di uomini si offrono sempre al guardo osservatore e al giudizio dello storico. Gli onesti più sdegnosi ed alteri si danno volentieri

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