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esposero tante ricchezze: allora pensarono ai modi di poter riparare alle alluvioni del Tevere. Gli studi ed i progetti per altro si protrassero fino all'impero di Trajano, dal quale sappiamo da Plutarco e da Plinio Giovine, fosse stata aperta una fossa che ricevesse le esuberanti acque del fiume; fossa che niuno ha mai indovinato in qual parte e luogo fosse stata praticata; e pur nonostante Plinio ci dice che alla prima escrescenza il Campo Marzio si fosse allagato: Tiberis alveum excessit, et demissioribus ripis ALTE Superfunditur. Quamquam fossa quam providentissimus imperator fecit EXAUSTUS, premit valles, innatat campis, quaque planum solum pro solo cernitur. Lib. VIII, epist. 17.

Cicerone in una lettera, che è la 33" del XIII delle scritte ad Attico, parla di aggiungere alla città il Campo Marzio: Sed CASU Sermo a Capitone de Urbe augenda. A ponte Mulvio Tiberim duci secundum montes Vaticanos: Campumque Martium coedificari; illum autem campum Vaticanum fieri quasi Martium Campum.

Dalle parole sed casu sermo è chiaro che Cicerone non parla di un progetto serio, ma di un discorso accademico tenuto col suo amico Capitone: discorso simile ai tanti che si fanno anche tra noi, più per passare momenti piacevoli che si dimenticano dopo sciolta la brigata, che per trattare argomenti su soggetti che debbano eseguirsi. È probabile che a tempo di Cicerone, allorchè Pompeo Magno per il primo fabbricò in Campo Marzio il suo maraviglioso Teatro, il grandioso Portico, la Curia ed altro; luoghi dove il popolo si sarà condotto con piacere per fruire di quei godimenti; a questo popolo incomodasse la distanza, e per ciò, con discorsi volgari, proponesse e desiderasse venisse fabbricato il Campo Marzio in aggiunta alla città, e che, come accader suole, i ragionamenti della plebe fatti in piazza, giungono finalmente nelle alte magioni; così poi ne venisse ragionato tra Capitone e Cicerone, forse stando a cena. Ma nè i discorsi volgari, nè gli opinamenti di Capitone e Cicerone furono mai più ripetuti in progresso di tempo, come giammai in quei tempi si è tentato di abitare il Campo Marzio.

Coll'avanzarsi dell'impero abbiamo già veduto l'inutile sforzo fatto da Trajano; come inutili furono tutti quelli di altri imperatori, compreso quello di Aureliano.

Decaduta del tutto l'antica civiltà e sopraggiunta la caligine della barbarie, i Romani hanno sopportato in pace le continue alluvioni, e danni immensi per le campagne. Risorta la nuova

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civiltà, i papi giunti al potere pensarono sempre al modo di riparare ai gravi sconcerti delle inondazioni del Tevere sulla città; ma non furono che puri e semplici pensieri risolventisi in proposte non mai attuate, perchè cessata la vista degli orrori, cessarono pure le voglie dei provvedimenti.

Il 1870, fecondo di avvenimenti per Roma, si è segnalato con straordinario rialzamento del Tevere; ma non tanto straordinario da crederlo il massimo come da alcuni si vuole, perchè in altre occasioni raggiunse altezze di molto superiori. Questo avvenimento con tutte le sue disgrazie ha richiamato l'attenzione del governo, ed ha generato discordanti pareri nel popolo: ma più ancora tra' dotti e rispettabili uomini nell'arte idraulica; e non so se tutti i maestri chiamati per ciò a consiglio dal governo, converranno unanimi in un determinato sistema capace di ottenere un radicale rimedio.

Preparandosi ad un sistema possibile a rimediare i grandi sconcerti e danni che nelle persone e negli averi arrecano a Roma le alluvioni del suo fiume, anzitutto non sarà inutile conoscere quel tanto che si potrà dell'antica storia delle inondazioni, ed ancora conoscere le memorie di questi disastri in tempi posteriori fino a questi giorni, perchè si abbia un criterio sui medesimi e vi si preceda guardinghi, sia negli opinamenti, sia nella esecuzione dei medesimi, allorchè fossero concretati in serii progetti.

Tito Livio nell'anno di Roma 391 ha registrato per la prima volta la memoria delle alluvioni del Tevere; e poi Tacito, e Dionisio, e Plutarco, e Dione Cassio, e Xifilino, e Svetonio, Cassiodoro, e Paolo Diacono, oltre a molti altri storici che per incidenza ne hanno parlato. Dopo questi antichi, per molti secoli fino al dominio definitivo dei Papi, abbiamo una grande interruzione delle memorie delle alluvioni del Tevere; e non è da immaginare che per molti secoli siano state interrotte le inondazioni; e Dio solo sa quali scene d'orrore abbiano esse operato in sì lungo corso di anni.

La storia delle alluvioni accadute sotto il dominio dei Papi, viene sufficientemente esposta dall' abbate Filippo Maria Bonini in opera dedicata a Papa Alessandro VII, della quale devo la cognizione all'ottimo mio amico il dotto ingegnere Cav. Camillo Ravioli. In fine non credo superfluo chiamare le persone dell'arte a vedere e ponderare la lapide commemorativa affissa internamente all'ingresso del palazzo dei Serlupi, che un tempo fu casa dei Crescenzi; nè l'altezza cui giunse il Tevere in questa escrescenza fu la maggiore, poichè da altre memorie

riportate dal citato Bonini se ne imparano delle precedenti di molto superiori.

Un simile criterio esposto a guida dei dotti uomini dell'arte idraulica, sono sicuro temprerà l'ardore dei tanti e varii progetti che voglionsi proporre, siccome già se ne susurra per la nostra città.

Già ho detto avanti quale sia l'illusione di coloro che propongono un rialzamento di suolo in tutte le parti della città accessibili alle inondazioni: ed ora dirò della immaginosa idea di chi propone di arginare il fiume. Costoro, oltre che non rispettano l'esperienza di tanti secoli, dimostrano negare il credito giustamente dovuto al sapere degli antichi romani, ai quali non mancavano nè cognizioni sulle acque e maggiormente sul loro Tevere, nè forze, nè mezzi di farvi gli argini qualora l'avessero creduto un savio e giusto spediente, siccome lo riconobbero in vari fiumi del mondo, ed in moltissimi dell' Italia, dei quali per brevità citerò il solo fiume Po. Le immense forze di Augusto ed Agrippa insieme, crederono unico espediente quello di curare l'alveo e le sponde ed il fondo del fiume: e questa fu la sola opera fattavi da essi, che per essere invigilata e duratura fu instituito un magistrato dei più valevoli uomini dell'impero, i quali con tutto il sapere ed autorità loro ne procurassero l'usata manutenzione.

Coloro che opinano doversi arginare il fiume, propongono una gran fossa parallela al medesimo fiume, la quale avesse da ricevere tutti gli scoli e cloache della città, e così tolta la loro comunicazione col fiume, questo per le medesime non più possa per loro mezzo introdursi in città ed allagarla.

Chi vagheggia l'idea di questa fossa dimostra non conoscere il paese e le sue speciali condizioni. Imperocchè la Roma attuale sotto terra ha abbondanza di corpi d'acqua, i quali tutti per meati si conducono al fiume. Lo scavo di una fossa parallela al fiume impedendo la comunicazione delle molte acque sotterranee col medesimo, queste tutte verrebbero a riversarsi nell'apertura fatta loro dinanzi col mezzo di questa fossa.

Chi non conosce chiaramente questa singolare natura del nostro terreno, mi figuro abbia per lo meno veduto le molte acque che sogliono venire incontro negli scavi di nuovi fondamenti per fabbricati: ma ciò non è tutto, e bisogna sapere che torrenti corrono sotto questo terreno. Uno di questi si trova sotto al palazzo di Venezia; altro sotto la piazza del nuovo Liceo o Collegio Romano, e chiesa di s. Ignazio, dove in tempo della loro fondazione, l'acqua che si presentò fu tale e tanta,

che quasi si fu in procinto di sospenderne l'opera. Molte altre acque discendono in questo nostro piano dalle alture di piazza Barberina e continuazione del colle fino al Pincio, luogo conosciuto dagli antichi col generico nome di Collis Hortulorum; e molte altre dal Quirinale che superficialmente appariscono nei fonti detti di s. Felice e del Grillo; e nelle vallate tra il Quirinale, l'Esquilino, ed il Viminale, molte acque si alimentano sotto terra: e nelle parti di s. Vitale, benchè affogata dagli antichi, esiste sempre sotterra la Palude Caprea, nè si sarà mai estinta: altro corso sotto la chiesa e convento della Vittoria, vasto capo d'acqua rinvenuto allorchè Diocleziano fondava le sue Terme, quale acqua alimenta ampio acquedotto, che il volgo chiama acqua di Sallustio per la vicinanza degli Orti Sallustiani. Le acque Lautulae degli antichi, nelle vicinanze della chiesa dei ss. Quirico e Giulitta, anche queste non si sono sicuramente estinte; chè da esse deve aver preso il suo nome la non lontana Via dei Pozzi; come ancora le medesime certamente alimentano le inestinguibili acque che compariscono nel Carcere Mamertino ed ai piedi dell'arco di Settimio Severo; ancora la medesima acqua fu scoperta nel pontificato di Alessandro VII, per scoscendimento di terreno da esse operato tra il tempio di Antonino e Faustina, e quello dei Castori. Altr'acqua scorre sotterranea nella piazza di s. Maria in Vallicella, che mantiene costantemente allagate le più profonde cantine delle case in Via dei Cartari: nome che io suppongo venutole da fabbricanti di carta, che un tempo profittassero di quelle acque per la loro industria. Ma che dirò delle acque che scorrono da sotto il Palatino verso il Velabro? che di quelle sotterranee del monte Vaticano e della medesima Basilica? che di quelle discendenti dal Gianicolo, che per ciò la via sotto ad esso parallela al fiume, presso gli antichi prese il nome di Via Fontinalia? che del grosso capo d'acqua che sorgendo dalla prossima collina traversa la basilica Ostiense di s. Paolo ?

Queste e molte altre acque incognite a me, e forse a molti altri, che invisibili scorrono in questa immensa pianura nel buio del segreto, credo rendano impossibile l'effettuazione di una fossa parallela al corso del Tevere; e qualora come voglio credere, questa non avesse da raggiungere il pelo delle surriferite acque sotterranee, sarà però cosa certa che nelle esuberanze del fiume la fossa verrebbe invasa dalle irruenti acque, nel modo stesso che in questi casi vediamo comparire le acque del Tevere in tutte le cantine delle case situate alla portata

delle escrescenze, come ancora ciò si verifica in tutti i pozzi che si trovano in simili condizioni. E grande è la maraviglia di queste acque invadenti, le quali, in pochi minuti non solamente s'infiltrano nel terreno fino a distanze di 800 e 1000 e più metri, ma anche conducono seco materie estranee come terra e creta, che restano nei luoghi occupati allorchè le stesse acque vengono richiamate nel fiume per depressione di livello.

La certezza della molta acqua sotterranea che continuamente per vie segrete si scarica nel fiume, risulta dalla esperienza, che nelle infime condizioni del fiume, misurate le acque correnti prima che giungano in Roma, si trovano inferiori quasi della metà al volume che scorre dalla porta del Popolo a san Paolo Ostiense; e ciò senza computarvi del tutto le acque degli acquedotti.

È da osservarsi e considerarsi seriamente tutto il piano di qua e di là del Tevere, non composto di altro che di terra vegetale ed argilla fino a grandissima profondità, che poi finisce in strati d'acqua. Non sono che deposizioni dello stesso fiume operate lentamente da tempi anteriori ad ogni immaginazione, ad ogni memoria. L'esperienza di questo fatto in Roma è continuo e giornaliero negli scavi dei fondamenti per fabbricati. Ora la natura di questi piani rappresenta una sponga che assorbisce le acque del fiume, e maggiormente ancora allorchè forte si fa sentire una pressione per le inondazioni, causa di quanto è stato detto che accada nei pozzi e nelle cantine.

Ma questo sorprendente effetto io credo non possa annullarsi nè per ostacoli nè per argini, i quali per le infiltrazioni così potenti e quasi istantanee verrebbero invasi dalle acque esternamente ed internamente con loro inevitabile rovina.

Considerate dunque le circostanze speciali di questo nostro fiume, e quelle di tutto il terreno in mezzo al quale esso scorre, bisogna confessare che saggiamente fecero gli antichi romani, a non opporsi al Tevere con quelli stessi mezzi che si opposero a tanti altri fiumi, ed al Po come ho detto.

Augusto dunque spurgò il fiume, gli ridonò le sue sponde naturali, rimovendone ogni impedimento; e noi intanto non dobbiamo fare niente più di ciò; imperciocchè presentemente gl'impedimenti apposti, per abusi secolari, alle sponde del Tevere sono tali e tanti, che sembra incredibile siansi sopportati fino ad oggi, particolarmente dopo gli studi fatti dagli ingegneri Chiesa e Gamberini nel pontificato di Benedetto XIV.

Concludo che, tutti i rimedi che si propongono in Roma e nelle vicinanze di Roma, siano inefficaci e conducenti ad enormi

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