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l'esatta misura di esso poichè, come dissi, mosso dal posto soffrì una qualche alterazione nelle sue dimensioni. Quivi il santo prete Cesidio offriva il sagrificio eucaristico rivolto all'oriente, e poteva essere comodamente veduto dai fedeli, raccolti nelle navi che accompagnavano la sua oblazione con fervorose preghiere; ed uni egli stesso all' oblazione salutare l'olocausto di sua vita quando, come accennai, dai sgherri recisogli il braccio destro, e poscia trapassato da spade cadde spento ed intriso del proprio sangue ai piedi dello stesso altare.

Sento però dirmi da voi con meraviglia, o colleghi, che per le date misure era troppo grande questo oratorio avuto riguardo ai tempi della persecuzione nei quali i fedeli amavano piuttosto nascondersi nei piccoli antri, e quivi tenere le adunanze del culto divino.

Cesserà poi la vostra meraviglia indicandovi l'edificio principale di cui l'oratorio faceva parte. Rammenterete quello che dissi da principio sull' abitazione che Claudic imperatore erasi edificata nelle vicinanze dell' emissario fucino per suo comodo allorchè recavasi a visitare i lavori, e dei giuochi multiplici ivi in varie congiunture sotto i suoi occhi celebrati; e dissi eziandio che di tale abitazione imperiale, se ne vedono i ruderi nella piazzetta di Trasacco ed attigui alla basilica. Ora dopo aver fissato la pianta rettangolare dell' antico oratorio vi accenno ai n. 40. e 44. i ruderi dell' indicato edifizio col quale è unito perfettamente il muro di cinta che aveva il primitivo ingresso nell'oratorio.

L'area occupata dall'oratorio ora divisa per mezzo di otto pilastri in tre navate con l'altro muro di cinta b. c. d., questi pilastri collegati da archi soreggevano le volte a crociera, e perciò la conformazione architettonica di quest' edifizio era quella di un portico chiuso come erano gli antichi Giani dove potesse intrattenersi la gente al coperto per la vicinanza del foro al n. 4., oppure era quella di un piano terreno che serviva ad uso di magazzino; o in fine seguendo la tradizione popolare del paese, che ristretta fra gli abitanti di un piccolo luogo è più facile che mantenesse la primitiva verità, serviva quell'edifizio ad uso di stalle dove si custodivano i numerosi cavalli dell'imperatore e della sua corte. In qualunque di tali ipotesi formava parte quell'edifizio della casa imperiale.

Sarà poi vera l'esistenza di questa casa imperiale? Non

v'hà dubbio, o colleghi, che Tacito parlando al luogo citato (1) dell' emissario claudio, e descrivendo minutamente le feste celebrate da quell'augusto nella circostanza che fù aperto il corso alle acque nei cunicoli di quello, non fà alcuna parola dell'edifizio che Claudio a poca distanza dall'emissario, e su la riva del lago erasi fatto edificare; ma in buona logica un argomento negativo poggiato sul silenzio di uno storico potrà distruggere l'argomento positivo che emerge da un monumento publico ancor superstite, e a tutti visibile? argomento negativo cui ancorchè si voglia dare alcun peso non sarebbe esso in opposizione col monumento (che pur ingerirebbe una qualche difficoltà ad ammetterlo) ma anzi è con quello nel più pieno accordo? Perlochè non dubito di affermare che dalla descrizione di Tacito emerge un argomento positivo sull'esistenza di tale edifizio. Difatti Claudio spesso recavasi colà per vedere il suo importante lavoro, e questo terminato per celebrare l'apertura volle dare solenni spettacoli; vi si recò egli stesso con Agrippina sua moglie, come ne accerta anche Plinio (2) seguito da nobile corteo: descrive Tacito accuratamente tutto l'apparato di machine per' mezzo delle quali una gran parte del lago Fucino fù ridotto ad anfiteatro per la naumachia; pone sott'occhio l'innumerevole popolo dei spettatori accorsi da più parti che non solo presero posto su le inferiori gradinate costruite a bella posta di legno sulle ripe, ma occupò eziandio le alture dei colli che cingono d'intorno il Fucino; ricorda quello storico come dopo lo speltacolo navale fosse aperto il passaggio alle acque per il nuovo traforo, le quali per l'impeto del loro sbocco scossero con grande fragore la regione tutta seco traendo anfiteatro e spettatori; dipinge lo spavento mortale dal quale furono costoro compresi non esclusa Agrippina che incolpò l'ingegnere Narciso come causa di tanto disordine che convertì la letizia in lutto. Da tale istorica narrazione ne discende per necessità che Claudio doveva avere un luogo per ricovrarsi perchè l'escavazione dell'emissario non durò giorni, nè i giuochi ivi esercitati durarono ore da poter ricondursi alla dominante; non doveva mancare eziandio un luogo adatto dove ricovrare il numeroso seguito dei servi,

(1) Tacitus Annal. ut supra.

(2) Plin. 33. 19. parla della presenza di Agrippina a questa festa e la descrive vestita di paludamento auro textili.

e dei cavalli. Sono queste ragioni di congruenza che non fanno opposizione veruna al passo storico di Tacito, ma che unite all'esistenza del monumento paralizzano la forza dell' argomento negativo basato sul silenzio di quello storico. Il monumento del quale intendo fare cenno sono quei ruderi contigui al portico, o giano chiuso segnati in pianta ai n. 40, e 41 che dalla buona costruzione conviene riportarli all'aurea età per le arti presso i romani, e siccome codesti ruderi formano col portico accennato una continuazione di edifizio non ripugna che questo abbia servito agli usi di sopra accennati e forse in questa sua abitazione che rimaneva vicinissima allo sbocco dell' emissario era collocato il Pulvinar dal quale Claudio con l'augusta Agrippina sua consorte facevasi spettatore del navale combattimento (4). D'altronde non trovasi sulle ripe del Fucino altro luogo che presenti alcun avanzo di quella romana epoca specialmente in

(1) Da una iscrizione che dicesi scavata in quei d'intorni e che oggi vedesi collocata con altre nell'atrio degli uomini pensavano alcuni dedurne che questa stasse posta in qualche parte di quest'edifizio imperiale come monumento perenne dell'anfiteatro, delle pugne esercitatevi, e del misero fato cui soggiacquero molti degli astanti, e specialmente gli operaj machinisti che avevano avuto parte nella costruzione di quello, e ne diriggevano le varie mutazioni spettacolose. Ecco l'epigrafe:

AMPHITEAT

HOC FUCEN IMP

R HIC M HOM

FORMID AFFECT SI FV
MISERCVR ANNVRBCO

Il primo a pubblicarla fù il Corsignani nel suo libro de viris illustribus Marsorum come eragli stata consegnata da un amico qui in Roma unitamente ad altre schede. L'inglese viaggiatore Sir Richard Colt Hoare nella sua opera pubblicata in Londra nel 1819 volume 2. (Sir Richard Colt a Classical tour thouvungh Italyand Sicily tending illustrate some destricts Wich hare vot bean described by Mr. Eustace in his classical tom. London 1819. - 2. vol. ) la rammenta di passaggio ed in modo che sembra di averla veduta. Da ultimo l'illustre archeologo sig. Teodoro Mommsen nella sua opera pubblicata in Lipsia nel 1852 che ha per titolo Inscriptiones regni Neapolitani latinae la riporta con qualche piccola variazione seguendo come sembra la lettura di Hoare, e la colloca nell'appendice al titolo Inscriptiones falsae et suspectac part. septima = Valeriae II. Marsi N. 840. Trasacci pag. 32. Ancor io ritengo con quell'insigne archeologo che l'iscrizione sia falsa dopo averla ben considerata sul luogo, e cavatone ancora un calco; e fra le note di falsità che vi scorgo la più manifesta mi sembra la frase formid. affect. che vedesi desunta da Tacito quando descrive quell'avvenimento. Ne reca ciò meraviglia perchè moltissime iscrizioni del regno di Napoli e specialmente degli Abruzzi vanno insignite della nota di falsità.

prossimità dell'emissario. Dopo tale osservazione la leggenda storica di Tacito non trovasi più col suo silenzio in opposizione del monumento superstite.

Come però poteva il vescovo Rufino e il prete Cesidio impossessarsi di un luogo di pertinenza imperiale, e formarvi un oratorio ?

Dopo che Claudio pose termine al suo emissario che non ebbe felice risultato fin dal momento di sua prima attivazione, lasciò quel luogo in non cale, e fino a Trajano niuno degli augusti che gli succedettero aveva pensato a rendere proficuo un tale lavoro che tanto aveva costato di anni, di spese, e di vite d'uomini solamente a Trajano che si bene amministrava la casa publica poteva venire in mente il pensiere di non rendere inoperoso quel lavoro gigantesco dei suoi antecessori, e di accingersi ad un nuovo tentativo che ottenesse il pieno effetto. Deluso anch'egli nella speranza lasciò l'emissario Fucino nel totale abbandono, e sorte eguale toccò all'abitazione imperiale di Trasacco. Niuno degli augusti successori di lui ebbe campo di pensare al lago Fucino perchè occupati da avvenimenti più gravi che si succedevano nell'impero romano, e perchè avevano veduto ogni tentativo riuscire inutile. (1)

(1) Nel 2 decembre 1804 sulla via consolare fra Alba e Luco in uno scavo fù scoperta questa iscrizione. >>

D. M. S.

M. MARCIO. M. F. FAB
IVSTO. VE. T. DIV. HAD
EQVITI. CHO. VII. PR.
IIII. VIR. AED. IIII. VIR. I. D.
CVRATORI. ANNO II.
CVRATORI. AQVEDVCTVS
VIX. A. LXV.

M. MARCIVS. EVTYCHES
ET. MARCIA. RESTITUTA
PATRONO. OPTIMO. SVIS
AMANTISSIMO. B. M.
ET SIBI SVISQUE POS
TERIS EORVM

HVIC MONVMENTO

TERRA CEDIT

IN FRONT. P. XXXV. IN. AG. P. LX.

Il primo a publicarla fù Tommaso Brogi d'Avezzano nel giornale enciclopedico di Napoli 1807 t. 1. pag. 237 poscia l'avvocato Angelo Minicucci di Avezzano di

Erano decorsi 114. anni dalla morte di Trajano all' impero di Massimino il Trace, quando trovandosi la fabbrica im

nuovo publicolla in apposito opuscolo che aveva per titolo a illustrazione di un Cippo sepolcrale esistente in Avezzano cò dettagli sull'acquedotto Claudiano presso al quale fù dissotterrata nell' anno 1804 Aquila 1817. » Dopo il Minicucci parecchi altri ne fecero menzione siccome riporta il lodato Sig. Mommsen, il quale ritenendola per sicura non manca di riportarla con alcune varianti nell'encomiata sua raccolta d'iscrizioni a pag. 299. sotto il progressivo numero delle iscrizioni 5630.-Titolo Alba Fucensis. Di presente questo cippo trovasi presso il convento de' pp. Cappuccini di Avezzano.

Da questa iscrizione apparisce che l'imperatore Adriano ancora facesse qualche operazioue nell'emissario claudio avendo posto quel Marco Marcio a Curatore del medesimo in tal caso sarebbe stato di poco protratto l'ultimo lavoro nell'acquedotto perchè Adriano fù successore immediato di Trajano.

Dipoi passarono molti secoli silenziosi su la sorte dell'emissario. Lo svevo imperatore Federico II. e l'aragonese re Alfonso I. molto s'istudiarono per nettarlo dallo interrimento che lo aveva ingombrato, ma per difetto di macchine, e di perizia nei direttori del lavoro le loro mire non ebbero alcun buon risultato. Nel 1786. per lo straordinario rigonfiamento del lago, che apportò gravissimo danno ai paesi che lambisce, il re Ferdinando IV. detto il I.ordinò che si pensasse seriamente al nettamento dell'emissario; furono principiati i lavori nel 1791 dalla parte dello sbocco nel Liri, ma perchè non fù scelto un metodo a proposito, e per l'influenza delle politiche vicende il lavoro non ebbe veruno effetto propizio. Per un grandissimo allagamento del Fucino nel 1819 furono di nuovo dirette le cure del governo napoletano ad ovviare a tale gravissimo inconveniente col porre la mano al nettamento dell' emissario. Passarono però 9 anni nel discutere proggetti finchè nel 1825 fù approvato dal rè Francesco 1. il proggetto del commendatore Alfan de Rivera direttore generale dei ponti e strade; nell'aprile dell'anno seguente ebbe principio il lavoro sotto la direzione del cavalier Giura, è subito apparve quanto grave cosa si fosse lo spurgamento di quell'immenso canale. Si adottarono a tale uopo presso a poco quegli stessi mezzi che furono adoperati da Brunel per il Tunnel sotto il Tamigi. Progrediva il lavoro quando il Marchese D'Andrea fù chiamato a reggere il ministero delle finanze dal quale tutte le publiche opere dipendevano, e mentre faceva compiere il bellissimo ponte a catene di ferro sul Garigliano, spiegò la più grande energia per l'andamento dei lavori dell'emissario claudio. Dopo aver reso minuto conto al re su quel tanto che si era eseguito, impegnò quell'augusto sovrano anche conducendolo sul luogo nel 1832 affinchè mettesse a sua disposizione quei mezzi pecuniari ch' erano necessari al compimento dell'opera. Fù proseguito con tutta alacrità il lavoro operando contemporaneamente in tre diversi punti per accelerare sempre più lo sgombramento: non possono enumerarsi i gravi ostacoli che s'incontrarono dove mancava l'aria, dove il gas idrogeno sciogliendosi in istraordinaria quantità si accendeva al contatto dei lumi; là istagnavano le acque infiltrate per le dirotte pioggie, quì enormi massi di stalattiti, e le pareti crollate dello speco impedivano il passo; talvolta ancora spiccavansi dalle pareti grossi macigni che apportavano la morte agli operai. Superate queste immense difficoltà sempre più vedevasi ingigantire l'impresa in modo da rimanere sopraffatto l'animo il più intraprendente. Sopraggiunsero le ultime calamità dei tempi che fecero volgere la mente di chi imperava ai bisogni maggiori che minacciavano mali di conseguenza tristissima, e lo sgombramento dell' emissario fucino rimase sospeso. Ma l'animo generoso di Ferdinando II. vedendo crescere ogni dì gli allagamenti del Fu

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