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sto suo grande ministro che altamente seduto sul trono della luce distribuisce e vibra in tutta la creazione il moto e la vita, ti sentirai compreso di giocondissima meraviglia. E allora farai un riso di compassione sull' intonso nume di Delo, sul biondo figlio di Latona, e su quanti altri sterili nomi gli profonde la poesia greca e latina.

GUID. Allora però che questo figlio di Latona irato contro gli Achei e avvolto di tenebre scende giù dalle cime d' Olimpo, e al nutar de gran passi le saette chiuse nella faretra orrendamente gli suonano sulle spalle (1), ci guarderemo dal ridere de'suoi titoli, , per timore ch' egli in vece di saettare l'esercito di Agamennone non saetti i suoi derisori. Ma a proposito di Latona hai tu presente quel passo ove Dante tocca il parto di questa Dea, cioè il nascimento di Apollo e Diana ?

PERT. L'ho presentissimo: ed ho pure notata l'arte con che egli entrando bene spesso ne' campi della mitologia insinua per occulto sentiero anche nelle favole la sua sapienza, per modo che le idee più trite o, come il volgo le chiama, fritte e rifritte, prendono nella sua fantasia cert' aria

(1) Iliade', l. 1. v. 44 e seg.

di novità, certo spirito, certa grazia, che fuso tutto in bei versi, svegliasi nel lettore una subita ammirazione accompagnata da inaspettato e caro diletto.

GUID. Ben vorrei che quert' arte fosse un poco studiata da quei poeti che senza discrezione insaccano ne' loro componimenti la mitologia, e ne fanno senza mica di sale un' olla spagnuola.

PERT. Abbandoniamo al riso de' savi questi poveri di giudizio, e veniamo al passo da te ricordato. Dante vuole esprimere un terremoto accaduto nella montagna del Purgatorio (c. XX,. v. 130) più forte di quello che, secondo la favola, agitava continuamente l'isola Delo prima che Latona vi partorisse Apollo e Diana. Or odi nel significare questo parto novità ingegnosa di poe

sìa:

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Certo non si scotea si forte Delo

Pria che Latona in lei facesse il nido
A partorir li due occhi del cielo.

Ovidio nel quarto delle Metamorfosi, v. 228, chiamando il sole Occhio del mondo aveva già delibato questo pensiero mirando forse a Platone, che in quel suo notissimo epigramma amoroso conservatoci da Laerzio chia

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ma Occhi del cielo le stelle (1) metafora leggiadrissima, imitata poi dall' Ariosto, Fur.: XIV, 99, e dal Tasso, Ger. X, 22, e arditamente da Plinio, l. II, c. 5. Dante però che non usurpa mai cosa ad alcuno senza farla migliore; considerando che gli occhi del cielo per eccellenza, secondo il giudizio de' nostri sensi, sono veramente il sole e la luna, ha concentrata in questi due fuochi tutta la sparsa luce dell' idea platonica, e rendendone più vivo l' effetto, ha reso nuovo anche il concetto e più poetica l'espressione. E qual sia la scaltrezza di Dante, nel piegare, ad abbellimento del suo stile la mitologia piacciati ch' io il dimostri per altri esempi.

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L' Eco: Il parlar di quella Che amor consunse come sol vapori.

La costellazione di Gemini: Il bel nido di Leda.

La stella di Venere: Il bel pianeta che ad amar conforta.

Saturno: Il buon re sotto cui giacque ogni malizia morta alludendo al secolo, che secondo la favola fu sotto il

d'oro,
regno di questo Dio.

(1) Mentre tu guardi il cielo oh potess' io
In quel cielo cangiarmi, Asterio mio!
Onde dall' alto vagheggiar con mille
Occhi il sereno delle tue pupilie.

Gli Argonauti: Quei glorïosi che ro a Colco.

passa

Atene: la villa, Del cui nome ne' Dei fu tanta lite (tra Nettuno e Pallade), Ed onde ogni scienza disfavilla.

L'iride e l' alone della luna. I bei colori, Onde fa l'arco il sole e Delia il cinto, e mille di questa fatta; ne' quali è ben cieco e in ira alle Muse chi non vede e non sente il brio d' una favella tutta nuova, tutta fiorita di vergini fantasie che infondono a idee gia morte novella vita, e le fatte per lungo uso già vili ringentiliscono.

GUID. Parmi che ormai tu sia entrato assai bene ne' segreti della sua poesia, la quale per vero è tutta scienza convertita in immagini armoniose che or come rivi abbondanti gli scorrono dalla mente, ed ora in brevi tratti scintillano, e a a guisa di lampi improvvisi percuotono l' intelletto. Allorchè p. e. egli chiama Favella della mente il pensiero; la favella che in tutti è una l' intimo sentimento; la virtù che a ragion discorso ammanna l' estimativa; il libro che segna il passato la memoria ; la vigilia de' sensi la vita; il fondamento che natura pone l' indole ecc., certamente egli usa un linguaggio ispirato dalla filosofia e più gravido d' idee che di parole, un linguaggio

al

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che ferisce a guisa di rapido occulto dardo la mente, e l' avverte di porre attenzione sugo della sapienza in quei brevi tocchi rinchiusa. Similmente allorchè chiama la contrizione Il buon dolor che a Dio ne rimarita; e Primo di il principio del mondo, e Ultima notte il suo fine e Ultima giustizia il dì del giudizio, e il primo superbo Lucifero, ecc., anche questo è un parlare, che dice più che non suonano le parole. Quando ancora chiama Vagina delle membra la pelle; Coloro che questo tempo chiameranno antico i posteri; La gente che per Dio dimanda, i poverelli; il colore che ci fa degni di perdono l' arrossire ; e trar la chioma alla rocca il filare; e ; e il balbettare de' bambini idioma che pria li padri, e le madri trastulla; e specchio di Narciso la fonte ecc., quantunque le idee qui sieno di secondo e terzo ordine, e altrove pure dell' infimo, come quando col morso dell' unghia espresse il grattare, nulladimeno anche in queste perifrasi si riconosce un far peregrino che recando tutto in immagine rende la poesia di Dante singolarissima da tutte le altre. Che se i suoi versi talvolta non suonano si numerosi come quelli del suo maestro, e l' elucuzione non è sempre lucida e chiara, egli è da avvertire

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