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LEZIONE

DEL

CANONICO GIUSEPPE SILVESTRI

SOPRA LA

DIVINA COMMEDIA

Che la Commedia di Dante è poema sacro, e morale.

Fiero sdegno mi prende all' animo, stu

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diosi Giovani, qual volta ho contezza, che uomini di creduta letteratura quasi sedenti a scranna sentenziano in tuono, e in aria di gran bacalari, che il poema di Dante è venuto oggidì in tanta fama, ed onore per segreto artifizio di chi vorrebbe sottratto il mondo da ogni legittima autorità.

O creature sciocche

io grido allora con Dante istesso

Quant'è quella ignoranza che vi offende, (1)

е aggiungo poi col Petrarca

vo,

Poco vedete, e parvi veder molto. (2)

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In quella guisa, e talora più indegna parla di Dante chi non ha letto che a salti la divina commedia, e solo ha posto mente a certi squarci, ove il poeta, alma, quale egli si chiama, sdegnosa, (3) altri morde, altri condanna, altri vitupera senza riguardo a nascita, a dignità, a potenza: onde lo credono un cittadino disamorato, e vendicatiche spenta in se ogni carità del suolo natio si abbandona, ovunque il destro gli si presenti, alle più fiere acerbità contro la patria per isfogo dell' animo infellonito dell'esilio. Lo reputano un miscredente, e nemico della Chiesa, calunniatore del sacerdozio, e d' ogni Ordine religioso: lo chiamano sovvertitore dell' ordine pubblico, e pieno di mal talento, e di rea intenzione contro d'ogni costituita autorità: lo vogliono insomma un uomo torbido, irrequieto, fanatico, ed impostore, che intollerante della

(1) Inf. cant. 7.

(2) Nella canz. Italia mia ec. (3) Inf. cant. 8.

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propria calamità vorrebbe pure mettere a soqquadro il mondo per la rea compiacenza di vedere, quasi a propria vendetta, gli altrui danni, e ruine. Dio buono! che pensamenti son questi contro un' anima grande, e gentile, che voi uniste a corpo mortale per onorare la nostra specie, ed insieme a dimostrazione della vostra sapienza nella imagine vostra! Ben so dall' istoria, e dal poema stesso lo veggo, che l' Alighieri non andò esente da quei difetti, ed anco, se il vogliam dire, da quelle colpe, che fanno fede dell' umana fragilità, e corruzione No non crediate che nel corso di queste lezioni mi sia proposto mostrarvelo di una vita così incorrotta, di un pensar così santo, e di un giudizio così imparziale nel bollore delle fazioni, e dei partiti, che io voglia per soverchio di tenerezza, e di devozione verso il suo ingegno maraviglioso, e verso il divino poema, tener per oracolo come altri fecero, ogni suo detto. Io non m'asterrò all' occasione di farvi accorti, e avveduti del suo dire troppo avventato quando egli d'animo altero, e disdegnoso molto, come chiamollo il suo gran lodatore il Boccaccio (1), trascorre all' ira, e talora al

(1) Vita di Dante

T. II.

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la bile contro alla patria, e quando per izelo poco discreto si dà sì forte a inveire contro del vizio, ch'e'par volere oltraggiare, e vituperare i viziosi; e quando pieno, e caldo del desio della italica prosperità sembra deprimere, e conculcare ogni sacro, e civil reggimento. Si ch'io voglio mostrarvi Dante non solo per quel lato, in che appare nume all' Italia ma in quello ancora, in che mostrasi uomo sì nella vita che nel poema: ma tuttochè io protesti di tanto fare, pure ritornando alla sentenza di que' saccenti dico, che quella si è vana, e sciocca, perchè proferita senza esame, e senza cognizione di causa; e mi propongo di dimostrarvi, che la Commedia di Dante è un poema veramente sacro, e morale, e che lungi dal fomentare il filosofismo, ossia ogni disordine si religioso che civile, è anzi attissima ad ingerire ne' suoi lettori l'amore di Dio, la riverenza verso la Chiesa, ed il sacerdozio ; a colmare gli animi d'orrore contro ogni vizio, e di accenderli alle virtù sì evangeliche che cittadine; che quello è insomma il poema della religione, e della morale. La presente lezione sarà come il proemio di quelle più, che in questo, e negli anni appresso ho in animo di comporre per aiutare i semplici giovinetti dal reo giudizio de' presuntuosi

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saccenti, e per tentare d' esser pur io ancorchè in ultimo luogo del bel numer' uno di quelli, che raccesero in Italia l'amore alla divina Commedia .

Qual fosse l' intendimento di Dante nel ond' ebbe a porsì gran poema,

comporre

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tare tanta fatica cel mostra chiaro egli stesso là ove scrisse quegli alti versi

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Se mai continga che il poema sacro
Al quale ha posto mano e cielo e terra,
Sicchè mi ha fatto per più anni macro
Vinca la crudeltà che fuor mi serra

Del bello ovile, ov' io dormii agnello
Nemico a' lupi, che gli danno guerra;
Con altra voce omai, con altro vello
Ritornerò poeta, ed in sul fonte

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Del mio battesmo prenderò il cappello ;
Perocchè nella fede, che fa conte

L' anime a Dio, quiv' entra' io, e poi
Pietro per lei si mi girò la fronte . (1)

Che vorrebber di piu i nemici di Dante a dichiarazione della sua mente, e de' suoi sentimenti nella composizione del gran poema? Quand' io non avessi mai scorso la divina commedia, e solo mi stessi alle suddette terzine per giudicare del fine propostosi dal poeta, dovrei dire esser quello un poema sacro non solo perchè tale l'autore lo intitola, ma perchè la materia, che

(1) Par. cant. 25.

pur

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