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DELL' AMOR PATRIO

DI DANTE

APOLOGIA

DEL CONTE GIULIO PERTICARI

Abbiamo

I. bbiamo sempre stimata utile l'ope ra di coloro, i quali disputando di alcun' arte, prendono a dichiarare le dottrine di chi ne fu trovatore. Ma stimiamo ancora più utile l'officio di quei pietosi, che si fanno a difendere la virtù degli uomini sapienti, dov' ella sia con ingiuste accuse da' posteri combattuta. Perchè una bella gloria viene all' uomo da' trovati della mente: ma una bellissima poi ne viene dalla dirittura dell'animo, e dalla bontà della vita civile. Imperò avendo noi già spiegate le sentenze di Dante Alighieri intorno la nostra lingua, faremo ora officio forse non vano, nè vile, se qui cercheremo di purgarlo dalla macchia di maligno d' ingrato verso la pa

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tria. Il che si afferma da quanti pensano, ch' ei condannasse le parti plebee dei dialetti toscani, non secondo la sua sapienza, ma secondo l' inestimabile sdegno da lui concetto contro Firenze per lo forte dolore della povertà e dell' esilio. Onde si viene poi conchiudendo, che fuori di ogni umano e filosofico istituto, il fiero poeta volesse. a quella città, che aveagli tolta la propria stanza, tòrre in vendetta la propria lingua. Vendetta vile, stolta, e indegna di quel santo petto per la quale dovremmo abborrire un traditore della patria quivi medesimo, dove i savi onorano il più grande cittadino d'Italia, e l'ottimo e certissimo maestro della nobile nostra favella. Per le quali cose, usciti alquanto dalle disputazioni dei grammatici, entreremo in quelle dei filosofi morali e degli eruditi ; onde si chiarisca bene l'indole dell' Omero Italico: si scuopra se lo sdegno suo si allargasse oltre i termini dell' onesto: si sappia se, vituperando la vana e sordida plebe, vituperasse in quella i magnanimi e gentili Toscani: e se mescolasse le gravi ragioni della eloquenza con le risse e le furie de' ghibellini e de' guelfi.

A disputare le quali cose cercheremo un po' sottilmente le parole di esso Dante :

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vedremo come fossero disdegnose e dove; e quanto e da che fonti movessero le sue dottrine e quale ne fosse il giudizio degli antichi: quale l' opinione de' posteri. E di tutto diremo tenendo l'usato stile ; cioè senza odio: senza passione senza offesa di alcuno. Che se da noi acquisterassi alcun segno di vittoria sovra i nemici dell' Alighieri, non sarà nostra la lode : ma ne verrà una bella corona a Firenze patria degna di quel divino, e la gentilissima di tutte le città che risplendono per Italia.

- II. Niuna cosa in questa vita trovasi così dolce, niuna così diparte gli animi da viltà, e gli sveglia ed aiuta a belle opere ed onorate, come l'amore del loco natio, che scalda tutti gli uomini; ma più accende coloro che hanno più alto l'ingegno e il cuore: de' quali certo fu Dante. Onde chi li consideri, quegli altissimi canti or dolci, or'aspri, ora pietosi or terribili fanno perpetua fede, che egli amò sempre la sua repubblica: non già a modo di lusinghiero, c falso adultero, ma di casto e virile amatore. Percliè le patrie si guastano o pe'mutabili costumi del volgo, o per le varie perturbazioni de' governamenti, e chi loda quelle malizie non debbesi dirsene amico, ma più tosto avversario o stupido o scel

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lerato; stupido s' egli non vede la miseria che tutti veggiono scellerato se, veggendola, palpa gl' iniqui, e conforta il pubblico sonno con vuote e feinminee cantilene, poco dissimili da quelle che le nudrici cantano sovra le culle. Ora al vedere la diletta patria in grande infermità, Dante gridò da' suoi poemi alcune parole acerbissime, come già Catone il maggiore, quando dalla ringhiera della piazza fulminava i costumi di Roma (1), dicendo che con ferro e con fuoco si doveano sanare le piaghe che la guastavano. E tali pure suonarono le rigide orazioni di Socrate, di Publicola e di Solone, che furono i cittadini più grandi de' più grandi popoli. Alla guida di costoro adunque andò il grave e nobilissimo nostro Poeta, degno di vivere al tempo di que' vecchi: perchè tutto pieno di quell'antico animo: nulla curante di farsi grato a' suoi non di ricovrare le ricchezze, i magistrati e la perduta casa : ma solo di ritornare la sua nazione all' onore smarrito. Il che apertamente si dichiara per que' luoghi stessi, che si recitano a provarlo cittadino maligno. Perciocchè ivi scaglia, è vero, tutti i dardi, anzi i fulmini della eloquenza:

(1) Plut. in vit. Cat. magg.

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