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taperto empiendo di terrore la città di Siena, la quale vedevalo vicino alle sue porte con sì poderoso esercito. Ma Arrigo aveva cessato di essere formidabile, chè fermatosi per malattia a Buonconvento il 24 di agosto, non senza gravi sospetti di avvelenamento (30), il suo nome non era più che una memoria (31). Produsse la morte di Arrigo una gioia ne' suoi nemici, una tristezza e lacrime molte nei ghibellini; e l' Alighieri se al partirsi di Arrigo da Firenze senza evento erali caduto l' animo, ora non più vagheggiava nella sua mente la dolce speranza al ritorno fra' suoi. E vedendosi costretto a provare

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Lo

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pane

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sì come sa di sale

altrui, e com'è duro calle
Lo scendere e il salir per l' altrui scale

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conosceva non restarli altro mezzo al ritorno se non levarsi in tanta fama da muovere desiderio di sè in quelli stessi che lo avevano cacciato. Ma prima di seguire il Poeta nelle sue peregrinazioni è qui luogo a far cenno di alcune sue opere .

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Questi.

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Buonagiunta da Lucca

è Buonagiunta

Femina è nata e non porta ancor benda,
Cominciò ei, che ti farà piacere

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La mia città

Oh! beati que' pochi che seggono a quella mensa pane degli Angeli si mangia

ove il

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.. Ed in adunque che non seggo alla beata mensa ma a' piedi di coloro che seggono ricolgo di quello che loro li miseri alcuna cosa ho riservata.

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ca de

.

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per

,, per che ora

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vito.

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intendo di fare un generale con

Nel

el tempo che Arrigo era venuto in Italia, non era stato ozioso Alighieri. Egli avea studiato la politica sotto Brunetto Latini, l'aveva studiata nelle opere di Aristotele, l'aveva studiata nelle istorie dei popoli che già erano stati. Ma guerriero, ambasciatore,

magistrato, esule, abitatore di una corte aveva certo appreso più di quello che non insegnano le morte pagine dei libri, che non imparasi fra le mura di un gabinetto. Bramoso della concordia degli Italiani egli conosceva che a dirigere gli animi ad un solo fine si voleva una forza unica e potente, che sovrastasse a tutti. Filosofo profondo, non volendo essere accusato di aver nascoso il talento come il servo della parabola evangelica, ma desiderando che questo talento fruttificasse, fattosi interpetre di quelli ch' ei credeva, ed erano forse bisogni del tempo, scrisse il trattato - Della Monarchia (32). Ghibellino il Poeta in quello mostrando che i discendenti di Romolo ebbero diritto ad esercitare la universale monarchia, e schierando i prodigi concorsi a stabilire a promuovere ed a conservare la maestà del popolo romano, sosteneva poi l'immediata dipendenza del monarca da Dio; e ribattendo, gli argomenti tratti dal vecchio e nuovo testamento, dalla donazione di Costantino e da quella di Carlo Magno, restringeva la potestà del Papa all'autorità spirituale. Era egli per questo il detrattore della Chiesa, l' apostolo del dispotismo? No: chè egli si professa in tutto di buon cristiano, ed è mosso sempre a reverenza delle chiavi del cielo. Egli voleva i sacer

doti ristretti al loro ministero di pace; egli voleva la monarchìa delle leggi, non la tirannide dell' individuo: e monarca chiama soltanto colui che fosse disposto a reggere oltimamente ; e quello appellava non dominatore ma padre delle nazioni, non essendo fatte le genti pe're ma i re per le genti. Erano bisogni del tempo perchè l'anarchia e la tirannide toglievan luogo alle leggi. Si apponeva egli male ? il tempo ha dato consiglio: sentiamo Dante redivivo nell' alta mente del Monti :

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da' tuoi delitti offeso Cara Italia, io ti punsi, e tuo flagello Sentir ti feci di mie note il peso.

Serva ti dissi, e di dolorę ostello

Nave senza nocchiero in gran témpesta,
Non donna di provincie, ma bordello.
E tale ti lasciai quando la vesta

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Mortal deposi dalla patria escluso

A' suoi maligna, ed a' non suoi molesta. Or che d'incauta libertà mal uso

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Ti partori buon senno
" e miglior sorte
Alfin ti volge delle Parche il fuso ;
Dagli eterni silenzi della morte

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Å veder mi conduco di pentita
Madre ancor bella le virtù risorte.
S'io t' amai, s' io ti feci un dì scaltrita
Del verace tuo meglio, e ti gridai
Che sol lo scettro ti potea dar vita
Tu che ancor leggi le mie carte il sai.
Divisa, e sconcia da' tuoi vizi in danno
La libertà, diss' io, tu volgerai;

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E la volgesti, e ti crescesti affanno :

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Ch' ove concordia, e amor di patria è morto
Fu de' molti il regnar sempre tiranno,, .

Allora forse, aggiunge il Foscolo, a rifare l'Italia avrebbe innanzi tratto bisognato disfarla, e che le vittorie di un conquista→ tore e la desolazione di più che mezzi gli abitatori suoi, e lo sterminio di alcune città bisognassero a liberarla dalle perpetue e civili carnificine, ed assicurare ai nepoti l'eredità della pace, era verità che Dante sentiva, vedeva e predicava con sapienza e fortezza degna degli amatori non evirati della loro patria. E questa tristissima verità nella corruzione del corpo politico prima di Dante e del Foscolo l' avea sentita Cicerone il quale scriveva: In corpore si quid est, quod reliquo corpori noceat, uri ac secari quod nocet patimur ut membrorum aliquod potius quam totum corpus intereat: Sic in Reipublicæ corpore, ut totum salvum sit, quidquid est pèstiferum amputetur ».

Uditasi dall' Alighieri la morte di Clémente V, che avea traslocata la sedia di Roma, egli scrisse una lettera ai Cardinali esortandoli ad eleggere un Papa italiano : ma essi non risposero a quella se non quasi due anni dopo eleggendo Jacopo di Cahors. Poco dopo, cioè il 14 giugno 1314, Uguccione della Faggiola sorpresa Lucca e ridottala, in sua signoria, Dante lo raggiunse, e in quel

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