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Queste, e le precedenti parole, indirizzava frate, Ilario ad Uguccione della Faggiola che le riceveva insieme con la cantica dell' Inferno e le glosse nella primavera del 1309.

Fermatosi Dante per pochi giorni nel monastero del Corvo si volgeva alla Francia. Giunto in Parigi, ivi confortavasi nello studio delle scienze, e rivolte ad altri obbietti le sue ferventi passioni, tentava riavere quella calma che non trovava più nella terra natale . Là datosi a studiare i libri degli oltramontani dottori, ed avvolgendosi fra le teologiche brighe otteneva fama di robusto disputatore in divinità. Là egli udì le questioni su la luce eterna del Barbantese Ŝigieri, ond'ebbe a dire di lui per eternare il suo valore (chè il bello e il buono va rispettato dovunque si trova):

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Essa è la luce eterna di Sigieri
Che leggendo nel vico degli strami
Sillogizzò invidiosi veri;

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e là sostenne la pubblica conclusione de Quolibet, dichiarandosi pronto a disputare e rispondere a qualunque difficoltà, in qual si voglia materia. E vi sostenne di fatto quattordici questioni proposte da diversi valenti uomini, rispondendo loro senza alcuna interruzione di tempo. Così l' Italiano.

cacciato dalla sua patria per la prepotenza di Francia, andava ad esercitare in Francia il dispotismo del genio (26); nè potendo fare incurvare l'orgoglioso straniero sotto la forza del braccio, lo stringeva_almeno ad inchinarsi riverente a quella dell'intelletto.

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Non era appena giunto in Francia l' Ali

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ghieri, che al trucidato Alberto d' Austria succedeva nell'Imperio Arrigo di Lucemburgo. Eletto per consiglio di Clemente V il 4 novembre 1308, e coronato in Aquisgrana il giorno di Epifania dell' anno seguente, si avvanzava nell' estate del 1310 fino a Losanna. La nuova della elezione di Arrigo e del suo muoversi, faceano sorgere in Dante più forte che prima l' amore del tetto paterno, e gli allargarono il cuore a nuove speranze. Partitosi dalle rive della Senna nel febbraio è fama che egli non fosse degli ultimi a salutare l' Imperatore. Questi in sul finire di settembre, salito su l' aspre vette dell' alpi della Savoia di là scorgeva I'Italia. Principe d'indole nobile e generosa si pose in ginocchio pregando Iddio che gli dasse forza di sedare le rabbiose fazioni. Di

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sceso pel Monte-Cenisio in Piemonte e il 10 di ottobre entrato in Asti, il 6 gennaio 1311 nella letizia del popolo prese in Milano la corona di ferro. Datosi a pacificare le discordie con suadenti parole, rimise i guelfi in Brescia e in Piacenza, i ghibellini in Como ed in Mantova sembrava che egli fosse il destinato a sanare le piaghe d' Italia, e ciascun lo credeva. Queste ed altre opere di Arrigo ponevano tutti in speranza di grandi novità. L' Alighieri per tanto, divorato un corto ed alpestre cammino su le terre di Modena, era venuto da Parma a Porciano, castello dei Conti Guidi (27). Ma vedendo che l' Imperatore indugiava a volgersi alla Toscana, nè potendo oramai tenere il proposito di aspettar grazia dalla Signoria di Firenze, postasi in mano la penna il 16 aprile 1311 dalle fonti d' Arno (28) scriveva ad Arrigo una lettera, e lo andava eccitando in queste parole: « Che con si tarda pigrezza dimori, noi ci maravigliamo, quando, già molto, tu vincitore nella valle del Po dimori non lungi, Toscana abbandoni, lascila e dimentichila

Tu così vernando come tardando a Milano, dimori e pensi spegnere, per lo tagliamento de' capi, la velenosissima Idra? Ma se tu ti ricordassi le cose magnifiche fatte

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gloriosamente da Alcide conosceresti che tu se' così ingannato, come colui al quale il pestilenzioso animale ripollando con molte teste per danno cresceva, in fino a tanto che quello magnanimo instantemente tagliò il capo della vita... Che, o principe solo del mondo, annunzierai tu aver fatto? quando avrai piegato il collo della contumace Cremona, non si volgerà la subita rabbia o in Brescia o in Pavia ? Sì farà certo: la quale altresì, quand' ella sarà stata flagellata, incontanente un' altra rabbia si rivolgerà o in Vercelli o in Bergamo altrove ed infino a tanto andrà facendo così, che sia tolta via la radichevole cagione

di

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questo pizzicore, e divelta la radice di tanto errore. Col tronco i pungenti rami inaridiscono. Signore tu eccellentissimo principe de' principi sei, e non comprendi nello sguardo della somma altezza, ove la volpicella di questo puzzo, sicura da' cacciatori si giaccia. In verità non nel corrente Po, nè nel tuo Tevere questa frodolente bee; ma l'acqua del fiume d' Arno ancora li suoi inganni avvelenano... Adunque rompi le dimoranze, alta schiatta d' Isai : prenditi fidanza degli occhi del tuo Signore Dio Sabaoth, dinanzi al quale tu ado→ pri; e questo Golìa con la frombola della

T. 1.

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