858 PROPRIETÀ LETTERARIA 149-921 Firenze, Tip. "L'Arte della Stampa ", Succ. Landi, Via S. Caterina, 14 Discorso letto nella Sala di Dante in Orsanmichele il 18 febbraio del 1900, e pubblicato lo stesso anno dall'editore Sansoni nella Lectura Dantis. Qui si ristampa con parecchi ritocchi nel testo e molte aggiunte di bibliografia e d'altro nelle note. Il canto de' simoniaci. I. G IOVANNI Boccaccio nella vita che scrisse del nostro poeta (vita, dicasi di volo, a cui ora, per vecchie e nuove ragioni, si torna almeno in parte a credere, poiché il fare e disfare è spesso, alla povera scienza umana, tutto un lavorare) Giovanni Boccaccio in un certo punto si chiede ciò che Dante sarebbe mai riuscito, se quant'ebbe opposizioni, avesse avuto conforti, se quanto gli furono avversi, gli fossero stati favorevoli gli uomini e le cose; e conclude: << Certo io non so; ma se lecito fosse a dire, io direi: che egli fosse in terra divenuto uno Iddio ». Ebbene: senza le traversie e l'esilio, Dante, non che uno Iddio, non sarebbe stato il poeta che fu, né l'opera sua quale venne acquisita alla gloria de' secoli. Ormai tutti concordano nel ritenere che l'idea prima, scaturita semplice dall'amore e resa purissima dalla fede, s'andò determinando e ampliando negli studii filosofici e teologici e nella contemplazione alta e severa di quante opinioni e questioni tenevano allora il campo del sapere; ma ebbe il suo suggello e l'impronta sua piú viva dal dolore, dalla provida sventura, effettrice di grandezza, che a Dante invidiò uno spirito ben degno di tal poeta e di tale invidia : Michelangelo. Fuss' io pur lui! c' a tal fortuna nato |