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e le cortesie della Guelfa del Torriano, piegando all' une e all' altre talora anche gli animi più tetragoni.

Perchè poi, come lo studio della storia conduce a moderazione, così la moderazione alla storia, molto probabile sembra la congettura dell'autor del Veltro 26, che in Udine, alla corte del Torriano, e per istigazione di lui (noto confortatore delle storie, eleganti per quell'età, d'Albertino Mussato), scrivesse Dante la storia delle due parti guelfa e ghibellina. Della quale, non pur ci è serbata memoria dal Filelfo, ma ci è dato il principio così: « Dovendo de' fatti nostri favellare, molto debbo dubitare di non dir con presumptione, o mal chompositamente cosa alcuna etc. 27 ». Gran danno certamente la perdita di tale storia, una delle più belle che si possano fare fra le speciali nostre, e che avremmo avuta così da un contemporaneo ed un Dante. Ma non fu opera del tutto perduta, se maturossi, com'è a credere, in tal fatica salutare, la grande anima di Dante, appressantesi al fine di sua dimora terrena.

(26) P. 174.

(27) Pelli, p. 198.

CAPO XV.

IL PARADIS O.

( 1520 incirca)

4 La gloria di colui che tutto muove.

PARAD. 1.

L'ultima cantica, terminata intorno a questi tempi da Dante, e di che perciò prendiamo qui a dar una idea, è tra le tre parti, tutte difficili e sovente oscure della Commedia, quella che ha nome di più difficile e più oscura. Nè il nome inganna; e invano sforzerebbesi chicchessia di ridestar nel comune de' lettori, l'attenzione che Dante non procacciò a sè stesso. Il comune de' lettori è, e sarà sempre trattenuto dagli ostacoli, e dalle allegorie qui crescenti, dall'ordine de' cieli disposto secondo il dimenticato sistema di Tolomeo, e più di tutto dalle esposizioni di filosofia e teologia cadenti

sovente in tesi quasi scolastiche. Eccettuati i tre canti di Cacciaguida, ed alcuni altri episodi, ne' quali si ritorna in terra, e i frequenti ma brevi versi in che di nuovo risplende l'amore a Beatrice, il Paradiso sarà sempre meno lettura piacevole all'universale degli uomini, che non ricreazione speciale di coloro a cui giovi ritrovare espresse in altissimi versi quelle contemplazioni soprannaturali che furono oggetto de' loro studi di filosofia e di teologia. Del resto ciò volle, e ciò dice chiaramente il poeta fin da principio :

10 voi che siete in piccioletta barca,

Desiderosi d'ascoltar, seguiti

Dietro al mio legno che cantando varca,

4 Tornate a riveder li vostri liti ;

Non vi mettete in pelago, chè forse,

Perdendo me, rimarreste smarriti.

7 L'acqua ch' io prendo, giammai non si corse; Minerva spira, e conducemi Apollo,

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(1) Mi scosto qui dall' Ediz, della Minerva che pon nove. Veggansi là, le ragioni pro o contro, così equilibrantisi, che la scelta non può essere determinata se non dal modo in che ognuno intende o crede intendere Dante.

10 Voi altri pochi, che drizzaste '1 collo

Per tempo al pan degli angeli, del quale
Vivesi qui, ma non si vien satollo,
13 Metter potete ben per l' alto sale

Vostro navigio, servando mio solco
Dinanzi all'acqua che ritorna eguale.
PARAD. 11.

Ma questi studiosi di filosofia e teologia che sempre saran pochi, e quelli principalmente che pur troppo sono ancora pochissimi, a cui quelle due scienze appariscono quasi una sola cercata con due metodi diversi, questi, s'io non m' inganno, troveranno nel Paradiso di Dante un tesoro, ch'io mal dissi di ricreazioni, ed è anzi d' altissime e soavi consolazioni, annunziatrici di quelle del vero paradiso. Ed oltre tutti poi se ne diletteranno coloro, che si trovino leggendo in disposizione somigliante a quella di Dante quando scrisse (cosa per vero dire desiderabile a ben intendere qualunque autore); quelli cioè, che dopo avere in gioventù tentato variamente il mondo in cui vissero e pretesero vivere felici, giunti poscia a maturità, vecchiezza, sazietà o disinganno, cerchino per mezzo di quegli studi a conoscere quanto è

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