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concittadini, ai vicini, uomini pubblici e privati, in tal quantità che vedemmo, e nel modo più acerbo, più vendicativo, e men cristiano che sia, mettendoli d'autorità usurpata ed atroce fra gli eternamente dannati. Tale idea, tale scempio, non poteva essere se non d'un secolo barbaro ancora, e seguente la diva religion nostra nelle sue severità, ed anzi esagerandole, più che non nella sua misericordia e mansuetudine. Condannabile certo e vituperato sarebbe a nostra età, chi imitasse pur da lungi Dante in ciò. Nella sua, in tale età dove la crudeltà era quella che si chiamava giustizia, ei credè forse fare non più che giustizia.

Ma fecela certo, gridando contra le città disordinate, parteggianti ed immorali del tempo suo. Quattro invettive sono nell' inferno contra Firenze 36, ed una per ciascuna contra Pistoia 37, Lucca 38, Siena 39, Pisa 40 e Genova 44, quasi

(36) Canti VI, 49; XV, 73; XVI, 73 ; XXVI, 1. (37) Canto XXXV, 10.

(38) Canto XX, 41.

(39) Canto XXIX, 421.

(40) Canto XXXIII, 79.

(41) Canto XXXIII, 454.

in un crescendo sino al fine della cantica. In tutto, questa, non tanto forse per il soggetto quanto per il tempo e le disposizioni in che fu scritta, riuscì la cantica dell'ira, appena temperata da qualche dolce parola di Beatrice, da alcune a Virgilio, e dal canto di Francesca. Ma non tutto o sempre ira fu perciò lo scrittore. Amore, infinito amore era in lui, che non è in tanti imitatori ed ammiratori di lui. Coloro che non leggono se non l'Inferno, e non conoscono gli angeli e gli affetti del Purgatorio, e la Beatrice del Paradiso terrestre, e le gioie del Paradiso celeste di Dante, non conoscono se non la parte feroce, e lascian tutta la parte amorevole di lui. Chi non tema esaltare in sè le passioni amare rilegga dunque continuamente l' Inferno; chi voglia temperarle co' dolci affetti proceda al Purgatorio; chi voglia innalzar l'animo alle cose soprannaturali legga il Paradiso; ma chi voglia conoscere Dante veramente, studii tutto il poema, nel quale tutto sono ora aperti ma talor nascosti, i tesori di quella ricchissima

natura.

DANTE A PARIGI E IN INGHILTERRA.

RODOLFO, ALBERTO AUSTRIACI,
ARRIGO VII DI LUCIMBURGO IMPERADORI.

(1508-1311 Aprile)

140 E se il mondo sapesse il cor ch'egli ebbe Mendicando sua vita a frusto a frusto, Assai lo loda e più lo loderebbe.

PARAD. VI.

Finito l'Inferno e lasciatolo a fra Ilario, partissi Dante, secondo ogni probabilità, nell'anno 1308, di Lunigiana per Parigi. Passò

per le due riviere; di che è chiara reminiscenza quel passo in sul principio del Purgatorio, ove nomando i due punti estremi di quella marina dice:

49 Tra Lerici e Turbia la più diserta

La più rotta ruina è una scala

etc.

PURG. III. 1.

(1) Vedi nell' Ediz. Miner. la ragione della lezione qui riferita.

e quell'altro, dove accenna come una delle più scoscese la discesa di Noli 2. Quinci poi andando a Parigi, ei non potè passar altrove che per Provenza; e molto probabilmente per la via antica e nuova e quasi sola di Avignone, la Babilonia allor tanto invisa ai buoni Italiani, la sede del Guasco Clemente V. Non se ne trova cenno nè reminiscenza nel poema; ma immaginerà ciascuno facilmente la turba di pensieri

passioni, che dovettero, pur passando, destarsi nell'antico ambasciador fiorentino in corte pontificia, ora esule e ramingo; nel poeta destinatosi oramai a correggere sua età. Ad ogni modo, così abbiamo, narratici dal Boccaccio quel massimo viaggio e poi il soggiorno dell' esule in Parigi. Poichè vide da ogni parte chiudersi la via alla tornata, e più di dì in dì divenire vana la sua speranza, non solamente Toscana, ma tutta Italia abbandonata, passati i monti che quella dividono dalla provincia di Gallia » (cioè gli Appennini delle due riviere fino a Provenza) come potè se n'andò a Parigi. E quivi tutto si diede allo studio

"

(2) Purg. IV, 25.

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