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Di mia semenza cotal paglia mieto.
O gente umana, perchè poni 'l cuore
Là, 'v'è mestier di consorto divieto?
Questi è Rinier quest'è 'l pregio, e l'onore
Della casa da Calboli, ove nullo
Fatto s'è reda poi del suo valore.
E non pur lo suo sangue è fatto brullo
Tra 'l Po e'l monte, e la marina, e'l Reno,
Del ben richiesto al vero e al trastullo;
Che dentro a questi termini è ripieno
Di venenosi sterpi, sì che tardi,

Per coltivare, omai verrebber meno.
Ov'è 'l buon Lizio, et Arrigo Manardi,
Pier Traversaro, e Guido di Carpigna?
O Romagnuoli tornati in bastardi!
Quando in Bologna un fabbro si ralligna: Ico
Quando 'n Faenza un Bernardin di Fosco,
Verga gentil di picciola gramigna.
Non ti maravigliar, s'io piango, Tosco,
Quando rimembro con Guido da Prata
Ugolin d'Azzo, che vivette vosco,
Federigo Tignoso, e sua brigata,

La casa Traversara, e gli Anastagi,
(E l'una gente, e l'altra è diretata)

I de' Calboli,

Le donne, e i cavalier, gli affanni, e gli agi,

Che ne 'nvogliava amore e cortesia Là, dove i cuor son fatti sì malvagi. O Brettinoro, che non fuggi via,

Poichè gita se n'è la tua famiglia, E molta gente, per non esser ria? Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia;

ΙΙΟ

E mal fa Castrocaro, e peggio Conio, Che di figliar tai Conti più s'impiglia. Ben faranno i Pagan, da che 'l Demonio Lor sen girà; ma non però, che puro Giammai rimanga d'essi testimonio. 120 O Ugolin de' Fantolin, sicuro

È il nome tuo, da che più non s'aspetta Chi far lo possa, tralignando, oscuro. Ma va'via, Tosco, omai, ch'or mi diletta Troppo di pianger più, che di parlare, Sì m'ha vostra ragion la mente stretta. Noi sapavam, che quell' anime care

Ci sentivano andar: però tacendo Facevan noi del cammin confidare. Poi fummo fatti soli procedendo, Folgore parve, quando l'aer fende, Voce, che giunse di contra, dicendo:

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Anciderammi qualunque m'apprende;
E fuggìa come tuon, che si dilegua,
Se subito la nuvola scoscende.
Come da lei l'udir nostro ebbe tregua,
Et ecco l'altra con sì gran fracasso,
Che somigliò tonar, che tosto segua:
Io sono Aglauro, che divenni sasso;
Et allor, per instringermi al Poeta, 140
Indietro feci, e non innanzi 'l passo.
Già era l'aura d'ogni parte queta;

Et ei mi disse: Quel fu il duro camo,
Che dovria l'uom tener dentro a sua meta.
Ma voi prendete l'esca, sì che l'amo
Dell'antico avversario a se vi tira;
E però poco val freno, o richiamo.
Chiamavi 'l Cielo, e 'ntorno vi si gira,
Mostrandovi le sue bellezze eterne,

E l'occhio vostro pure a terra mira: 150 Onde vi batte chi tutto discerne.

I tener l'uom dentro a sua meta.

FINE DEL TOMO PRIMO.

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