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1 Un ammen non saria potuto dirsi Tosto così, com' ei furo spariti:

Per che al Maestro parve di partirsi. 90 Io lo seguiva, e poco eravam iti,

Che 'l suon dell'acqua n'era sì vicino, Che per parlar saremmo appena uditi. Come quel fiume, ch'ha proprio cammino Prima da Monte Veso in ver levante, Dalla sinistra costa d'Apennino, Che si chiama Acquacheta suso, avante Che si divalli giù nel basso letto, Et a Forlì di quel nome è vacante, Rimbomba là sovra san Benedetto

Dall'Alpe, per cadere ad una scesa, Dove 2 dovria per mille esser ricetto; Così giù d'una ripa discoscesa

Trovammo risonar quell'acqua tinta,

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Sì che 'n poca ora avria l'orecchia offesa. Io aveva una corda intorno cinta,

E con essa pensai alcuna volta
Prender la lonza alla pelle dipinta:
Poscia che l'ebbi tutta da me sciolta.

Si come 'I duca m'avea comandato, 110
Porsila a lui aggroppata e ravvolta;

1 Uno amen non saria possuto dirsi 2 dovea

Ond' ei si volse inver lo destro lato,

Et alquanto di lungi dalla sponda La gittò giuso in quell'alto burrato. IE pur convien che novità risponda, Dicea fra me medesmo, al nuovo cenno,

Che 'l Maestro con l'occhio sì seconda. Ahi quanto cauti gli uomini esser denno

Presso a color, che non 2 veggon pur l'opra, Ma per entro i pensier miran col senno! 120 Ei disse a me: Tosto verrà di sopra

Ciò ch'i' attendo; e che 'l tuo pensier sogna, Tosto convien ch'al tuo viso si scuopra. Sempre a quel ver, ch'ha faccia di menzogna De' l'uom chiuder le labbra quant'ei puote Però che sanza colpa fa vergogna: Ma qui tacer nol posso; e per le note Di questa Commedìa, Lettor, ti giuro, S'elle non sien di lunga grazia vote, Ch'io vidi per quell'aer grosso e scuro 13.0 Venir notando una figura in suso,

Meravigliosa ad ogni cuor sicuro,

Sì come torna colui, che va giuso
Talora a 3 solver' ancora, ch'aggrappa
O scoglio, o altro, che nel mare è chiuso,
Che 'n su si stende, e da piè si rattrappa.

1 Ei pur 2 veggion 3 sciogliere

CANTO DECIMOSETTIMO.

ARGOMENTO

Il Poeta descrive la mostruosa figura di Gerione, a cui egli e Virgilio s'accostano: poi Dante per avviso di Virgilio si porta ad osservar gli Usuraj, la pena de' quali è l'esser costretti a star sedenti sotto quella orribil pioggia di fiamme; e dopo averne veduti alcuni, ritorna al suo duce, ed amenḍue sul dosso di Gerione calano nell'ottavo cerchio.

Ecco la fiera con la coda aguzza,

Che passa i monti, e rompe' muri e l'armi: Ecco colei, che tutto 'l mondo appuzza. Si cominciò lo mio duca a parlarmi, E accennolle, che venisse a proda, Vicino al fin de' passeggiati marmi:

E quella sozza imagine di froda'

2 Sen venne, et arrivò la testa e 'l busto; Ma 'n su la riva non trasse la coda.

I e rompe i muri e l'armi 2 Sen venne a riva con la testa e 'l busto,

DANTE T. I.

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La faccia sua era faccia d'uom giusto, 10
Tanto benigna avea di fuor la pelle;
E d'un serpente tutto l'altro fusto.
Duo branche avea pilose infin l'ascelle :
Lo dosso, e 'l petto, et amendue le coste
Dipinte avea di nodi e di rotelle.
Con più color sommesse e soprapposte
Non fer' ma' in drappo Tartari, nè Turchi,
Nè fur tai tele per Aragne imposte.
Come tal volta stanno a riva i burchi,
Che parte sono in acqua, e parte in terra, 20
E come là tra li Tedeschi lurchi
Lo Bevero s'assetta a far sua guerra;
Così la fiera pessima si stava

Su l'orlo, che di pietra il sabbion serra. Nel vano tutta sua coda guizzava, Torcendo 'n su la venenosa forca,

Che a guisa di scorpion la punta armava. Lo duca disse: Or convien che si torca

La nostra via un poco, infino a quella Bestia malvagia, che colà si corca. Però scendemmo alla destra mammella, E dieci passi femmo in su lo stremo, Per ben cessar la rena e la fiammella:

1 mai drappo

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0140

E quando noi a lei venuti semo,
Poco più oltre veggio in su la rena
Gente seder propinqua al luogo scemo.
Quivi 'l Maestro: Acciocchè tutta piena
Esperienza d'esto giron porti, 11
Mi disse, or va', e vedi la lor mena.
Li tuoi ragionamenti sien là corti:
Mentre che torni, parlerò con questa,
Che ne conceda i suoi omeri forti. i.
Così ancor su per la strema testa
Di quel settimo cerchio tutto solo
Andai, ove sedea la gente mesta.
Per gli occhi fuori scoppiava lor duolo:
Di qua, di là soccorrèn con le mani,
Quando a'vapori, e quando al caldo suolo.
Non altrimenti fan di state i cani

Or col ceffo, or col piè, quando son morsi 50
O da pulci, o da mosche, o da tafani.
Poi che nel viso a certi gli occhi porsi,
Ne' quali il doloroso fuoco casca,

Non ne conobbi alcun; ma io m'accorsi, Che dal collo a ciascun pendea una tasca, Ch'avea certo colore, e certo segno, E quindi par, che 'l loro occhio si pasca.

I stretta

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