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Poi ch' ebbi riposato il corpo lasso,
Ripresi via per la piaggia diserta;

Sì che 'l piè fermo sempre era 'l più basso.
Ed ecco quasi al cominciar dell' erta,
Una lonza leggiera e presta molto,
Che di pel maculato era coverta.

E non mi si partia d'innanzi al volto,
Anz' impediva tanto il mio cammino
Ch'i' fui per ritornar più volte volto.

Tempo era dal principio del mattino,
El sol montava in su con quelle stelle
Ch' eran con lui quando l'Amor divino
Mosse da prima quelle cose belle:
Sì ch' a bene sperar m' era cagione
Di quella fera alla gaietta pelle,

L'ora del tempo, e la dolce stagione:
Ma non sì che paura non mi desse
La vista che m' apparve d'un leone.

Questi parea che contra me venesse
Con la test' alta e con rabbiosa fame,

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BASSO. Atto d'uomo che sale, che il piè che move è sempre più alto fuor nel primo atto del movere : ma qui significa che, venendo da male a bene, il desiderio pur sempre riposa alquanto sulla memoria del passato.

LEGGIERA. Stat., Th.: Effrenae lynces. Fiera del genere delle pantere, libidinosa e leggiera. Or la lussuria, nota il Boccaccio, è vizio volubile. Per la lonza si può intendere anco Firenze, leggiera mutatrice d'ordini politici, ed usa, secondo Dante, a giacere con parte guelfa. Nel Purg., XI: La rabbia fiorentina, che ora è putia. COVERTA. Virg. Maculosae tegmine lyncis.

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13. DAL. Similmente il viaggio d'Enea: Primi sub lumina solis. STELLE. L'ariete. V. Par., I.

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MOSSE. Creò. Nelle Rime, dice di Dio: chi mosse l'universo. Creazione è moto, e moto é creazione; secondo Platone e san Tomaso. E il Malebranche dice che sola l'idea di Dio può far chiara l'idea del moto. - BELLE. Inf., XVI: Le belle stelle. Virgil. Ver magnus agebat orbis... quum primum ( ecco la frase quando ... da prima) lucem pecudes hausere... Immissaeque ferae silvis et sydera coelo. SPERAR. Sperar di prendere quella fiera; come più sotto: speranza dell'altezza. ALLA. Inf., XVI: Lonza alla pelle dipinta, per dalla. In quel canto egli dice che voleva con una corda prender la lonza: la pelle dunque di lei non poteva con la bellezza ispirargli speranza. Bene sperava di prenderla. Così spiegano Pietro figliuol di Dante e il Bocc.

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L'ora del tempo, usa anche l'Ottimo, per quel che noi diciam ora. - STAGIONE. Della incarnazione del Verbo, e della creazione del mondo. Nella primavera, dice il Bocc., le forze si rinnovellano: però spera di vincere.

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Sì che parea che l'aer ne temesse.
Ed una lupa, che di tutte brame
Sembiava carca con la sua magrezza,
E molte genti fe già viver grame.

Questa mi porse tanto di gravezza
Con la paura che uscia di sua vista,
Ch' i' perdei la speranza dell' altezza.

E quale è quei che volentieri acquista,
E giugnel tempo che perder lo face,
Che 'n tutti i suo' pensier piange e s'attrista;
Tal mi fece la bestia senza pace,
Che venendomi incontro, a poco a poco
Mi ripingeva là dove 'l sol tace.

Mentre ch'i' rovinava in basso loco,
Dinanzi agli occhi mi si fu offerto
Chi per lungo silenzio parea fioco.

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L'AER. V. S. Padri: Parea che non solamente le genti ma eziandio l'aere così sereno onorasse la sua sepoltura. Altrove: Credo che non solamente li tuoi orecchi ma eziandio l'aria riceva infezione da quel parlare. TEMESSE. Amos: Leo rugiet; quis non timebit? Anche Boezio pone il leone simbolo della superbia violenta. Eccl. (XIII, 23): Venatio leonis, onager in eremo: sic et pascua divitum sunt pauperes.

LUPA. Jerem.: Percussit eos leo de silva: lupus ad vesperam vastavit eos; pardus vigilans super civitates eorum. Omnis qui egressus fuerit ex eis, capietur. MOLTE. Nel Purg., XX, chiama l'avarizia antica lupa. S' intenda dunque per la lupa, e l'avarizia e la corte di Roma, sozzamente, secondo lui, avida di beni terreni. Così per il leone, e la regia superbia, e la superba Francia, e Carlo di Valois che nel VI del Paradiso è chiamato leone. Salomone ne' Proverbii (XIX, 12): Sicut fremitus leonis, ita et regis ira....... (XX, 2): Sicut rugitus leonis, ita et terror regis. GRAME. Nella Volg. El. dice tutti quasi i principi del tempo suo seguitatori d'avarizia. Che altro, dic' egli nel Conv., maggiormente pericola e uccide le città, le contrade, le singolari persone, tanto quanto lo nuovo raunamento d'avere? Eccl. (VIII, 3): Multos perdidit aurum et argentum, et usque ad cor regum extendit et convertit. Seneca cit. dall' Ott. (II, 367): L'avarizia recò povertade; e molte cose desiderando tutte le cose perde. Eccl. (XXXI, 6): Multi dati sunt in auro casus.

PENSIER. Più forte nelle Rime (1. II, son. 6): Mi pianse ogni pensiero Nella mente dogliosa.

20. PACE. Nel Conv. dimostra le ricchezze essere d'inquietudine perpetua cagione. TACE. Jerem.: Neque taceat pupilla oculi mei. Virgil.: loca nocte silentia late... Silentia lunae. Sap. (V, 6): Erravimus a via veritatis,et justitiae lumen non luxit nobis, et sol intelligentiae non est ortus nobis. Eccl. (XXI, 11): Via peccantium : . in fine illorum inferi et tenebrae et poenae. OFFERTO. Virg.: Mihi se se oculis ... videndam obtulit. — Fioco. O com'om

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Quand' i' vidi costui nel gran diserto:
Miserere di me, gridai a lui,

Qual che tu sii, od ombra, od uomo certo.
Risposemi: non uomo, uomo già fui:
Eli parenti miei furon lombardi,
E mantovani per patria ambidui.

Nacqui sub Julio, ancor che fosse tardi,
E vissi a Roma sotto 'l buono Agusto,
Al tempo degli Dei falsi e bugiardi.

Poeta fui, e cantai di quel giusto
Figliuol d'Anchise che venne da Troia
Poichè 'l superbo Ilión fu combusto. "
Ma tu perchè ritorni a tanta noia?
Perchè non sali il dilettoso monte
Ch'è principio e cagion di tutta

gioia?
Or se' tu quel Virgilio, e quella fonte
Che spande di parlar sì largo fiume?
Risposi lui con vergognosa fronte.

Oh degli altri poeti onore e lume,
Vagliami 'l lungo studio e 'l grande amore
Che m' han fatto cercar lo tuo volume.

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bra: e a quel modo Virgilio dell'ombre disse: pars tollere vocem Exiguam. O perchè Virgilio e le antiche lettere da lungo tempo tacevano, taceva la scienza naturale, che Dante stimava aiutatrice alla scienza divina. Così in Armannino, guidatrice d' un viaggio simbolico è la poesia in forma d'antica donzella, perchè anticamente fu più onorata che oggi.

DISERTO. Deserto in una lettera latina e' chiama l'Italia alla mano de' Guelfi. QUAL CHE. Virg.: O quam te memorem, virgo? namque haud tibi vultus Mortalis, nec vox hominem sonat. O Dea certe.... Sis felix, nostrumque leves quaecumque laborem.· - CERTO. Reale. Virg.: Deum certissima proles.

LOMBARDI. Rammenta il gran Lombardo, Parad., XVII. Scaligero, speranza di Dante e dell'Italia ghibellina. E ghibellina era gran parte di Lombardia.

JULIO. Formola non usata se non dopo la dittatura di Cesare: e Virgilio nacque prima di quella. Onde dice: ancorchè più tardi, e tardi a quel ch'e' meritava, avesse il titolo di dittatore di Roma. L'Ottimo intende ch'e' nascesse al tempo di G. Cesare, quasi nella fine del suo imperiato.

GIUSTO. Virgil.: Aeneas, quo justior alter Nec pietate fuit. E Dante cita questo verso nella Monarchia. — VENNE. Virg. : Trojae qui primus ab oris Italiam ... venit. SUPERBO. Virg.: Ceciditque superbum Ilium.

LUNGO. De suoi lunghi studii parla e nel XXV del Par., e nella lettera a chi gli offriva di tornare per via disonorevole in patria.

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Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore;
Tu se' solo colui da cu' io tolsi

Lo bello stile che m' ha fatto onore.

Vedi la bestia per cu' io mi volsi.
Aiutami da lei, famoso saggio;
Ch'ella mi fa tremar le vene e i polsi.
A te convien tenere altro viaggio,
(Rispose, poi che lagrimar mi vide)
Se vuoi campar d' esto luogo selvaggio.
Che questa bestia per la qual tu gride,
Non lascia altrui passar per la sua via,
Ma tanto lo 'mpedisce che l'uccide.

Ed ha natura sì malvagia e ria
Che mai non empie la bramosa voglia,
E dopo 'l pasto ha più fame che pria.

Molti son gli animali a cui s' ammoglia;
E più saranno ancora infin che 'l Veltro
Verrà, che la farà morir di doglia.

AUTORE. Cic. (Or., III): Non intelligendi solum sed etiam dicendi maximus auctor et magister Flato. Virgilio fu maestro ed autore a Dante, di stile assai più che d'idee. STILE. N avea fatto prova nella V. Nuova, nelle Canzoni, nelle Egloghe. Non dice imitai, dice tolsi; ch'è meno, insieme, ed è più. Nelle Prose lo cita spessissimo. Monarch. (p. 16, 33 e seg.; 42, 45, 47, 50). Ma Dante, ben nota il sig. Tissot, nell'imitazione stessa è pieno d'ardimento; timido nelle sue imitazioni è Virgilio ( Ét. sur Virg. ).

POLSI. V. Nuova: Lo spirito della vita incominciò a tremar si fortemente, che appariva nelli menomi polsi ...

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TENERE. Virg.: Quove tenetis iter? ALTRO. Boct.: Tu quoque falsa tuens bona prius Incipe colla jugo retrahere: Vera dehinc animum subierint. UCCIDE. Boezio, studiato da Dante, paragona l'avaro ad un lupo.

33. RIA. Malvagia è meno di ria. Malvagio chiama Dante un cammino (Inf., XXXIV); ed è voce che s'applicava a tutti gli oggetti corporei, come il francese mauvais.-EMPIE. Prov. (XVII, 16): Nec avarus impletur pecunia. Boet.: Opes inexpletam restinguere avaritiam nequeunt. — FAME. Virgil.: Auri sacra fames. Horat.: Majorumque fames.

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MOLTI. L'avarizia s'accoppia a molti vizii : e l'avara corte di Roma, dice altrove Dante, puttaneggia co' re (Inf., XJX); e ha drudi feroci (Purg., XXXII). – VELTRO. Cane della Scala, chiamato Catulus in una profezia di Mich. Scotto, notata da G. Vill.; al qual Cane il P. indirisse il Paradiso con lettera, dov'è resa ragione dell'intero poema. Di lui parla nel XVII del Paradiso, e n'augura cose incredibili a queglino stessi che le vedranno. Poi l'elogio di quel cante con le parole di questo corrisponde a capello. MORIR. Ne' Fatti d' Enea, testo antico pubblicato dal sig. Gamba, a p.83 si legge: Dante profetizza di quel veltro che debbe cacciare la lupa d' Italia, cioè l'avarizia e la simonia.

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Questi non ciberà terra nè peltro,
Ma sapienza e amore e virtute:
E sua nazion sarà tra Feltro e Feltro.
Di quell' umile Italia fia salute
Per cui morio la vergine Cammilla,
Eurialo, Turno, e Niso, di ferute.

Questi la caccerà per ogni villa,
Fin che l'avrà rimessa nello 'nferno
Là onde 'nvidia prima dipartilla.

TERRA. Par., XVII. In non curar d'argento ne d'affanni. Peltro qui, come argento, sta per ogni metallo o ricchezza; terra per ogni podere. E forse s'accenna all'astuto serpente nemico dell'uomo, che si ciba di terra secondo la Genesi, cioè di vili beni. Petr : Che vi fa ir superbi, oro e terreno. — MA. Salus, amor, virtus, sono i tre fini della poesia secondo l'Allighieri; e poesia, politica, religione, erano nella sua mente una cosa.— AMORE. Lo Scaligero in lusso e in delicatezze profuse molt' oro: e tanto senti l'amore che per esso commise un delitto. Ma qui parla d'amore più alto. — VIRTUTE. Par., XVII: Parran faville della sua virtute.-FELTRO. Per Feltre città del Friuli è nel IX del Par. L'altro è Montefeltro in Romagna: in questo spazio erano i Ghibellini più ardenti. Pietro di Dante e molti altri comentatori descrivono così larghi confini alla nazione del Veltro; e nessuno riconosce ne' due Feltri san Leo e Macerata, come il sig. Troya desidera. Si noti inoltre che Alessandro Novello vescovo di Feltre e principe, contro i Ghibellini tenne da Padova; e un altro vescovo di Feltre i Ferraresi nella sua città rifuggiti, que' Fontana congiunti di Dante, concesse alla vendetta d'un crudele nemico. Questo nome di Feltro gli rinnovellava molte crudeli memorie. Nazione può intendersi e per luogo di nascita, e per nazione ghibellinamente costituita. Io prescelgo il secondo: perchè Cane fu capo della lega ghibellina: nè d'uomo già nato nel 1300, si direbbe che la sua nascita sarà in tale o tal luogo. Questa maniera di segnare geograficamente larghi confini ad uno spazio di terreno, non dispiace al P. Così si disegna nel Par., IX, il colle dove nacque Eccelino; e nel X, la città dove nacque Folchetto. 36. UMILE. Virg. : Humilemque videmus Italiam. La parte d'Italia a cui Dante accenna, è quasi tutta in pianura; quella dov' Enea combattè, dove le gare pontificie ardevano per umiliarla. VERGINE. Titolo che le dà sovente Virgilio : 0 decus Italiae, virgo. EURIALO. Aen., X. TURNO. Aen., XII. FERUTE. Virg.: Pulcramque petunt per vulnera mortem Ob patriam pugnando vulnera passi.

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CACCERA. Qui intende quella che Dante chiamava (Vulg. El.) armorum probitas. Nel Par., XVII, dice che Cane fu impresso nascendo del forte pianeta di Marte, si che notabili saranno le opere sue. Cane doveva cacciare la lupa e battendo gli avari tiranni, e vincendo l'avarizia co' nobili esempi. Par., XVII: Le sue magnificenze conosciute Saranno ancora, sì che i suoi nimici Non ne potran tener le lingue mute... Per lui fia trasmutata molta gente, Cambiando condizion ricchi e mendici. Della liberalità di Cane tocca il Boccaccio. 'NVIDIA. Sap. (II, 24): Invidia ... diaboli mors intravit in orbem terrarum. Questa terzina dà per certa, cosa che nel Purgatorio è desiderata incertamente siccome lontana: Quando verrà per cui questa disceda? Notate il medesimo modo: Il Vel

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