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BULLETTINO

DELLE LETTERATURE STRANIERE.

LIBRI FRANCESI

LE COMBAT DU POETE, par Edgar Quinet. Il conflitto del poeta. Pubblicato nella Rivista di Parigi del mese di dicembre 1836.

Questi versi fanno riscontro a quelli di Millevoie e di Lamartine, e trovi in essi quella malinconia tanto accarezzata oggidì, e quello scontento della vita e quell' ineffabile dolore che prova l'ingegno allorquando entra in sè stesso • senza velami s'interroga, dolore sublime, se reale, sazievole, insopportabile, se tolto a prestanza, e per quanto il consente l'indole della lingua francese gli abbiamo trovati abbastanza armoniosi.

L'heure effleure en passant sa guirlande fanée Le jour succède au jour, et l'année à l'année s Le siècle dort en paix sur sa couche d'airain. Moi, je veille, et j'appelle, et j'écoute, et je (pleure

Mon court espoir s'éteint, ma nuit seule demeure; J'attends avec chaque aube un meilleur len(demain. Ma donde viene un cotanto abbattimento di spirito? coi versi che vengon dopo chiara. mente ciò si spiega. Il giovane poeta avido di gloria, e in questo secolo la gloria fa molto di rado belli i certami poetici.

Tout est muet, les dieux, les hommes, et les

(choses.

Le poëte n'est plus le frère du prophèter

Egli seguita a dolorare sovra la noja, l'uniformità della vita.

Il a rejeté sa couronne

Pour cueillir la mauve des morts.

Abbiamo poi trovati varj pensieri che ricordano il sommo dei lirici greci, e che mostrano come gli elementi del bello e del grande poetico sieno sempre stati uguali in tutte

le nazioni.

Où sont mes rapides pensées, Flèches loin du but dispersées, Qui résonnaient dans mon carquois? Di poi il poeta alza gli occhi al cielo, la speranza torna a danzargli innanzi, egli sfida il suo secolo, e chiude il suo lirico componimento colla biblica similitudine di Giacobbe combattente col celeste messaggiero.

I nostri lettori potranno dai pochi versi allegati giudicare dell'indole di questo giovane poeta, il quale da' suoi francesi è molto lodato anco per varj componimenti in prosa, per quanto a noi pare, non a torto.

HISTOIRE DES DOCTRINES MORALES, etc. — Storia delle dottrine morali e politiche degli ultimi tre secoli, per F. Matter, soprantendente generale degli studj. Tomo II, in 8.o, presso Cherbuliez e C. Parigi.

L'autore imprende a considerare in questo volume le due rivoluzioni inglesi ed secolo di Luigi XIV, sagacemente chiarendo le di

BULLETT. DELLE LETTERAT. STRANIERE.

=verse cagioni che produssero la caduta della
regia potestà in Inghilterra, ed eziandio quella
della repubblica che pretendeva coglierne, per
così esprimerci, l'eredità. Tali cagioni si pon-
no in un solo principio di leggeri riassumere,
il quale è loro comune sorgente, vale a dire,
quello del reprimento di soverchio forzato, me-
diante il quale, il conculcare, il premere i
principi della sedizione', anzichè spegnerla, la
fa vie maggiormente, e con furore novello
scoppiare. Matter poi molto giudiziosamente
condanna tanto l'abuso del potere quanto quel-
lo della democrazia, pigliando a modello Gu
glielmo III, il quale con principj differenti in-
terrogando il proprio secolo e traendo profitto
dagli errori dei monarchi che lo precederono,
divenne capo di molte nazioni d'Europa, ed
antagonista d'ogni ribellione si fece rappre-
sentante di quella dottrina di ordine e di
pacifico progresso, la quale doveva compiere il
giro della terra, giovare di saggi ordinamenti
i popoli tutti, schiacciando l'audace che avesse
osato arrestarne il cammino. Questa importante
opera è scritta con mirabile aggiustatezza di
idee, e varrà certamente ad aggiungere riputa
zione alla bella nominanza di cui meritamente
già si fregia l'autore, nè starà molto, per quan-
to a noi pare, ad essere annoverata tra le mi-
gliori opere storiche di questi tempi.

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Evviva le fisiologie, eccovi, o lettori, quella de' tagliaborse, la quale invero dovrebbe es

295 sere di non lieve utilità perchè servirà ad assecurarvi dai loro tranelli. Un ex capo della Polizia di sicurezza ne dà in questo libro la storia, ed insegna i mezzi migliori per ischermirsi dalle acutezze d'ingegno di quella sottilissima genia. Egli dà pure un ben chiosato dizionario del gergo furfantino, ed empie la sua opera di graziosissimi episodj.

LIBRI TEDESCHII.
HOMERISCHE VORSCHULE, etc.
rativi sopra Omero, per W. Müller.

Studj prepa

In questi studj sono molte erudite indagazioni sull'origine dei due maggiori poemi che ne lasciò l'antichità. Müller segue però il sistema di Wolf, il quale teneva per fermo l'autore dell'Iliade e dell' Odissea non essere che un fantasma creato dalla immaginazione, riguardando il vero Omero siccome un rapsodo, e concedendo a mala pena che di lui fosse una minima parte di quei maravigliosi versi. Non vuolsi però tacere che prima di Wolf il nostro Vico, esaminando tutte le cose dette in torno al

Primo pittor delle memorie antiche, vide uscir quasi per conseguente Omero non essere che un ente ideale, e soggiunge che

acutissimi ingegni d' uomini eccellenti in dottrina ed erudizione con leggere la scienza nuova la prima volta stampata, sospettarono che Omero finor creduto non fosse vero tutte queste cose, dico, ci strascinano ad affermare che tale sia addivenuto di Omero ap-. punto quale della guerra trojana, che quantunque ella dia una famosa epoca de' tempi alla storia, pur i Critici più avveduti giudicano che quella non mai siasi stata fatta nel mondo (vedi Vico, Principj di scienza nuova, vol. V, pag. 486), e l'illustratore di Vico, Ferrari, al quale noi crediamo inutile far elogi poichè il suo nome oramai non ne ha più d'uopo, sapientemente conchiude in una nota a pag. 488: le incertezze, i dubbj e le contraddizioni raccolte sulla persona e sui poemi d'Omero finiscono per dissipare la sua esi

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stenza in un simbolo, i suoi poemi nel canto tradizionale di una nazione. A questa soluzione ardita e grandiosa del problema sul vero Omero giunse il Vico coll' ingrandire tutte le difficoltà che avrebbero confuso ogni altro critico; e qui cadrebbe una giusta considerazione sul vero pregio in cui fu tenuto il povero Vico, e sulla parte ch'egli ebbe nella civiltà de' suoi tempi. Il suo sistema sopra Omero fu appena avvisato, e da nessuno in Italia, che per noi si sappia, seguito, laddove quello del filologo alemanno, il quale non era al certo bello di novità, destava infiniti rumori, chiamava sotto il vessillo di Wolf i maggiori eruditi di Germania, e vedi persino Heyne contendere al suo antico discepolo la priorità di tale scoperta, anzi accusarlo di avergliela fraudolentemente rapita. Questo sistema fu poscia oppugnato da Cesarotti e da molti eruditi stranieri, come Larcher, Saint-Croix, Payne Kninght ed altri.

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EINE ERSCHEINUNG AUS DEM NACHTGEBIETE DEB NATUR, etc. Una apparizione dal regno tenebroso della natura, giuridicamente con'fermata del dottor J. Kermer.

Non paghi gli Alemanni d'aver messo nelle loro poetiche leggende spettri e befane a barella, ora vogliono balzare dalle finzioni poeti che alle prove giuridiche in così nuova materia. Il dottor Kermer, letterato d'ingegno non volgare, pigliò sopra sè questa bella impresa, la quale però anche in Germania suscito una vivissima polemica. Nel suo libro trovi pure una raccolta di attestazioni giuridiche e di fatti autentici da farti venir la pelle

d'oca nel leggerli, e ci aspettiamo ben presto una Teorica su questo diabolico argomento, il quale non ci pare invero punto in relazione col tanto vantato progresso.

Tra

SNORRI STURLUSON'S WELTKREIS, etc. — duzione tedesca di Heimskringla, per Wa chler. In 8.o Lipsia, 1836, vol. 1.o

Quest'è un trattato di storia il cui originale, in antico irlandese, è di molto pregiato dagli antiquary, ed un'analisi di questa istessa opera diede già nel settembre 1836 la Gaz

zetta letteraria di Jena.

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DIE SANCHUNIATHONISCHE STREITFRAGE, etc.
La questione sulle Opere di Sanconia-
tone, giudicata per L. Grotefend. In 8.o
Annover, 1836.

Ai nostri lettori sarà di già nota la pretesa scoperta fatta in un convento del Portogallo, delle Opere di Sanconiatone, sinora stimate perdute. Il dottor Wagenfeld ne diedo fuori alcuni saggi, ed anzi ora si annunzia la pubblicazione intera dell' opera. Insorse però fieramente ad oppugnare la verità di una tanta scoperta il dottor Grotefend, eruditissimo fra gli Alemanni, e con questo libro tende a provare che tutto ciò non è che una solenne trappoleria letteraria, la quale non dovrebbe poi maravigliarci se pensiamo a quel nostro Annio da Viterbo, che rinvenne tanta dovizia di roba, pertinente alla più remota antichità da sbalordire, la quale venne di poi riconosciuta come tutta di sua fattura.

EMPFINDSAME REISEN, etc. Viaggi sentimentali di L. Rellstab. Due vol. in 12.o Lipsia.

Il titolo di questi viaggi, così alla bella pri ma, ci chiama alla memoria quell' inimitabile Sterne e quel suo viaggio fatto italiano dal no stro Foscolo. In fatto questi viaggi in Russia, in Olanda e lungo il Reno, sono scritti con uno stile rapidissimo e pieni di sottili osservazioni sugli uomini e sulle cose, ed appartengono del tutto al genere umoristico di Sterne, ma son belli inoltre di certa originalità, la quale non va disgiunta da saviezza e da moderazione. GIUSEPPE REVERE.

Giacinto Battaglia Proprietario ed Estensore,

INDICATORE

FASC. III. DELLA SERIE SESTA.

SUGLI ITALIANI

DEL MEDIO EVO.

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Gli

STUDIO SECONDO (*)

Costumi in generale.

rli Italiani, dati all'ozio ed alle lascivie, aveano perduto ogni vigoria d'animo e di corpo, talchè senza fatica vennero sottomessi dai Barbari del settentrione, il cui sangue era duopo si trasfondesse in quella razza degenerata per tornarla al valore, al coraggio, ai nobili sentimenti.

Quasi ad una voce sentiamo gli storici ripetere questa sentenza, che però è lontana dal parerci così dimostrata e veritiera. La rovina d'Italia non venne tanto dai Barbari, quanto da' suoi stessi dominatori; fu un enorme suicidio commesso dalla sfrenata autocrazia degli imperatori. Massimamente dopo Diocleziano, essi non parvero intenti che a cancellare ogni memoria delle antiche franchigie; sino, per tale scopo, a tramutare la sede, spartir l'impero, cambiare il culto. Ma la religione sostituita da Costantino alla

(*) V. il fascicolo di gennajo del 1835.

INDIC, EC. SERIE SESTA. T. I.

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pagana, era libera e vivificatrice, chiudeva gli elementi di nuova ed insigne civiltà: e quel suo dividere la tiara dalla spada, che forse Costantino fece per meglio sottoporre la prima all' altra, o farla coadjutrice alla servitù, fu la tavola di scampo dell'Europa, allorchè il torrente barbarico rovesciò il trono, e si franse a piè della croce.

Ma ancora imperando Costantino, le legioni aveano fatto suonar alto il nome d'Italia: nè potè soffocarsi l'ardore nazionale se non col dispotico braccio de' Pretoriani e delle orde condotte a prezzo. Non dunque per vigliaccheria piegarono il collo gli Italiani, ma stretti dalla prevalenza della forza; e solo nella disperazione del meglio si gettarono all' ozio, all' egoismo, a passiva sogge zione non solo alle leggi ma ai capricci di monarchi un dell'altro peggiori: resa la nobiltà straniera alle cariche militari e civili, spento il desiderio della gloria, venuta la patria un nome vano senza soggetto, riboccanti le campagne di schiavi, gli eserciti di stranieri, occupò ogni cosa quella prostrazione d'animo, che nasce dalla servitù e che la perpetua.

Eppure gli Italiani sapevano vincere ancora: e man mano che, per meglio difendersi, ritraevano le forze verso il cuore dell' Impero, le provincie abbandonate strillavano in voci di pietà, perchè, tolta quella che era lor unica difesa, cioè la forza ordinata italiana, rimanessero bersaglio alle irrefrenate orde barbariche. E quando Attila, il terribile Attila flagello di Dio, trascinava migliaja di indomiti guerrieri contro l'Impero, Ezio a capo degli eserciti romani non dubitò d' affrontarlo, e nei campi di Chalons mandandoli a strage e sterminio, rinnovò gli antichi esempi di Camillo e di Mario, le vittorie gloriose perchè contro veri nemici, Serbandoci altrove a parlare di ciò più diffuso, or basti questo cenno quasi protesta contro la vulgata asserzione dell'infiacchimento universale degli Italiani. Benchè storditi dai replicati e continovi colpi delle asce barbariche, ricordavano ben essi il passato, vagheggiavano l'avvenire; mai non consumarono la mistione cogli stranieri, mai non deposero certe loro usanze, mai non dimenticarono i privilegi municipali: volta a volta fecero apparire il lor dispetto in alcune sommosse, in litigi di forza od in richiami di ragione ; finchè venuto un momento da poter riavere il fiato, edificarono il loro avvenire in modo, da mostrare come sempre avessero avuto la mira a salvare dal naufragio le migliori parti della romana civiltà. Ma per ora non più.

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