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affetti e i nostri; occorre almanco il pieno e cordiale consentimento a quanto egli credeva e sperava, ed amava; le quali virtù, come furono il solido fondamento sul quale egli eresse il suo mirabile edificio, dovranno pur essere la guida ed il lume per chi si fa a studiarne le ragioni e il magistero.

X.

Non puossi revocare in dubbio, che anche negli studi danteschi in varii tempi e da molti uomini, pur di non poco valore, non siasi proceduto pur troppo con criterii non retti, perchè con intenti suggeriti da passioni individuali; quindi cosa inevitabile e naturale gli stravolgimenti del pensiero dell'Autore, gli storcimenti dalla genuina sentenza, il ricorso a dubbi, a sospetti, ad affermazioni che moralmente e storicamente non sono che sogni, anzi manifesti e gratuiti oltraggi al sommo Scrittore: e ciò perchè? la ragione è chiara; perchè ad uomini d' altri tempi, d'altra educazione, d'altre aspirazioni, e, diciamlo pure, d'altra fede, non può parer vero che Dante potesse pensare e credere così diversamente da loro. Per fermo, anche in tal genere di studi s'avvera appuntino la sentenza biblica (1) Qui quærit legem, replebitur ab ea; et qui insidiose agit, scandalizabitur in ea. Perciò voi vedete quanto sia giusto ciò che spesso vi son venuto inculcando; che cioè, per capire un autore e per esporlo fedelmente è mestieri che noi ci facciamo uomini del tempo suo, e non obbligar lui a farsi uomo del tempo nostro. Onde io credo un canone irrepugnabile di sana critica, e da tener ben bene scolpito nella mente, quello che in altro argomento sanciva il Flaubert; il faut se transporter dans les personnages, et non les attirer à soi.

XI.

Quale adunque il miglior metodo per iscansare, quant'è possibile, siffatti errori? Io per me credetti sempre che il miglior metodo sia quello indotto e con tanto amore propugnato dal Giuliani, e che è tutto compreso nella semplice formola Dante spiegato con Dante; formola da non pochi mal capita, da altri non voluta capire e perfino derisa, come non fosse sinanco evidente che il più autorevole interprete d' un' opera è senza dubbio l'autore di essa. La comprensione del principio del Giuliani a me pare sia stata in precedenza enunciata e sostazialmente stabilita da queste savie parole del P. Ponta, che del Giuliani fu confratello nella Congregazione Somasca e guida e stimolo nello studio di Dante; il Ponta scriveva (2): Per interpretare le profonde verità, che Dante nascose sotto bella menzogna, fa mestieri non fantasia, ma lunga, paziente e ponderata lettura de' suoi dettati; non immaginazione, ma diligente applicazione degli alti principii filosofici e teologici da esso manifestati. E queste parole del Ponta mi pajono, almeno in parte, autorevolmente convalidate dal Giuliani medesimo, il quale in un luogo di quel suo commento, che quale saggio ne lasciò a pochi Canti del sacro Poema (3),

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dichiarò, che nell' interpretare la Commedia, non tanto è da investigare quello che i moderni son venuti a sapere e credono, quanto quello ch' era noto ai tempi di Dante, e allora tenuto per ferma verità.

XII.

Ognun vede, io credo, che la semplice formola del Giuliani, come più volte affermò egli stesso ne' suoi scritti, importa la necessità di conoscere quegli autori, del cui studio nutrì la sua mente e maturò il suo insegno, autori così sacri come profani, sì poeti che prosatori, sì oratori che storici o filosofi, e il nome e le Opere dei quali molte volte si piace di allegare in tutti i suoi scritti. Quindi, con Virgilio, almeno i maggiori tra i classici latini, e con Boezio i Padri, e con Aristotele gli Scolastici con a capo l' Aquinate, della cui Somma teologica specialmente puossi dire quello che, rispetto all' Eneide, l' Allighieri si fa dire da Virgilio (1), che cioè la sapeva tutta quanta. Non v' ha dubbio di sorta esser queste le fonti principali, alle quali l'Allighieri attinse copiosamente, e che concorsero più che un poco a foggiare il suo ingegno, e a metterlo in azione. "Chi avrebbe mai creduto, scrive Augusto Conti (2), che dalle scuole degli Scolastici, da quei distinguo e subdistinguo; da quelle minori e maggiori; dagli antecedenti e conseguenti, avesse poi a uscir fuori Dante, lo scolare di Virgilio, ma che si somiglia poi a Virgilio quanto Firenze a Roma e il Cristianesimo alla paganità, e il Trecento all' età d'Augusto? La Teologia e la Filosofia dentro di lui si convertirono in un che di concreto, nelle immagini di questo mondo e dell' altro; egli unificò la sapienza con Beatrice, la speculazione con l'amore; tutto ciò che Dante aveva imparato, e ciò che aveva patito e sperato, l' Italia e l'Impero, il Comune proprio e il Papato, S. Tommaso e Aristotele, i poeti volgari e Virgilio, tutto si compose in unità, prese immagine, ed ecco il Poema Sacro.

XIII.

Persuasissimo pertanto che il metodo di spiegar Dante con Dante, purchè inteso come va e nella sua leggittima larghezza, non solo è il migliore e il più razionale, ma l'unico vero, veniva di per sè che in questo mio Commento io abbondassi nelle citazioni dalle altre Opere del Nostro, e così che in gran parte le trasfusi nel mio lavoro: per tal guisa avviene che Dante stesso chiarisce e illumina il suo pensiero, e che il lettore, senza quasi che se n' accorga, arriva a famigliarizzarsi coll' Autore, a farsi pascolo della sua vivanda, a bere il vino della sua fiala; vivanda semplice e salubre, vino ingenuo e vigoroso, anzichè le salse indigeste e i liquori artefatti, che guastano stomaco e cervello, di molti suoi chiosatori. Infatti, questo allegar tratti dalle Opere dell' Autore, sì che i varii passi si illustrino e si compiano a vicenda, cosa che a molti annoiati parrà noiosa (faticosa è di certo!), ha quest' utile almeno (e in tal genere di studi non mi sembra poco) di meglio discernere la fisonomia dell' Autore, di meglio capire il suo cuore, la sua anima, il (1) Inf., XX, 114.

(4) Discorsi del tempo in un viaggio per l' Italia.

benefico intento che si propose colle Opere sue in servizio dell' umana civiltà. Gli è per ciò, che se dal mio lavoro altro vantaggio non potessi attendermi da questo in fuori, che gli studiosi di Dante si persuadessero dell' imprescindibile necessità di porre a salda base del Poema uno studio attento e costante delle Opere Minori (nelle quali tutta è riposta la ragione religiosa, morale e civile della Divina Commedia), avrei ritratto dalle mie fatiche il più ambíto dei premi, e crederei allora non inutile questo Commento al desiderato incremento degli studi danteschi in quanto hanno di essenziale e possono avere di perpetuamente fecondo così alla gloria di Dante e della Patria nostra, come all' onore del Cristianesimo e all' incremento della civiltà universale (1). E come non credere che lo studio veramente pieno e proficuo del Sacro Poema non potrà mai aversi senza una perfetta conoscenza delle Opere Minori, se uomini di largo ingegno e cultura ed esperienza in tante guise lo predicarono? Giambatista Nicolini, in un suo Discorso letto all' Accademia della Crusca nel 1830 (2), stabilì l'assoluta necessità per l'interpretazione della Divina Commedia di ricorrere alle Opere Minori, dichiarando che la Vita Nuova ne rivelava l'origine, il Convito ne giustificava il disegno, la Monarchia ne serviva di commento politico. E tale concetto fu poi ribadito da Giuseppe Mazzini (il quale, se anzichè aggirarsi per gli anfratti rivoluzionari, fosse andato per la via regia delle lettere, da quanto abbiamo di lui possiam credere che sarebbe certo riuscito uno de' più valorosi scrittori e de' più forti e morali critici del nostro secolo), nella prefazione all' edizione della Divina Commedia illustrata da Ugo Foscolo, egli scriveva (3): Lo studio (di Dante) ha da cominciare dalla vita del Poeta, dalla tradizione italiana, ch' ei compendiava e continuava colla potenza del Genio; dalle Opere Minori, ch' ei disegnava come preparazione al Poema, per conchiudersi intorno alla Divina Commedia, corona dell' edifizio, espressione poetica del concetto, ch' ei traduceva politicamente nella Monarchia, filosoficamente nel Convito, letterariamente nel libro su la Lingua Volgare. Perchè Dante è una tremenda unità... e tutto Dante è un pensiero unico, seguito, sviluppato (4). E avete voi bisogno, egregii

(1) Non sono sogni, nè esagerazioni le mie parole; quel grand' uomo di Stato, che è il Gladstone, rispondendo (il 20 Dic. 1882) ad una lettera del Giuliani, cosi scriveva : « Ella si è degnato chiamare quel sommo Poeta, un solenne Maestro per me. Non sono vuote queste parole. La lettura di Dante non è soltanto un piacere, uno svago, nna lezione; è una disciplina fortissima del cuore, dell' intelletto, dell' uomo. Nella scuola di Dante ho imparato una grandissima parte di quella provvisione mentale, sia pure molto meschina, colla quale ha fatto il viaggio della vita umana fino al termine di quasi settantatre anni. E vorrei anche stendere la sua bella parola chi serve a Dante, serve all' Italia, dicendo che chi serve a Dante, serve all' Italia, al Cristianesimo, al Mondo. » E Carlo Witte, il sommo dei dantisti tedeschi, nel suo Discorso inaugurale della Società Dantesca di Germania nel 1865, affermò: La Divina Commedia offre al suo lettore assai più che un semplice svago poetico che diletti la fantasia; essa innalza, essa consacra chiunque penetri nelle sue profondità. Ognuno adunque che siasi largamente dissetato a codesta fonte, deve di necessità sentirsi chiamato a farsene banditore.

(2) Della universalità e della nazionalità della Divina Commedia.

(3) Cf. Scritti Letterari di un italiano vivente; Lugano, 1847, vol. II, pag. 182. (4) Ciò viene a conferma di ciò che assai bene intravide Francesco Ridolfi, e che il Gelli, il Giambullari, Cosimo Bartoli, e più ancora il Borghini e il Varchi s' erano argomentati di raffermare circa alle vere norme dell' interpretazione del sacro Poema. II Ridolfi, richiesto dal Magalotti qual si dovesse riguardare come l'ottimo dei commentatori di Dante, rispose in questi termini: Quanto a perfetto commentatore, nessuno is ne conosco; il Daniello e buoni ma scarso; il Vellutello è copioso, ma talora e spesso non la

alunni, ch'io vi dica che tale studio, per l'intelligenza del Poema, fu la gloria del Giuliani, e ch' egli effettualmente propugnò per tutta la vita? Solo così, e non altrimenti che così ci sarà dato di capir Dante degnamente, e di vedere che tante affermazioni di chiosatori e di critici non sono che stranezze e sogni, e che non sono che miseri soggettivismi certi errori che a Dante si attribuiscono, e che Dante non ebbe mai.

XIV.

Coll' opinione in me ferma circa al modo, che parmi migliore a rendere veramente efficace e fruttuoso lo studio di Dante, è cosa conseguente, che, dopo le Opere Minori del Nostro, io facessi gran caso di quelle che al Poeta mi sembrano aver dato ispirazione, sentimento e materia, come sono la Somma Teologica dell' Aquinate, la Consolazione della Filosofia di Boezio (1), e quell' innarrivabile libro (che non vidi mai allegato da alcun chiosatore), cioè l' Imitazione di Cristo (2),che il gran Bossuet chiamava il quinto Vangelo. Ciò ad alcuni potrà parer soverchio, a qualcuno anzi darà sui nervi; ma che ci debbo far io? Io penso così : se intento finale della Divina Commedia, per precisa dichiarazione di Dante (3), si è removere viventes in hac vita de statu miseria (cioè dal peccato), et perducere ad statum felicitatis (cioè alla grazia di Dio); quale mai libro al mondo, dopo i Libri Santi, può venire più opportuno a commentare il religioso e morale pensiero d' un Poema siffatto? Vengono in appresso quegli autori, che per essere vissuti nella stessa età dell' Autore, avendo sortito una consimile educazione, imbevuti degli stessi principj, erano i meglio atti a capire e a ritrarre la mente del sommo Poeta; perciò io credo che rifarsi ad essi è di capitale momento; molte volte tornare indietro di qualche secolo, è progresso vero. Perciò io cito di buon grado quei vecchi chiosatori; non si però che non tenga nel debito conto e non tragga profitto anche dai commenti posteriori e da lavori critici a noi contemporanei (4), pur di quelli qualche volta, che, per la scienza o pel modo, non faranno certo fare un passo alla retta intelligenza del Sacro Poema, e che, pel fine, che gli informa, segnano anzi un vero regresso. Però, come non c'è libro, per quanto pregevole, che in qualche parte non possa aver difetti; così non c'è lavoro, per quanto difettoso, che in qualche parte non possa aver qualche pregio; e del bene, che ci si può trarre, non è mai da savio privar sè e gli altri. Però tra' moderni a me parve doveroso di dare una certa preferenza (insieme al Tommaseo) alle Bellezze di Dante del P. Cesari, quel sì valente e benemerito Cesari tanto ingiustamente dimenticato da molti, e più ingiustamente deriso da certi saputelli, che volendo far credere di tutto sapere, molte volta deridono perchè propriamente non sanno.

coglie; il Landino per le cose fiorentine è stimabile; il Buti, per uno che si voglia mettere a scuola, vale un tesoro : l'ottimo interprete è Dante a sè medesimo.

(1) Ora allego il testo latino; il più di frequente la traduzione, che ne fece il Varchi. (2) Porto sempre la traduzione, che ne diede un anonimo trecentista, che è forse la più candida prosa, ch' abbia la nostra letteratura.

(3) Epist. x, §. 15.

(4) Non però, salvo rarissimi casi, di quelli posteriori al 1890.

XV.

E in quanto al citare, mi giova aggiungere un' altra parola, per intenderci tra noi, miei cari alunni. Voi sapete quante volte io v'abbia inculcato esser sacro dovere di dare unicuique suum, e che quando si prende da altri, lo s' ha a dire con onesta franchezza, sia che s' attinga alla fonte, sia quando si prenda di seconda mano : io la penso così, e così ho sempre insegnato a voi. Nondimanco, in quanto ad un commento della Divina Commedia, si d' indole letteraria che scientifica, vi sono certe opere delle quali nessun chiosatore può oramai far senza : quindi non è maraviglia se certi tratti di quelle opere, se certi passi d'illustrazione si trovino sì in questo che in quel commentatore: però un tale incontro di citazioni, il semplice fatto di riferire al medesimo luogo lo stesso brano di un autore, sarà per sè stesso bastevole cosa per conchiudere che l' ultimo venuto si fa bello delle fatiche altrui? cotale spiccia conclusione a me non parrebbe giusta : ad ogni modo dichiaro lealmente che qualvolta m'avviene di prendere da altri, io lo dico; ma quando in più che cinque lustri di studio (sia pure, per colpa mia, infecondo) fatto con ardore e coscienza, potei dalle fonti trar testi e illustrazioni; e quando i miei alunni succedutisi in sì lungo lasso di tempo, posson testificare che a quel verso, a quella terzina, in quella data questione io recavo quel dato testo, quella illustrazione, frutto dello studio mio; se anche sia avvenuto che tale illustrazione e tal testo a quel medesimo luogo sien riferiti da altri, la pubblicazione de' cui lavori precedette di qualche anno quella del mio, si avrà diritto di dire ch'io attinsi al rigagnolo piuttosto che alla fonte? giudicatene voi.

XVI.

E da quanto ho qui detto, è breve il passo ad altro argomento, che direi d'una certa affinità a questo, per opposizione. Voi ben sapete quanto in quest'ultima metà del secolo siasi scritto su Dante; e sapete anche che tale smania (vorrei poterlo dire ardore) accenna tutt'altro che a scemare: ciò potrebbe essere di buon augurio ai nostri studi, se molti di questi cotali, che per ogni quisquilia si danno l' aria e prendono il tuono di dantisti, non mostrassero palesemente di non avere la debita preparazione, e che molte volte ignorano l' essenza di ciò su cui vogliono sentenziare; scrittarelli, che tanto più rivelano la loro povertà, quanto più, per nostra fortuna, han di fronte altri lavori contemporanei, che dureranno insigni, e dei quali la letteratura dantesca ha tutto il diritto di gloriarsi e di menar vanto. Ma ciò non toglie che gli autori (e peggio i protettori) di quelle robucce lì, se qui o qua non veggono citate le loro elucubrazioni, non si sentano commuovere nelle viscere paterne, e saltandovi agli occhi non vi dicano che siete un grande ignorante; e passi! però non riflettono che, al trar dei conti, gli ignoranti son loro, perchè altrimenti dovrebbero sapere che un certo genere di disquisizioni in un commento vi han poco da vedere, e che, al più al più, il riverito loro nome e il titolo de' loro scritti potranno trovar luogo nel Manuale Dantesco del Ferrazzi, quando a qualcuno salterà in mente di fare la seconda edizione.

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