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latini dell' ab. Piazza, Vicentino, si legge (1): Sacrum Carmen, longe nobilissimus, quem tot sæcula Christiance poestos tulerunt, fructus, præ cæteris dignum est, quod in omnium populorum Christianæ fidei addiclorum communione habeatur; Divina Commedia, opus tot tantisque difficulta tibus impeditum, si quod aliud, poscit interpretem, qui vel Italicæ linguæ peritis in intelligendo carmine subveniat. Tantum vero abest, ut unius alteriusve, quantumlibet docti et ingeniosi, interpretis opera ad expediendos omnes, quibus abundat carmen, nodos sufficiat, ut ardui hujus propositi assequendi caussa doctorum, qui sunt apud omnes cultiores populos, labores in unum collati requirantur.

IV.

Voi vedete, miei cari alunni, che per sentenza di così solenni e benemeriti maestri, c'è più che abbastanza perchè, in tanta ampiezza ed esigenza di cose, un povero chiosatore abbia ragione di disperarsi. Ma dunque, rispetto al commento della Divina Commedia, non si potrà più far nulla di serio, nulla di degno per gli studi e per Dante? Sì, puossi ancora, e si potrà sempre; e se credo benissimo anch' io che sarà sempre impossibile che un commento qualsiasi riesca omnibus numeris absolutum, credo anche che del bene, e non poco, si possa fare tuttavia; e perchè è svariatissima la scienza di Dante, resta che il modo di fare il bene in questi studi e multiforme. Come poi questo bene, rispetto ai tempi nostri specialmente, si possa fare con sicurezza, ‹ on qual metodo, in parte lo dirò più innanzi (2): qui intanto mi piace notare come l' espressione del Tommaseo (3), che della Divina Commedia potrebbesi fare un commento colla Bibbia e un altro colla Somma dell' Aquinate, fu espressione feconda e degna di lui, perchè sapientemente determina la vera natura del campo religioso e morale, nel quale tutta è riposta l'essenza, che dona essere e virtù al Poema sacro; campo che, se non appieno, fu in parte intraveduto e percorso dai chiosatori primitivi (4). Il Tommaseo, che nel commento di Dante fu il primo a fare tant' uso della Somma dell' Angelico, certo mostrò per effetto che nella bella sua mente presentiva il bisogno dei tempi di riportare gli studi filosofici alla vera lor fonte; presentiva la non lontana riforma di tali discipline, la gloria della quale era riserbata al regnante l'ontefice LEONE XIII; e vedeva in pari tempo, che in quella guisa che Dante non avrebbe potuto fare il mistico suo viaggio senza la guida di Virgilio, così un chiosatore non può debitamente seguire le veraci orme dell' Allighieri senza la sicura scorta dell' Angelico (5); e in questo presentire, e in codesto vedere, io credo ei

(1) Dantis Alligherii DIVINA COMOEDIA hexametris latinis reddita ab abbate Dalla Piazza, Vicentino (Lipsiæ MDCCCXLVIII, sumtibus Joan. Ambros. Barth.), alla pag. VIII.

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(2) Cf. § XI e segg.

(3) Cf. § III.

(4) Cf. § XIV.

(5) Il Tommaseo : "Necessario incremento al mio lavoro stimai dimostrare, in alcuna parte almeno, quanta luce verrebbe alla parola di Dante dal raffrontare a lei le dottrine del suo secolo, dico la filosofia aristotelica e la cristiana, condensate, appurate e "coordinate nell' alta mente di Tommaso d' Aquino ..... Si vedrà che certi luoghi di "Dante senza la filosofia di qui vecchi non si possono intendere; e si vedrà insieme quella 'filosofia non essere tanto tenebrosa, quanto taluni vorrebbero dare a credere" (cf. ediz. cit., pag. XCIV).

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presentisse e vedesse pur anco, che il rinnovarsi dello studio di S. Tommaso avrebbe sostanzialmente e di necessità rinnovato lo studio dell'Allighieri ed ecco bellamente altra fulgida gloria di LEONE XIII, che non appena sancite le norme più efficaci e sicure al proficuo studio del sommo Aquinate, converse l''animo a fondare in Roma una Cattedra speciale allo studio del sonimo Fiorentino, pur di questo studio tracciando il supremo scopo e stabilendo le norme sicure, rendendo così tanto al maestro che agli alunni più facile e più spedita la via.

V.

Per quant'è degli studi letterari, in genere, del nostro Istituto, il S. Padre, nella sua Lettera del 2ɔ Maggio 1885 al Card. Vicario, dichiarò che scopo di tale istituzione si era, ut suum Clerus teneat locum: est enim litterarum laus multo nobilissima; quam qui adepti sint, magnum aliquod existimantur adepti; qui careant, præcipua quadam apud homines commendatione carent..... E per ciò la Chiesa, quemadmodum cetera quæ honesta, quæ pulcra, quæ laudabilia, ita etiam humanarum litterarum studia tanti semper facere consuevit, quanti debuit, in eisque provehendis curarum suarum partem non mediocrem perpetuo collocavit. In quanto poi concerne specialmente a questa Cattedra, l' Emo Card. Vicario, legittimo e degno interprete degli intenti del S. Padre, in quel suo De ratione studiorum (che è un commentario alla testè ricordata Lettera del S. Padre a lui diretta), dopo discorse le ragioni generali e tracciate le norme delle Cattedre di Greco, di Latino e d' Italiano, così ragiona della Cattedra nostra: Verum omnium omnino facile princeps numerandus Alighierius a Poemate suo divino. Prætermittas ubertatem, varietatem, magnificentiam, qui unus omnes apud nos carminis rationes comprehendit, omnibus auctor antecessit; apparet ipse et extat artibus et doctrinis pene cunctis instructus, insignique sapientia rerum divinarum præditus hausta ab Aquinate, recenti copia; homo autem Ecclesia sanctæ perstudiosus, tametsi imprudenti iratoque animo nonnulla exciderunt. Fam vero in Poemate, quod vel exterarum gentium admirationem et studia excitat, singularis quædam opera collocanda est triennio toto: hoc tamen cauto, ne longe repetatur sententia Auctoris, sed. qued fugit multos,e ceteris eiusdem scriptis exquiratur sæpius et firmetur. Neque opus dicto est quantum ad litteras, ad mores, ad prudentiam civilem, ad scientiam rerum altissimarum id operie et laboris conducat.

Non credo che con tanta verità e comprensione e larghezza dello studio di Dante sia mai stato determinato il metodo, quel metodo, che puossi riassumere nella celebre formola Dante spiegato con Dante, di cui toccherò più sotto (1): intanto io son d' avviso che a tali parole avrebbe plaudito, lieto e riconoscente, lo stesso Allighieri, come debbono plaudirle, italiani e stranieri, quanti amano di vero amore la sapienza e la gloria del Filosofo-Poeta.

VI.

Poste così in chiaro le cose nella loro generalità, siami lecito di venire più dappresso a ragionare qualcosa dell' opera mia.

(1) Cf. § XI e seg.

Chi conosca lo scopo precipuo della Cattedra e quali gli alunni miei' non potrà imputarmi a colpa se io, mentre nell' intento generale non cerco che di spiegar quello che a me sembra il pensiero genuino di Dante, di qualunque fatta potessero essere i leggitori del Commento mio; circa poi al modo e alla materia, dirò così, di erudizione e di abbellimento, credetti mio dovere di tener l'occhio specialmente a due cose; in primo luogo, che la mia scuola non è un insegmento elementare, ma presuppone negli alunni una preparazione, una cultura derivante da studi già fatti: secondamente, che se alle mie lezioni può intervenire ogni persona di qualsiasi età e condizione, perchè l' insegnamento è pubblico, non di manco il vero si è che il maggior numero degli scolari propriamente detti, è composto di giovani sacerdoti o prossimi al sacerdozio, e i più di essi già laureati in Filosofia e in Teologia. Posto ciò, dovevo io, avrei io potuto occuparmi costantemente di certe chiose di pura forma? e non avrei anzi dovuto, per la qualità appunto degli alunni, abbondare, troppo più che in altre scuole non si soglia, di materia filosofico-teologica? Si; badai, e ci badai con vivo amore, al sacerdozio, a mostrargli quanta dovizia di cognizioni, quanto splendore di sapienza, quante e quali armi d'ordine religioso, morale e civile, armi sempre acute e potenti in servizio della Religione e in difesa del vero si possano trarre dal ricco arsenale delle Opere di Dante, mentre altri s'argomentarono di trarvi le armi loro per offendere sì la Religione che il vero, non s'accorgendo (o per avventura accorgendosi sin troppo) che quelle armi non venivano di là, ma da qualche officina o di contrabbando, o certo senza brevetto.

VII.

E giacchè mi cadde d'accennare all' erudizione, fermiamoci un istante. Ognun capisce di leggieri quanto un tratto d'autore possa recar luce a quello d' un altro, e così dar bel modo al leggitore d'istituire utili confronti; e alle volte avviene che un lembo di pensiero, un cenno di nuova idea desta in lui la forza latente, sì ch' egli si forma un pensiero compiuto, più snodato, più largo, o più acconcio ai bisogni e all' indole de' tempi. Ma (e qui sta il busilli!), in qual misura in un commento dovrà essera l' erudizione, i passi illustrativi e di confronto? Eh, Signori miei, vedete che non son nato ieri (e pur troppo lo sento anch' io); e m'avvenne non una sola volta di sentir dire, a proposito di siffatti lavori altrui : Sì, va bene, buon lavoro, lavoro serio; ma, santo Dio, non le pare che secchi con tutti quei passi d'altri autori, tanto facili, d'altra parte, ad aversi anche dai lettori? e di qualche altro lavoro consimile: Sì, va bene, buon lavoro, lavoro utile; ma, santo Dio, non le pare che secchi con tutta quella rigidezza, senza mai un raffronto, senza mai un ristoro di passi d'altri autori, tanto difficili d' altra parte ad aversi dai lettori? E così, Signori miei, fra il sì e il no, fra il facile e il difficile, e sempre seccando, si conchiude che il preferire questo o quel metodo e il circoscriverne i confini, entro cui contenerlo, la è cosa puramente soggettiva, e che perciò va secondo il capriccio, o la disposizione, o il vario grado di cultura dei lettori; e si conchiude ancora, che un chiosatore per quanto s'insegni, per quanto faccia anche gli sforzi d' Ercole per

contentare, avrà sempre la sorte di quel povero asinajo (storia vecchia), il quale sia che montasse lui sull' asino, sia che vi montasse il figlio giovinetto, aveva in ogni modo il biasimo e le beffe dal grazioso giudizio di quanti scontrava per via.

VIII.

Certo, opinione mia si è, che non importa molto una certa erudizione, che spesso, anzichè tener dritto sulla via il lettore, non fa che deviarlo dall'intento dell' Autore, specialmente se attinta a fonti alle quali l'Autore non attinse: ciò invece che, a parer mio, importa assaissimo, si è una sicura esegesi, quale Dante usava, e della quale ci lasciò norme chiare e precise nel suo Convito, e nell' Epistola a Congrande : il rimanente potrà esser utile, specialmente a un certo genere di studiosi; potrà piacere a molti; potrà anche riscuotere l'ammirazione dei men pensanti; ma non è ciò che è necessario.

Per capir Dante come vuole essere inteso, non basteranno mai nè cento critiche, nè mille erudizioni; occorrerebbe invece aver l'anima di Dante; occorre almeno un lungo studio di tutte le sue Opere, quanto in esse la scienza molteplice si stende; occorre anche studio non poco della travagliosa sua vita, studio non disgiunto dall' amore e dal consentimento alla sincera e luminosa sua fede, che la vita gli resse, e facendola attuosa, le Opere ispirò. Perciò, siccome l' Allighieri c' insegna che l'umiltà è fondamento del credere (1', e un'anima semplice (scrisse il P. Didon nel suo Cristo) intende più assai e più assai fa intendere che non molti vanitosi predicanti (2); così io tengo per indubitato che il sentimento vivo e la candida fede del Poeta troppo meglio molte volte la capisca un modesto scolaro scevro di passioni e di preconcetti, che non un pretenzioso eruditissimo, che nella pompa fatua della sua acciarpata dottrina, sulla chiara sentenza dell' Autore va spesso arzigogolando come fosse un geroglifico, la contorce, la svisa, e a forza di quella certa sua dottrina, vi spaccia un solenne errore della sua testa, che non fu mai, ci s' intende, nella testa di Dante; unde fit per sæpe (uso le parole di Dante, che s'avverano appuntino), unde fit ber sæpe, quod non solum falsitas patrimonium habeat, sed ut plerique, de suis terminis egredientes, per aliena castra discurrant, ubi nihil intelligentes ipsi, nihii intelliguntur; et sic provocant quosdam ad iram, quosdam ad indignationem, nonnullos ad risum (3). Dunque certe erudizioni, e peggio ancora una certa critica, non sono sempre le qualità meglio disponenti a capir Dante, e soprattutto a sentirlo; sentirlo, dico, in quanto l' anima del lettore batta all' unisono con quella dell' Autore; ed è in questo sentire, se ben m' appongo, che il Tommaseo discerneva nel lettore un presagio di grandezza (4): e qui, a parer mio, sta il forte, e non altro che qui.

(1) Parad., XXIX, 93.

(2) Parad., XXIX, 94-123.

(3) Mon., III, 3.

(4) Leggere Dante è un dovere, rileggerlo è bisogno; sentirlo è presagio di grandezza (nel discorso Il secolo di Dante » nell' ediz. Pagnoni, 1869, pag. XVII).

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IX.

A tal proposito qui cadono molto opportune le belle parole di Augusto Conti, il quale (per nobiltà di studi e per bontà di vita attissimo, se altri mai, a capirne l'anima), della scienza, del cuore, della fede di Dante si degnamente parlò in tante sue opere. Il Conti, adunque, nel suo Necrologio del Giuliani (1), scriveva così : Il Commentatore (il Giuliani) unificava la vita sua, del suo intelletto e del suo affetto, con la vita del suo Autore: ragione somma dell' intenderlo bene. L'amore è interprete d'ogni segreto, come si vede nelle madri. Secondo le disposizioni dell' animo, l'Allighieri (e ogni autore) può essere spiegato in tre modi: 1) o spiegarlo con certi giudizi antipensati, come han fatto il Rossetti, il Foscolo, alcuni Protestanti (non il Witte); 2) o con intenzione di stare al senso del testo fedelmente, ma dissentendo dall' Allighieri nella sostanza delle opinioni religiose, filosofiche, civili; 3) o unire fedeltà e consentimento. Chi potrà dubitare che ciò non sia l'ottimo, perchè il consentimento dà il più intimo sentimento? Il commentatore sente allora nell' animo suo l'animo dell' Autore. Parole sapienti, e in tutto degnissime dell' illustre scrittore! Infatti, a diverla schietta, come mai si vuole far credere di capire l'anima di Dante, il quale era theologus nullius dogmati expers (2), se si ignora e si mostra d'ignorare sinanco il catechismo? nè si crede ciò ch' egli credeva colla candida semplicità d'un fanciullo; nè s' ama ciò ch' era il sovrano de' suoi amori (3)? se anzi con una audacia, che fa compassione, e con un sarcasmo, ch'è proprio degli ignoranti, secondo la parola divina (4), si insolentisce contro ciò che Dante amava, e si fa pompa di sbertare quanto egli avrebbe difeso fino al sangue? No, persuadetevi pure, costoro con tutta la loro critica, con tutte le loro erudizioni, nè capiscono, nè capiranno mai Dante oltre alla buccia della nuda parola: e mi fanno tutta la bella figura di certi altri solenni maestri infestati il cervello di forestierumi appariscenti, che eruditissimi in quel gioiello di critica che scerpa, cincischia e anatomizza ogni voce latina per iscrutarne gli ascendenti e i discendenti, non sanno poi, al caso, infilare un periodetto, che abbia tanto di veste e di colore di latinità, da meritarsi, con equo giudice, la licenza liceale; sempre pronti però come spade a dar del rétore e del vaniloquo a Marco Tullio. La è così, pur troppo; ma intanto colle loro spavalde follie hanno guastato per bene la scuola tradizionale italiana; e, se a Dio piace, guasteranno dell' altro; perchè a guastare, a contorcere, a falsare son fatti apposta.

Tutto questo per dire ... per dire ciò che ho già detto, che cioè per capir Dante per davvero, occorre tra l'anima sua e la nostra, per quanto è possibile, una certa consonanza, una certa corrispondenza tra i suoi

(1) Estratto dalla Rassegna Nazionale, Firenze, tip. Cellini, 1884, pag. 6.

(2) Nell' Epigrafe che pel sepolcro di Dante scrisse Giovanni Del Virgilio (cf. FRATICELLI, Vit. Dant. capit.x.) Della scienza teologica, che si può trarre dal Poema di Dante scriveva il Salvini in un suo Capitolo al Redi :

(3) Cf. Parad., XXVI, 48. (4) Epiph. Judæ, V, 10.

Ed ho imparato più teologia,

In questi giorni che ho riletto Dante,
Che nelle scuole fatto non avria.

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