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e segg.). La via che mena alla salute, osserva lo Scartazzini, non è nè così
breve nè così facile come l' uomo s' immagina allorquando egli ha preso la
risoluzione di abbandonare il vizio. - Se vuoi campar: il se qui dice condi-
zione assoluta; una sola era la possibile, che accenna più sotto (v. 114), e
che conferma altrove (Purg., 1, 62-3; XXX, 136-8). — Gride (gridi, cf. Inf. v,
21) qui Virgilio si riferisce al v. 65. - Sua via: la Lupa era quivi sovrana,
e nessuno poteva indi passare senza trovar la morte; onde il combattimento
della mala belva con Dante equivale a combattimento della morte (cf. 11, 107);
perciò Virgilio gli consiglia altra strada (v. 91). Assai illustrativo, chi ben
guardi, è questo tratto di S. Gregorio (Homil. 10 in Ev.) : « Magi in regio-
nem suam per aliam viam revertuntur.... Regio nostra paradisus est : ad
quam, Jesu cognito, redire per viam, qua venimus, prohibemur. A regione
etenim nostra superbiendo, inobediendo, visibilia sequendo, cibum vetitum
gustando, discessimus; sed ad eam necesse est, ut flendo, obediendo, visi-
bilia contemnendo, atque appetitum carnis refrænando, redeamus. Per
aliam ergo viam ad regionem nostram regredimur: quoniam qui a paradisi
gaudiis per delectamenta discessimus, ad hæc per lamenta revocamur. >>

97-99. Natura malvagia e ria: Dante in una Canzone (Canzoniere, p. II,
canz. 4) chiama i nemici della filosofia malvagi e rei; e gli avari (ivi, canz. 5)
dice altrove falsi animali, a sè ed altrui crudi. — Mai non empie ecc. : la
cupidigia non mai si sazia, e sempre peggio acciecando l' uomo, più sempre
lo allontana dalla giustizia e dalla carità (Mon., 1, 13 e 15). Nell' Epist. VI, 2:
<< Dira cupiditatis ingluries; e ivi, 5 : « Nec advertitis dominantem cupi-
dinem, quia cæci estis (poco prima, § 3, aveva detto : «o mira cupidine
cæcati!»), venenoso susurro blandientem. » E ivi, V, 4 : « Nec seducat
illudens cupiditas, more Sirenum (cf. Purg., XIX, 19), nescio qua dulcedine
vigiliam rationis mortificans. » E dopo il pasto ecc. : nel Conv. IV, 12 :
<< In nullo tempo si compie nè si sazia la sete della cupidità » (cf. Purg.,
XX, 12). Cf. Diz. Dant. a CUPIDIGIA e LUPA.

100-102. Molti son gli animali ecc. La cupidigia s'accoppia a molti vizi, e molti vizi da lei procedono; e cotesto malanno doveva pur crescere e dilatarsi fino alla venuta del Veltro. Che la cupidigia fosse pressochè universale, lo afferma Dante nell' Epistola ai Cardínali Italiani (§ 7) : « cupiditatem unusquisque sibi duxit in uxorem, quemadmodum et vos.» Di più cel rafferma nel Purg., XX, 8-11, dichiarando che la Lupa occupa tutto il mondo, e che ha preda più che tutte le altre bestie (cf. commento al v. 49). — Veltro. Arse e, forse, arderà a lungo la battaglia, e furono accampate in vari tempi le ipotesi più disparate, e tra queste le seguenti: il Veltro è 1) Cristo venturo nel dì del giudizio finale; 2) è un Papa, e propriamente Benedetto XI; 3) è un Imperatore, e per alcuni sarebbe Enrico VII; 4) è Cangrande della Scala signor di Verona; 5) è Dante stesso o il suo Poema; 6) è Uguccione della Faggiola, signore di Pisa e di Lucca; 7) è un personaggio indeterminato

Questi non ciberà terra nè peltro,
Ma sapienza e amore e virtute,

nella mente stessa di Dante, o Papa, o Imperatore, o di altra dignità rivestito, che avrebbe rimesso la Lupa nell' Inferno, e ravviato il mondo sullo smarrito sentiero della virtù. Esaininare partitamente le singole opinioni e ribatterne gli argomenti, sarebbe un' andare all' infinito; ne ho parlato molto a lungo nel Dizionario Dantesco (vol. VIII, Appendice IV), e prego il cortese lettore di darci un'occhiata. Intanto è bene notare che nessuno de' più vecchi chiosatori pensò nè a Cangrande, nè ad altro consimile tirannello; fu il Vallutello che pel primo pensò al Signor di Verona; e questa circostanza è bene notarla. Prima di tutto si attenda : il Veltro qui profetato, naturale nemico della Lupa, è ad eguale intento ricordato nel Purg., XX, 15, e del pari nel Caato xxxIII, 43; e, secondo me, è pure adombrato nel Par., IX, 139-142, e XXVII, 61 e segg. Ora chiedo: quale doveva essere l'impresa del misterioso personaggio? rimettere la Lupa all' Inferno, donde l' invidia del diavolo la fece prima sbucare, e così ridurre il mondo a pace e concordia, ch'è il supremo de' beni (Mon, 1, 5 e 17). Ma chi fu scelto da Dio a guida del Mondo? il Papa e l' Imperatore, i quali per differenti mezzi devono condurre l'umanità al suo duplice fine, che è quello della felicità temporale ed eterna (Mon., 111, 15); ed ecco le due strade, quella del mondo e quella di Dio (Purg., XVI, 107-8). Chiedo anche : Dante, rispetto al profetato Veltro, vi parla d' una riforma religiosa, ovvero civile? chi ripensi che tutti i suoi lamenti sono in tutte le opere sue diretti a mostrare che il mondo non avea pace, che tutto era disordine e rancori e odj e sangue; chi rifletta anche un poco quale si fosse il supremo intento, che egli si propose colla Monarchia, non sarà perplesso un solo istante a concedere, che la riforma, che Dante invocava e aspettava, era d'ordine civile. Ciò posto, chi fu da Dio stabilito a far vedere agli uomini la strada del mondo? l' Imperatore (Purg., XVI, 108). A chi si rivolge, incolpandolo per la sua trascuranza di tutti i guai della misera Italia, per rimetterla sulla buona strada? al Papa? non già, si bbene all' Imperatore Alberto (Purg., VI, 97-105) e chi poteva sanar l'Italia, e invece lasciolla morire? il padre di lui, Rodolfo (Purg., VII, 94-96). Chi finalmente è l'esecutore della giustizia nei popoli, ministro di Dio a guidare l' umana famiglia alla felicità temporale? non altri che l' Imperatore (Mon., II, 11), quel Giudice supremo che i Guelfi non volevano riconoscere (ivi, 111, 3, ad fin.). Finalmente, se Dante esplicitamente dichiara che « allo Imperatore, tanto quanto le nostre operazioni si stendono, siamo soggetti » (Conv., IV, 9); e se quella del Veltro doveva essere impresa di ordine del tutto civile, non un Papa ma un Imperatore, e non altri che un Imperatore si deve discernere nel Veltro; tanto più che tutte le sciagure provenivano, secondo Dante, dal non lasciare libero l' Imperatore nella sua benefica e necessaria azione di capo e guida della famiglia umana (Purg., VI, 91-96), onde si sviava l' umana famiglia (Par., XXVII, 139-141), l' un Sole avendo spento l'altro, cioè il Papa avendo invaso il campo dell' azione civile delImperatore, mentre nell'ordinamento divino i due campi delle due supreme Autorità debbono essere distinti, ed esse, giusta il loro fine, procedere di mutuo accordo (Purg., XVI, 109-114; Mon., III, 15, al fin.). A conclusione di tutto, io credo d' avere rigidamente dimostrato nella prefata Appendice, che il solo al mondo che possa essere scevro di cupidigia, e per ciò il solo capace del grand' ufficio del Veltro, è non altri che l' Imperatore; onde da parte mia parole non ci appulcro.

103-105. Non ciberà ecc.; non porrà il cuore ne' beni mondani. «Peltro qui, come argento, nota il Tommaseo, sta per ogni metallo e ricchezza; terra, per ogni potere. Come ciò possa avverarsi in un Imperatore, che tutto doveva

Mon. I, 13.

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anzi possedere, Dante cel dice nel Convito, IV, 4, dove discorrendo delle
cagioni (Lupa) che impediscono all' umanità il conseguimento del suo fine,
ch'è la felicità, scrive: «Il perchè, a queste guerre e alle loro cagioni tôrre
via, conviene di necessità tutta la Terra, e quanto all' umana generazione
possedere è dato, essere a Monarchia, cioè un solo Principato e un Principe
avere, il quale, tutto possedendo e più desiderare non possendo, li Re tenga
contenti nelli Regni, sicchè pace intra loro sia, nella quale si posino le cit-
tadi, e in questa posa le Vicinanze s' amino, e in questo amore le Case
prendano ogni loro bisogno, il quale preso, l' uomo viva felicemente, ch'è
quello perchè l'uomo è nato. » E questo tratto interpreta perfettamente
l'affermazione che il Veltro ciberà solo sapienza, amore e virtute, con che
solo potevasi spegnere la Lupa carica di tutte brame (v. 49), cagione prima
delle sventure del mondo. Salus, amor, virtus sono per Dante (Vulg. El.,
II, 2, post med.) i tre campi fecondi della poesia; e poesia, nota il Tommaseo,
politica e religione erano nella sua mente una cosa. E sua nazion sarà
ecc., suo nascimento ovvera dominio; se nascimento, tra feltro e feltro è da
intendersi con Pier di Dante inter cælum et cælum, essendo i Cieli operatori
del tempo e perciò portatori degli umani avvenimenti; e la frase corrisponde
al modo che Dante tiene ne' vari luoghi a profetare la venuta del Veltro
(cf. Purg., XX, 13; XXXIII, 40 e segg.); se dominio, e forse è meglio, vale da
Oriente in Occidente, cioè tutto il mondo, facendo delle nazioni divise una
nazione sola, una sola famiglia di fratelli, tutti civilmente figliuoli del Padre
medesimo, che è l' Imperatore, rappresentante di Dio, ch'è uno; e così solo
sarebbesi costituita quella pace e quella felicità, che udimmo testè nel
Convito, e quella fratellanza universale, che Dante sì vivamente sospirava
nella Monarchia (1, 18, in fin.). E pel dominio universale, la frase ha con-
ferma non solo dalla Monarchia e dal Convito in più luoghi, ma e sì nel-
l'Epistola ai Fiorentini (§ 2), e in quella ad Enrico ancor più chiaramente
(3), come in quella ai Principi e Popoli d' Italia (§ 7). Ad ogni modo quelli
che nazione spiegano per lignaggio, sangue, schiatta, e pensano a Can-
grande o ad Uguccione, come spiegano il sarà, se già erano? Cf. Diz. Dant.,
App. IV, § 16 e segg.

106-108. Umile Italia ecc. : tal frase si può intendere in due maniere :
1) o per l' Italia laziale, per la quale appunto morì la vergine Camilla ecc.
(cf. Par., VI, 35-36), e allora è chiaro il concetto che il Veltro-Imperatore,
riprendendo la sua legittima autorità e diritto, della sua Roma rimovata
(cf. commento al Purg., VI, 112) avrebbe diffuso la pace e la felicità su
tutti i popoli della terra : 2) o per l'Italia in genere, e allora l'umile ha
spiegazione dal Purg., VI, 76 e segg., ove essa è detta serva, non donna di
province, ma bordello; il che trova riscontro nella addolorata parola del-
Epistola v, 2 (miseranda Italia etiam Saracenis), e in quella dell' Epistola
VI, 1 (Italia misera, sola privatis arbitriis derelicta, omnique publico mode-
ramine destituta, quanta ventorum fluctuumque concussione feratur verba
non capiunt, sed et vix Itali infelices lacrymis mitiuntur, ove è pieno il
verso del Purg., VI, 77; cf. Mon., I, 18): e tutto questo è bellamente chiarito
e raffermato in quella ai Cardinali Italici (Epist., VIII, 10): «Roma urbs, nunc
utroque Lumine destituta (ecco i due Soli, Purg., XVI, 107), nunc Hannibali
nedum aliis miseranda, sola sedens et vidua» (prima, § 2, aveva detto :
vidua et deserta, che è il vedova e sola del Purg., VI, 113). — Camilla, Eu-
rialo ecc. Camilla, figlia di Metabo re de' Volsci, che morì combattendo

Questi la caccerà per ogni villa,
Fin che l' avrà rimessa nell' Inferno,

110

Là onde invidia prima dipartilla.

115

Ond' io per lo tuo me' penso e discerno,
Che tu mi segui, ed io sarò tua guida,
E trarrotti di qui per luogo eterno,

Ov' udirai le disperate strida,
Vedrai gli antichi Spiriti dolenti,

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contro i Troiani (cf. En., XI, 768-831): Eurialo e Niso, venuti in Italia con Enea, amicissimi tra loro, morirono combattendo contro i Volsci (cf. Æn., IX, 179-445): Turno re dei Rutoli, ucciso da Enea (cf. Æn., XII, 919-952), colla morte del quale finisce il poema virgiliano : la frase ferute, ferite, come feruto per ferito (Inf., XXI, 87); e ferute anche senza l' uopo di rima, Inf. XI, 34-109.

109-111. Villa, città (Inf., XXIII, 95; Purg., XV, 97; XVIII, 83). Di Villa in villa (Par., XX, 39) significherebbe, secondo il Giuliani, d'uno in altro paese, benchè qui pure da molti intendasi di città in città. Per ogni villa corrisponde qui a senza tregua, senza posa, essendoproprio del veltro bene correre (Conv. I, 12). - Invidia: tutti i mali e i disordini che tormentano l'umanità, provengono dal peccato d' Adamo (Purg., XXIX, 24-30; Par.. VII, 79-87; Mon., 1, 18; Vulg. El., 1, 7); e questo scaturi dall' invidia del Diavolo, la quale perciò è tanto pianta (Par., IX, 107) : Sap., II, 24 : «Invidia diaboli mors introivit in orbem terrarum. » E l'invidia è maestra di male arti e scaltrezze; onde sant' Agostino (Tract̃. in c. 3 Joan.) : Ad mortem a diabolo propinatam non veniret homo vi adactus; non enim cogendi potentiam diabolus habebat, sed persuadendi versutiam. E Dante (Epist., VII, I) : < Livor antiqui et implacabilis hostis, » cioè l'antico avversario (Purg., XIV, 146). - Prima: primamente, in antico (la Lupa ei dice antica, Purg., XX, 10). Dipartilla, trasse fuori, fece uscire. L' Alfieri nota i vv. 110e III.

112-117. Me', meglio (cf. Inf., II, 36; XIV, 37; XXXII, 15,e altrove). — Penso e discerno; reputo e giudico; giudicare, dice il Giuliani, è discernere quello che è o non è, il da fare o no; quindi discernere e giudicare hanno egual valore (cf. Purg., XIV, 52 e XX, 48). In questo penso e discerno è descritto l'ordine naturale dell' esercizio di due intellettuali facoltà » (Gioberti). Tua guida, ti insegnerò quanto ragion può vedere (Purg., XVIII, 46) : ecco la proposta del grande ministero; vedremo perchè e per intervento di chi Virgilio se lo fosse assunto. Cf. anche Inf., II, 142. – Trarrotti di qui ecc. Il Mantovano promette qui di trarlo da sì miserabile stato; condottolo poi con ogni studio ed argomento al colmo della perfezione morale, gli dirà con viva esultanza Tratto t' ho qui con ingegno e con arte (Purg., XXVII, 130). Per luogo eterno; attraverso l' Inferno, cioè per l'infernale ambascia (Purg., XVI, 39), per entro i luoghi tristi (ivi, VIII, 58), ovvero per i luoghi bui (Inf., XVI, 82). Il Tommaseo : « Il timor della pena, il dolore dell' espiazione, la speranza del premio sono le tre scale per ritornare a virtù. Ecco la chiave dell' Inferno, del Purgatorio e del Paradiso. » E in questi versi (115-120) abbiamo altresì la definizione dei tre regni oltremondani. Cf. v. 121. Disperate strida; perchè i dannati non avendo speranza di morte (Inf., III, 46) e neppur quella, non che di posa ma di minor pena (ivi, V, 44), sono in continuo disperato dolore (ivi, XXXIII, 5), nè sperano mai di veder lo cielo (Inf., III, 85); infatti sulla porta dell' Inferno è scritto: lasciate ogni speranza, voi ch' entrate (ivi, 111, 9). — Antichi spiriti : intendere gli spiriti di coloro che morirono anteriormente a Dante non parvemi chiosa degna, perchè oziosa; meglio il Tomaseo : « Non vedrà solo gli antichi, ma

in

120

39

Che la seconda morte ciascun grida.
E vederai color, che son contenti
Nel fuoco, perchè speran di venire,
Quando che sia, alle beate genti.

40

col desiderio de' più onorevoli e più onorati da Dante, Virgilio lo ivivoglia La seconda morte (altri alla) ecc. : non tenendo conto di qualche stranissima ipotesi, i più dei chiosatori così spiegano questo luogo: Ciascun de' quali chiama ad alte grida, invoca l' annichilamento dell' anima, la distruzione dell' essere. Che i condannati invochino tale annichilamento, il Poeta ne dà chiara notizia (Inf., XIII, 18); e S. Tommaso (Summ. Th. I, II, 8, 1, 3) : << Non esse est appetibile damnatis per accidens tantum, scilicet ratione pœnæ. Tuttavia parmi che qui la cosa cammini differente. S. Giovanni (Apoc., XXI, 8) la dannazione all' inferno denomina morte seconda. Il Tommaseo riferisce un passo di S. Paolino (Ep. 11), ov'è detto : « La prima morte è la dissoluzione della natura animale, la seconda è il patimento dell'eterno dolore.» Dante scrivendo ai Fiorentini (Epist., VI, 2), così li riprende « Vos divina jura et humana transgredientes, quos dira cupiditatis ingluvies paratos in omne nefas illexit, nonne terror SECUNDÆ MORTIS exagitat? > Dopo ciò non può esservi dubbio di sorta che al seconda morte non debbasi dare il senso d'inferno o di eterna dannazione: ma sarebbe mestieri al grida dare il significato di impreca. L' alfieri nota i vv. 115-117.

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118-123. Contenti nel fuoco, temporale (Purg., XXVII, 127) e purificante del Purgatorio. - Nel fuoco: essendo il fuoco nel Purgatorio Dantesco soltanto nella settima Cornice, ove si scontano le macchie della lussuria, la ragione più ovvia a spiegare questo punto, ove il fuoco è preso a determinare un generale tormento, mi par questa : Qui Dante parla del Purgatorio in generale, ed ecco che, cattolico vero, mette per base la vera dottrina cattolica, come fa sempre: soprachè, la tradizione e l'opinione stessa popolare nel Purgatorio non mettono che fuoco, mentre nell' Inferno ammettono multiplicità di tormenti, che Dante riassume nelle parole tenebre eterne, caldo e gelo (Inf., 111, 87). Messo poi in sodo il dogma e la tradizione universale, il poeta si finge un Inferno e un Purgatorio a modo suo, e ciò anche per la varietà drammatica del suo soggetto. Contenti ecc. (cf. Purg., XXIII, 64; XXVI, 142), perchè uniti in carità con Dio, onde la pena è dolorosa ma dolce, dolce assenzio (Purg., XXIII, 86), e più che pena si dovrebbe dir sollazzo (Purg., XXIII, 72). La ragione perche a Dante è proposto come necessità il viaggio per i due regni del dolore, si può avere chiaramente da S. Giovanni Grisostomo, dove parlando perchè Cristo avesse condotto i tre Apostoli sul monte Tabor spettatori della sua gloriosa trasfigurazione, scrive (Homil. 37 in Matth.): «In eo quod ait : Reddet unicuique secundum opera sua, et regnum et gehennam designavit. Cum igitur de utrisque disseruerit, regnum quidem ut oculis cernatur, concedit; gehennam autem minime, quoniam rudioribus atque ineptioribus illud necessarium fuisset : sed cum illi probi essent ac perspicaces, satis fuit eos a melioribus confirmari. » Ma Dante caduto sì in basso e tanto pien di sonno (Inf., 1, 11; Purg., XXX, 136), rappresenta in se tutt'altro che la probità e la perpicacia.-Speran: come speranza altrove (Purg., XIX, 77), qui sperare vale un attender certo della gloria futura (Par., XXV, 67); ed è appunto ciò che allevia i patimenti del Purgatorio, e lo fa differire dall' Inferno, ove son le disperate strida; e questo luogo è bellamente chiosato dall' altro : « Incominciai : O anime sicure D'aver, quando che sia, di pace stato ecc. » (Purg., XXVI, 53). Questo sperare fa risovvenire la risposta d' uno dei sette fratelli Maccabei all' empio tiranno : E cælo ista (le membra del corpo) possideo: sed propter Dei leges nunc hæc

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