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Così il PETRARCA, invece di nominare l'Italia, dice:
Il bel paese

Che Appennin parte, il mar circonda e l'Alpe.

La perifrasi è anch'essa più propria della poesia, la quale ama dipinger gli obbietti anzichè nominarli, che della prosa, a cui si conviene un parlar più semplice e naturale.

Perchè poi la perifrasi sia giusta ed esatta, fa di mestieri che i caratteri con cui l'oggetto descrivesi, convengano a lui solo, di maniera che tosto si intenda, e non si possa confondere con verun altro.

CAPO II.

Delle Figure semplici di parole.

Figure semplici di parole son quelle, per cui si cerca di dare al discorso maggior forza e vivacità, or coll'accrescerle, or col diminuirle, senza però cangiar punto del loro significato. Eccone le principali.

Si accrescono le parole, 1o colla Duplicazione, raddoppiando la stessa voce, come: Nos, nos, dico aperte, Consules desumus. Cicerone. (1).

Ah Corydon, Corydon! quae te dementia caepit?
VIRG. Ecl. 11. (2).

E DANTE

Non son colui, non son colui che credi.

2o Colla Ripetizione, replicando la stessa parola al prin

(1) Noi noi, il dico apertamente, noi Consoli manchiamo. (2) Ah Coridon, Coridon! qual mai

Pazzia ti prese?

cipio di più periodi, o membri, o incisi, come: Nihil ne te nocturnum praesidium palatii, nihil urbis vigiliae, nihil timor populi, nihil consensus bonorum omnium, nihil hic munitissimus habendi senatus locus, nihil horum ora, vultusque moverunt? Cic. in Catil. (1).

E DANTE:

Per me si va nella città dolente,
Per me si va nell'eterno dolore,
Per me si va fra la perduta gente.

Inf. Cant. 111.

3o Colla Replica delle congiunzioni di cui già abbiamo parlato nel Capo VI. della Sezione I, e che da' Greci chiamavasi Polysyndeton, come:

Vertitur interea coelum, et ruit Oceano nox,
Involvens umbra magna terramque polumque,
Myrmidonumque dolos..... VIRG. AEneid. 11. (2).

E benissimo il PETRARCA:

L'acque parlan d'amore, e l'ora e i rami

E gli augelletti, e i pesci, e i fiori, e l'erba.

4° Colla Sinonimia, che è l'esprimere la stessa cosa con più parole, aventi bensì un significato analogo, ma con qualche differenza che vieppiù l'accresca, e rinforzi, come: Vobis populoque Romano pacem, tranquillitatem, otium, concordiam adferat. CIC. (3). E ALBERTO LOLLIO, nell'Orazione in

(1) Nulla dunque il notturno presidio del palatino, nulla le guardie della città, nulla il timore del popolo, nulla il consenso unanime di tutti i buoni, nulla questo munitissimo luogo, ove si tiene il senato, nulla i volti e gli aspetti di tutti costoro han saputo commoverti?

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(3) A voi ed al popolo Romano arrechi pace, tranquillità, ozio, concordia ecc.

lode dell' Eloquenza : « Senza l'aiuto di questa nobilissima facoltà non è arte alcuna, che possa compiutamente il suo officio eseguire, anzi sono tutte mutole, senza lingua, senza voce, e senza spirito. »

5o Col Pleonasmo, per cui si aggiungono delle voci non necessarie in sè, ma che accrescono l'energia del senso, come:

Ipse Deum manifesto in lumine vidi

Intrantem muros, vocemque his auribus hausi (1).
Così DANTE fa dire a Virgilio:

Uomo già fui,

E li parenti miei furon Lombardi,

E Mantuani per patria amendui.

6° Si diminuiscono le parole colla Reticenza, per cui si tronca un sentimento, affinchè l'uditore supplisca da sè medesimo, e concepisca colla sua immaginazione vieppiù grande quel che si tace: come VIRGILIO (AEneid. 1.) nella minaccia di Nettuno ai venti:

Quos ego... sed motos praestat componere fluctus (2). ed il Tasso nella minaccia d'Ismeno agli spiriti infernali:

Che sì... che sì... Volea più dir, ma intanto
Conobbe che eseguito era l'incanto.

7° Si diminuiscono le parole anche colla soppressione delle Congiunzioni, di cui pure abbiamo già fatto cenno nel Capo summentovato, e che si usa quando si vuole che l'enumerazione, o successione di molte cose acquisti maggiore rapidità, come: Puter occisus nefarie, domus obsessa ab ini

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micis, bona adempta, possessa, direpta etc. Cic. pro Sex. Roscio (1).

Alcuni annoverano tra le figure anche i giuochi di parole fra lor somiglianti, cui chiamano con greco vocabolo Paronomasia, come amaro amore; o il terminare più sentimenti con eguali desinenze, che era il similiter desinens de' Latini. Ma questi son anzi difetti, che ornamenti di un ben tessuto discorso. I giuochi di parole appena possono tollerarsi alcuna volta in un ragionamento scherzevole: e le desinenze simili, fuori de' versi rimati, in cui si cercano espressamente, sono sempre da fuggirsi.

CAPO III.

Delle Figure di pensiero.

Abbiamo detto fin dal principio di questa Sezione, che le figure generalmente riguardare si possono come un linguaggio prodotto dall'immaginazione e dalle passioni più o men riscaldate dagli oggetti che stan dinanzi alla mente. Or se questo ad ogni sorta di figure generalmente s'adatta, in particolar modo conviene poi alle figure di pensiero, le quali perciò in queste due classi acconciamente si possono dividere.

ARTICOLO I.

Delle Figure di pensiero prodotte dalla passione.

Le principali figure che nascono dalla passione sono dodici: l'interrogazione, l'esclamazione, l'epifonema, la pre

(1) Il padre ucciso scelleratamente, la casa assediata dai nemici, i beni rapiti, posseduti, dilapidati.

ghiera, l'imprecazione, la dubitazione, la correzione, la comunicazione, la sospensione, la prosopopea o personificazione, l'apostrofe e la visione.

I. Il letterale uso dell' Interrogazione è quello di fare una domanda: ma allorchè l'uomo spinto dalla passione abbia ad affermare, o negare con veemenza alcuna cosa, naturalmente l'esprime a forma di domanda, venendo con ciò a dimostrare maggior confidenza nella giustizia, verità, o importanza di ciò che nega, o asserisce. Così DEMOSTENE nella prima delle sue Filippiche: « Starete voi dunque sempre qui neghit<< tosi a chiedervi l'un l'altro: che v'ha di nuovo? Qual più << sorprendente novità di questa, che un uomo di Macedonia « faccia guerra agli Ateniesi, e disponga degli affari di tutta << la Grecia? » Così CICERONE nell'Orazione pro Ligario - Quid enim tuus ille, Tubero, districtus in acie Pharsalica gladius agebat? cujus latus mucro ille pelebat? quis sensus erat armorum tuorum? quae tua mens, oculi, ardor animi? quid cupiebas, quid optabas? (1) Anche Tasso fa che Iddio parli all'Angelo apportatore de'suoi voleri a Goffredo, per forma d'interrogazione.

Perchè si cessa?

Perchè la guerra omai non si rinnuova
A liberar Gerusalemme oppressa?

Non sempre però l'interrogazione è effetto di una forte passione; ella può spesse volte adoperarsi con proprietà, anche quando l'Oratore non abbia altra maggior commozione, fuori di quella che nasce dal tenere dietro ad uno stretto e serio ragionamento, come: « Di questa verità chi può non essere pienamente convinto? » Qualche volta alla domanda

«

(1) Dimmi, Tuberone, che facea quella tua spada impugnata neʼcampi di Farsaglia? Contro qual petto n'era diretta la punta? Quale mira aveano i tuoi colpi? A che erano rivolti i tuoi pensieri, gli occhi, l'impeto del tuo cuore? Quali erano i tuoi desiderį, quali i tuoi voti?

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