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TOREL. Ecco Dante: Come d'autunno si levan le foglie, Luna appresso dell' altra, infin che 'l ramo Rende alla terra tutte le sue spoglie. Egli avea letto in Marone cadunt: come non disse cadono, che ne venia verso scorrevole, simile al quel fioccar giù delle foglie? Il poeta non volea notar tanto il calar che facean l'anime nella barca, quanto lo spiccarsi dal lito e saltar giù ; a questo effetto gli facca più giuoco si levan, che spiega appunto il gittarsi, come lo dice sotto. Dante dava a ciascuna cosa il movimento ed atto proprio: e qui è il mirabile. In oltre ( quel che Virgilio non tocca), bellissima pittura è quel cascar giù delle foglie, l' una appresso dell' altra, sicchè puoi quasi contarle : e qui l'immaginazione ci corre appunto a quello, che veggiamo al cader delle foglie, uscendo l' autunno; e diciamo, Vero. Da ultimo le foglie continuano tanto a venir giù, che il ramo ne resta ignudo affatto, che è bellissima particolarità, e a capello risponde al caso di quella ripa. per nulla dire del modo, onde Dante espresse la cosa dicendo, che il ramo restituisce alla terra il proprio vestimento da lei ricevuto; che fa tornar alla mente una bellissima verità, che stampa il concetto più addentro. Sicchè, salvo il frigore primo di Virgilio ( in che Dante a lui si rimane addietro ), in tutto il resto gli entra avanti a gran pezza.

ROSA M. Io vorrei aggiungere una mia fantasia, che sarà forse un' inezia. Come non disse Dante, levansi le foglie, che il verso ne tornava più molle? fecelo anzi in prova, perchè il volea un pochino salterellante, a

meglio dipingere l'atto vero. Al cominciar del verno, il picciuol delle foglie riarso dal freddo si sta annodato alla buccia del ramo debolissimamente, sicchè al più piccolo muover di fiato, staccasi e cade la foglia. Ora per far sentir questo, ci bisognava bensì un suono di quasi uno scocco, ma lieve lieve, come è si levan: che forse a dire, si spiccan, era troppo. Queste minutissime avvertenze osservate da Dante, fuggono lo sguardo, e non è forse chi porvi mente: ma come sia fatto loro notare, tutti dicono maravigliando; Bello! Come bene ci stà!

mo:

TOREL. Mi piace. Similemente il mal seme d' AdaGittansi di quel lito ad una ad una Per cenni, com' augel per suo richiamo. Parmi vedere il fringuello, che da' richiami tirato, cala nella frasconaja. Così sen' l'onda bruna...

vanno su per

:

ZEV. Adagio o io sono un ceppo, e un fantastico, o io veggo in questo verso la barca, e Caronte con tutte le anime andarsene via là in quello scuro d' acqua e di aria. Quel vanno, e 'l su mi dipinge il traversar del fiume. que' suoni bassi delle vocali, in cui a tre luoghi posa l'accento, mi fanno sentire quel cupo, ed in esso un cotal dilungarsi, che quasi non li veggo più. Che ne volete? voi non sentite? io sento. (Critica poetica: Zeviani ).

TOREL. Voi non diceste mai cosa più vera. Ma udite nuova circostanza, che vie più al vivo ed espressamente qualifica questo luogo ed atto: E avanti che sien di là discese, Anche di qua nuova schiera s'aduna.

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Vedete voi, come questo poeta amplifica e incalza semla sua descrizione con cose nuove, pre e poco bada in parole; di che alla pittura cresce sempre nuovo rilevo? Certo fu bell' aggiunto cotesto di notare, come a quella riva veniano sempre capitando nuove brigate di anime per esser passate.

ROSA M. Ma il bello della pittura sta ( pare a me) anche più nel modo di esprimere questo concetto. Avrebbe potuto dire; che passando essi, arrivavano di molte nuove anime al lido: ma non saria stato a pezza così vivo e spresso, come fu a dire; Non avea Caronte anche sbarcate queste di là, che altrettante anime di nuo vo erano di qua capitate, che lo raspettavano. perchè ciò era un dire: Appena due minuti bisognavano al passar la prima battellata di là: e nondimeno, appena n' era passata una (e non aveva anche toccato terra ), che nuova schiera era già arrivata di qua. Il che fa vedere l'affollato non interrotto sopraggiugnere che faceano colà: che è assai viva amplificazione.

TOREL. Osservazion da par vostro. Pregovi di notare. Chi non crederebbe nel seguente verso; Figliuol mio, disse il Maestro cortese; questo cortese essere una zeppa, o almeno un aggiunto ordinario? e non è; anzi e' vi fu posto con gran ragione. Veduto da prima quella folla di gente, Dante dimandò a Virgilio; Maestro, or mi concedi Ch' io sappia, quali sono, e qual costume Le fa parer di trapassar sì pronte? ec. Virgilio gli avea risposto: Tu tel saprai, quando saremo alla riva d'Acheronte. Dante temendo per questa risposta di no

jarlo, s'era tenuto fino al fiume di nulla dire. Arrivati colà, e fatte le cose che abbiamo dette, Virgilio ricordevole delle due cose dimandategli dal poeta, senza aspettar altra rammemorazione di Dante, tutto da sè mette mano a rispondergli dell' uno e dell' altro punto. Ecco perchè egli lo chiama cortese. tutto v'è secondo natura; ma chi nota tutte queste minute verità, che compiono la perfetta bellezza?

ROSA M. Tanto pochi che, fui per dire, nessuno.

TOREL. Virgilio dunque, quanto al primo, gli dice; Quelli che muojon nell' ira di Dio, Tutti convegnon qui d'ogni paese. Quanto più bello questo, che il nostro dire, In disgrazia di Dio! Convegnon, cioè si raccolgono, dal Latino. Qui sotto sta anche una profonda sentenza, pare a me. Il peccare non muta natura, per mutar popoli nè costumanze: in ogni luogo esso è eguale ingiustizia, che merita la stessa pena. e però, d'ogni paese. L'altra; E pronti sono al trapassar del rio: Che la divina giustizia gli sprona, Si che la tema si volge in desio. Quanto alto concetto in sì poche parole! Costoro sbigottiscono, come vedesti, e tremano e bestemmiano, trovandosi al duro passo; ma la divina giustizia, che a ciascuno assegna dirittamente suo merito, dopo aver tollerata con pazienza la costor ribellione, adessó li signoreggia, costringendoli a volere essi medesimi, come giusto, questo compartimento, e ad amare in sè quell' ordine, che in vita violarono.

ZEV. Che bellezza di alta dottrina! Voi mi concederete ch'io vi reciti qui appunto (da che io veggo qui

il libro) questa gran verità, conosciuta e scritta già da una savia Donna, Catterina da Genova; la cui vita con gli opuscoli pubblicò il Comino, per cosa degna delle sue stampe. Nel trattato ch' ella scrisse del Purgatorio, là dove spiega la pena delle anime, per esser anche lontane da veder Dio (il che ardentissimamente desiderano), parla anche de' dannati, tutto al presente propo sito. «Siccome lo spirito netto e purificato non truova luogo, eccetto Dio, per suo riposo, per essere stato a questo fine creato; così l'anima in peccato altro luogo non ha, salvo che l' inferno, avendole ordinato Dio quel luogo per fine suo. Però in quell' istante che lo spirito è separato dal corpo, l'anima va all' ordinato luogo suo; partendosi però l'anima dal corpo in peccato mortale. E se l'anima non trovasse in quel punto quell' ordinazione procedente dalla giustizia di Dio, rimarrebbe in maggior inferno, che non è quell' altro, per ritrovarsi fuora di essa ordinazione; la quale participa della divina misericordia, perchè non le dà tanta pena, quanta merita. Perciò, non trovando luogo più conveniente, nè di manco male per lei, per l'ordinazione di Dio vi si getta dentro, come nel suo proprio luogo.

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ROSA M. Pochi uomini ho io sentito pensare, e parlare con tanta filosofia, e conoscimento. Questo luogo medesimo aveva io ben letto, maravigliando di tanta profondità e se elle leggessero, o hanno letto (che ben a vranno quel suo trattato e 'l dialogo, avran trovato le più profonde e recondite dottrine, da lei spiegate con istraordinaria precisione e chiarezza: il che prova, lei

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