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gracidar si sta la rana Col muso fuor dell' acqua, quando sogna Di spigolar sovente la villana. Che dolcezza di natura scolpita e che proprietà di parole! Ma c quanto caro modo di dipingere il tempo del mietere! Livide infin là dove appar vergogna (credo fino agli occhi, se Aristotile imberciò nel segno e così la lividezza sta nelle guance, le quali confinano appunto con gli occhi e quell' ombre riuscivano fuori del ghiaccio pur colla testa) Eran l'ombre dolenti nella ghiaccia, Mettendo i denti in nota di cicogna. Livide del freddo, il quale quel color bruno gitta alla pelle. Il suono del batter de' denti, è appunto quello del becco della cicogna; ed è come dire, Battendo i denti come fa la ci cogna, o come in Rinaldo d'Asti, dice il Boccaccio) che parea diventato una cicogna. ma quanta più bellezza è cresciuta al concetto dal metter i denti in nota di cicogna il che vien, credo io, dall' intonare ovvero mettere in musica alcuna cosa. Or viene alle particolarità: Ognuna in giù tenea volta la faccia. il tradimento è infamia tanto vituperosa, da sentirne vergogna eziandio nell' inferno. Da bocca il freddo, e dagli occhi il cuor tristo Tra lor testimonianza si procaccia. egli è come dire; la bocca battendo i denti è testimone del freddo; e gli occhi piagnendo sono della tristezza del cuore. ma Dante il disse con troppo più vive forme poetiche. Egli guardasi prima attorno; poscia a' suoi piedi: Quand' io ebbi d'intorno alquanto visto, Folsimi a' piedi e vidi due si stretti, Che'l pel del capo aveano insieme misto: essendo ambedue chinati col ca

po. sono que due fratei miseri e lassi, che disse di sopra. Non poteasi più forte dipingere il loro assembramento, che mescendo insieme il ciuffo. La poesia sta a casa qui; cioè, in questo forte e vibrato dipingere.

TOREL. Quello che segue è tratto maraviglioso: Ditemi voi, che si stringete i petti (terribil supplizio, di traditore e di tradito! quando vorrebbono per odio scambievole essere d'infinito spazio insieme partiti }, Diss' io, chi siete? E quei piegar li colli; che soli avean liberi al moto: E poi ch' ebber li visi a me eretti, Gli occhi lor ch' eran pria pur dentro molli, Gocciar su per le labbra; e'l gielo strinse Le lagrime tra essi, e riserrolli. Fa paura a solo immaginar questo orribile caso. Standosi così insieme compressi, le lagrime onde gli occhi loro dentro eran pregni, non sentendo anche tanto del freddo di fuori, erano molli, ma uscir non potevano. Sciolti da quell' accoppiamento, gocciano giù per le labbra. ma la orribil freddura le aggielò sull' uscire, e quasi cemento di ghiaccio li riserrò insieme.

ROSA M. Di grazia, chi riserrò? forse i due fratelli alle labbra? Ma se le lagrime aggielate sulle labbra fra l'uno e l'altro, così li chiavarono insieme; come poterono poi darsi di cozzo, scagliandosi colle fronti? al qual servigio convenivano aver ciascuno la testa libera al movimento? Per cessare questa difficoltà, altri intendono le labbra, per le palpebre, cle sono labbra degli occhi. Ma intendendo così, non ha più luogo ragionevole la similitudine della spranga, che cigne legno con legno da che tanta forza di cerchiatura o legame

mal s'aggiusta all' incrostamento delle lagrime fra le palpebre.

TOREL. Confesso di non sapermi deliberare. Tuttavia la sposizion prima mostra aver più di ragione; da che que' due, anche così dal ghiaccio riserrati insieme alle labbra, aveano tanto di libero movimento nella testa, da poter l'un contro l' altro cacciar la fronte comechessia. La seguente similitudine incarna e scolpisce via meglio la cosa: Con legno legno spranga mai non cinse Forte così. cerchio di ferro chiamo io questa spranga, che cinge i due legni; come si fa alle doghe della veggia. Ond' ei, come due becchi, Cozzaro insieme: tanta ira li vinse. Come due becchi: queste similitudini vituperatrici, adoperano a maraviglia.

ZEV. Questi due accoppiati non dissero anche lor nome: e di qua Dante trae cagione di metter in campo un terzo, dal quale lo sa. arte, da lui altrove usata maravigliosamente. Ecco: Ed un ch' avea perduti ambo gli orecchi Per la freddura (togli qua; maestria di questo gittar che fa Dante certe notabili particolarità, come in passando; le quali fanno due terzi più la prima idea risultare. gran freddo era, che avevà a colui mangiate ambedue l'orecchie ); pur col viso in giue, Disse; Perchè cotanto in noi ti specchi? Bella è questa circostanza, del far costui parlare col viso basso, per vergogna di farsi conoscere; e così stando, s'accorge però dal parlare di Dante, che egli guardava pur loro, pur loro. Ma superbo quel ti specchi in noi che chi specchiasi, guarda curiosamente,

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ed in sè nota ogni cosa, ogni cosa: il che al Senzorec: chi doleva.

TOREL. Mi piace questo nome Senzorecchi da voi formato di colpo, dall' aver colui perdute l'orecchie. Ciò mi torna a mente un altro simile a questo, che è in Tacito; dove dice, che ad un centurione ( il quale avendo rotto il camato, o la vite con la quale frustava i soldati; gridava studiandosi, Cedo alteram ) fu posto nome Cedo alteram e'l Davanzati lo volta così, il Quallaltra; nome formato da Qua l'altra, che è ap punto il Cedo alteram. Così direbbesi il Centocchi, per quello che dice Fedro, Qui habet centum oculos, e cento altre di questa fatta.

ZEV. Ottimamente osservato! Dice dunque a Dante, che que' due erano fratelli, figliuoli d'un Alberto padrone della valle di Falterona: Se vuoi saper chi son cotesti due, La valle onde Bisenzio si dichina, Del padre loro Alberto e di lor fue. D'un corpo usciro; e tutta la Caina Potrai cercare, e non troverai cmbra Degna più d'esser fitta in gelatina ( nel ghiaccio ). La Caina determina questo primo compartimento di traditori. Non quella, a cui fu rotto il petto e l'ombra Con esso un colpo per la man d' Artù.

ROSA M, Oh! appunto qua la voleva. Questo rompere che fu fatto il petto e l'ombra a costui, ha dato altrui a dir molto, ed a me da pensare. Ma fatte tutte le ragioni, io non trovo meglio, che seguir la storia (e sia pur favolosa) di Mordrec figliuol d' Artù Re d'Inghilterra del quale appunto si conta, che passò il

figliuolo il quale, per lui uccidere, s'era messo in guato) d'una lancia fuor fuori con si vasta ferita, che il sole passando per l'apertura, ruppe col raggio in terra l'ombra del petto di lui. E mi fa maraviglia, che un comentatore rigetti questa sposizione, come fondata in favoloso racconto; e non si ricorda, come egli me. desimo passò buono a Dante quello che disse altrove di poco sicuro, sopra questa sola ragione; che la voce pubblica e l'opinione dava a lui, come a poeta, bastevole ragione di raccontarlo, come verisimile o certo possibile. Ora l'essere questo fatto scritto così nella storia, e così conto e creduto generalmente, bastava a Dante a doverlo mettere nel suo poema. certo le sue parole intese nel natural senso, portano apertamente che egli l'intendesse così: da che quel medesimo romper l'ombra che usa qui Dante, l'usò altresì lo storico di Mordec. Ciò toglic affatto ogni luogo alle altre ingegnose spiegazioni, che altri diedero a questo luogo: massimamente, che volendo prendere questa ombra, per l'anima (come altri fa); Dante avrebbe con due parole del senso medesimo replicata la rima. E potrebbesi forse aggiugnere; che questa cosa dell'ombra rotta non la dice esso Dante; si questo Camicion de' Pazzi in inferno, dove la critica non suole aver troppo luogo: e se il fatto fosse ben falso, non sarebbe da reputare al Poeta.

Se

ZEV. Io vi prometto, che la cosa mi entra al possibile; nè io certo desidero altra sposizione da questa. gue; Non Focaccia, non questi che m'ingombra Col capo

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