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TOREL. Ciò che pria mi piaceva allor m'increbbe; E pentuto, e confesso mi rendei, Ahi miser lasso! e giovato sarebbe.

ROSA M. Mi piace questo mi rendei, tolto (credo io) dagli assediati, che dopo essersi tenuti nella piazza, si arrendono finalmente al nemico: di che abbiamo esempi a josa ed è molto appropriata metafora; che l'uomo peccatore mantenendo sua nimistà contro Dio, quando viene a pentirsi, cede a lui la possession del

suo cuore.

TOREL. Bene, e sentitamente osservato! Questo uscire così inaspettato in siffatto, dhi miser lasso! e giovato sarebbe, è un superbo appicco al seguente tratto di velenosa eloquenza contro Bonifacio VIII. Ecco: Lo principe de' nuovi Farisei. amarissime scherno del Pontefice e della sua corte! Avendo guerra presso a Laterano, E non con Saracin nè con Giudei; Che ciascun suo nimico era cristiano, E nessuno era stato a vincere Acri, Nè mercatante in terra di Soldano. Facea la guerra in Roma a' Colonnesi.

ZEV. Che feroce amplificazione, da acquistar odio al Pontefice, che facea guerra a' figliuoli! che forza! e che lume se ne potrebbe quinci pigliare da un prode oratore, che facesse la predica della ingratitudine dell' uomo che pecca! L'uomo, per soddisfare a' propri appetiti, muove la guerra ed uno che tien per nemico, pure questo nemico suo non gli fece mai ma le alcuno. anzi gli volle sempre tutto il ben suo, glielo fece.

e

ROSA M. Peccato! che il nostro Sig. Dottore non si sia messo su pe' pulpiti, in luogo delle bigonce! noi ne avremmo un Segneri, e meglio. .

ZEV. Ha, ha! voi volete la baja de' fatti miei.

TOREL. Non disse male Filippetto nostro. questo Acri è Tolemaida, come sapete, dove da' Turchi fu fatto macello di cristiani. Segue ora: Nè sommo ufizio nè ordini sacri Guardò in sè, nè in me quel capestro, Che solea far li suoi cinti più macri. detto con gran proprietà e bellezza. La rima diede al Poeta buona presa da gittar questo motto pungente a' frati d'allora, che con tutta la loro fune, faceano le grasse polpe. Il Papa adunque non ebbe riguardo alcuno al suo sagro carattere, nè a mici voti religiosi: Ma come Costantin chiese Silvestro Dentro Siratti a guarir delle lebbre, Così mi chiese questi per maestro A guarir della sua superba febbre. Maliziosa è questa comparazione: che Costantin dimandò quel consiglio al Papa per bene, cioè per guarir della lebbra (sia vero o no il fatto che al Poeta basta la pubblica voce ); e qui un Papa ricerca un frate a mal fine; cioè che gli mostrasse come sfogare suo odio. Son da notar questi tratti maestri; che pochi vi pongono mente; e fanno amplificazione assai forte, appunto per lo sconcio del paragone fra Papa e Papa.

ZEV. E quanto pochi sono, che vi pongano mente! Ma chi studiasse ben Dante!

TOREL. Domandommi consiglio, ed io tacetti, Perchè le sue parole parvero ebbre.

ZEV. Che diavolo (disse il buon frate fra se mede

simo) vuol questo Papa! cgli è fuor del senno: e non rispondea.

TOREL. E poi mi disse; Tuo cuor non sospetti: Fin or t'assolvo; e tu m'insegni fare St, come Penestrino in terra getti; dove i Colonnesi erano rifuggiti, e tenean quivi fronte alle arme Pontificie. Fin or, è fino da ora, da questo punto: ed è tanto proprio della lingua questo vezzo, che più forse questo che l'altro è in corso negli scrittori dell' oro. E tu m' insegni fare alcuni leggono," m' insegna, e par loro troppo migliore. a me non così, che se ne perderebbe la grazia di quell'e, che qui col soggiuntivo vale a condizione, a patto: e sarebbe una bellezza più. Esempi ho io ben pronti, da provar vero questo uso. Fr. Giord. 220. Pochi uomini vengono a confessione ed écci di quelli, che n' andrebbono volentieri di qui a San Jacopo; ed e' non fossero tenuti di confessarsi. Ambr. Furt. 2. 7. M' ha voluto metter in mano 150 scudi, ed io gliene facessi copia. Altri esempi ne avrei ma questi son però assai. Oh che bellezze di nostra lingua!

ZEV. Il morto è sulla bara.

TOREL. Or innanzi. Lo ciel poss' io serrare e disserrare, Come tu sai: però son duo le chiavi Che'l mio antecessor non ebbe care: intende di S. Celestino, che le rassegnò, cedendo al pontificato. in questa ultima sentenza c' è più veleno, che e' non mostra: e ciò a mantener il carattere di mal Prete, che Dante dà a Bonifacio. Or egli volle dire; Ben fu goffo il mio predecessore, che non si mantenne il possesso di queste chiavi,

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colle quali si possono fare di così bei servigi. Allor mi spinser (mi dieder la spinta al sì ) gli argomenti gravi, Là 've'l tacer mi fu avviso il peggio. non punto, credo io, questo argomento del poter legare e sciogliere del peccato a che l' induceva (che Guido non era si dolce uomo e sì grosso, da bersela ); ma questo: che, fatte tutte le ragioni, della paura dell'ira del Pontefice, e del peccato che egli faceva; al quale tuttavia avrebbe potu to trovar qualche acconcio; giudicò, che fosse men male andar a' versi dell' uomo.

ROSA M. Ribadisco qui alla fuggiasca il detto innanzi; che questo mi fu avviso ( e tutti, o pressochè tutti dicono oggidì, fui d' avviso ), è il vero modo, e non l'altro. ·

TOREL. Così è il vero. E dissi; Padre, da che tu mi lavi Di quel peccato, ove mo' cader deggio; Lunga promessa con l'attender corto Ti farà trionfar nell'alto seggio. Bel contrapposto della promessa lunga coll' attender corto! assai promettere, e poco attenere. questa è la corta fede, del Boccaccio.

ZEV. E questa è la politica, colla quale di poco si acquista assai; e ( che è meglio ) senza pericolo. TOREL. Così non foss' egli! Francesco venne poi, com' io fui morto Per me. assai efficace è questo per ; e vale, per menarmene. Parmi che il Cecchi faccia ad una fante, che era dimandata dal padrone, donde venisse, risponder così: Dal ponte, per l' insalata : che è assai breve ed operativo parlare: Vengo dal ponte, ove fui a comperar insulata. E così diciamo, Andar per

pane, pel medico; cioè, a comperar pane, a chiamare il medico.

ROSA M. Benedetta questa lingua! Mille ragioni hanno di dirne tanto di male coloro de' nostri, che sono fermi di non volerla studiare: da che per saper bene scrivere, e' non ingrasserebbono come e' fanno standosi tuttavia in panciolle, e regalandoci il coramizzare, il perento, ed altre loro eleganze. Or è gran senno a non voler la pasqua in venerdì, potendola avere in domenica.

TOREL. Rider mi fate da vero, voi. Ma un de' neri Cherubini Gli disse; Nol portar; non mi far torto: Venir se ne dee giù tra' miei meschini (simile alle meschine, Furie, del Canto Ix., dove il comentatore antico di Dante spiega, cioè le damigelle ); Perchè diede 'l consiglio frodolente, Dal quale in qua stato gli sono a' crini; cioè, fin d'allora l'ho acciuffato. Notate qui questo, Dal quale in qua, che è detto del consiglio; e vuolsi intendere, dal qual tempo in qua. Sono da notar bene così begli usi. Simile abbiamo nelle Fav. d' Esop. 162. Da' primi nostri parenti....... in qua, ciascun corpo è venuto in questo mondo... con attualità di peccato: cioè, Dal tempo de' primi, ec. Segue ora; Ch' assolver non si può chi non si pente; Nè pentere e volere insieme puossi, Per la contraddizion che nol consente.

ZEV. Niente meglio: e quanto ragionato e calzante! Monsignor Petrarca levò di peso questa sentenza in una Canzone; Che non ben si ripente Dell' un mal, chi dell' altro s' apparecchia.

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