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nama myrrha, Se super imponit, finitque in odoribus aevum. Ma segue nuova maraviglia: E quale è quei che cade e non sa como, Per forza di demon ch'a terra il tira, O d'altra oppilazion che lega l'uomo; Quando si lieva, che 'ntorno si mira Tutto smarrito dalla grande angoscia Ch' egli ha sofferta, e guardando sospira.

TOREL. Perdonatemi: pochi, credo io, stimeranno ad un centesimo la proprietà e la convenevolezza, che a me rende maravigliosa questa similitudine; la cui se greta bellezza dimora nello aver Dante, con quel suo raro ingegno, cavato dal mazzo di infinite altre questa, che era forse la sola appropriata al caso che aveva alle mani. Ma perchè essa è tratta dalla bella natura, ed ora gli uomini, eome testè disse Filippo nostro, vanno a caccia del bello fuori della natura, non piacerà ; dove per questo medesimo a me piace senza fine.

ROSA M. Ella tocca un vero troppo vero ed amaro, Signor Giuseppe. Ma qual verità in quegli atti di smarrimento! in quel guardarsi attorno! in quel sospirare guardando, dopo il colpo epiletico! questo è far vedere la cosa; e cava le lagrime. Tal era 'l peccator levato poscia. udite ora sentenza paurosa: O giustizia di Dio! quanto è severa! Che cotai colpi per vendetta croscia. che forza in quel croscia! quasi scocca con rimbombo. Virgilio lo richiese di suo nome: Lo duca il dimandò poi chi egli era: Perch' ei rispose; lo piovvi di Toscana, Poco tempo è, in questa gola fera. Vita bestial mi piacque e non umana, Si come a mul ch' io fui: son Vanni Fucci Bestia, e Pistoja mi fu degna tana.

Che crosciar di poetica scuriada! direi quasi. Ed io al duca; Dilli che non mucci, E dimanda qual colpa quaggiù'l pinse; Ch'io'l vidi uom già di sangue e di corrucci. bellissimo verso! e modo di dire al sommo efficace e vivo! par tolto dalla scrittura, viri sanguinum, per uomini sanguinari, o sanguinosi. E'l peccator che intese, non s' infinse, Ma drizzò verso me l'animo e 'l volto, E di trista vergogna si dipinse. verso bellissi mo! e trista vergogna, che evidenza! Quel drizzar l'animo e'l volto, E di trista vergogna si dipinse, dice assai in poco, come suol Dante: mi sguardò con occhi, ne' quali era l'animo; e l' animo era vergogna con dolore. Poi disse; Più mi duol che tu m' hai colto Nella miseria dove tu mi vedi, Che quand' io fui dell' altra vita tolto. certi peccati portano tal vergogna, che il peccator la baratterebbe a qualunque tormento. E qui gli confessò che avea rubata la sagrestia del Duomo ; il qual fatto era stato apposto altrui, ed or venne a galla. lo non posso negar quel che tu chiedi: lo giù son messo tanto perch' io fui Ladro alla sagrestia de' belli arredi, E falsamente già fu apposto altrui.

ZEV. Chi avesse pazienza, vedrebbe ( e certo vedrà fatta ragione a ciascuno.

Rosa M. Ma costui, per attossicar a Dante il piacere preso della sua condizione, gli predice la disfatta de' Bianchi donde era Dante, che a lui avrebbe fruttato l'esiglio: Ma perchè di tal vista tu non godi, Se mai sarai di fuor de' luoghi bui, Apri gli orecchi al mio annunzio e odi; Pistoja in pria di Negri si dimagra;

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Poi Firenze rinnuova genti e modi. Tragge Marte vapor di val di Magra, Ch'è di torbidi nuvoli involuto E con tempesta impetuosa ed agra Sopra campo Picen fia combattuto: Ond' ei repente spezzerà la nebbia, Si ch'ogni Bianco nè sarà feruto: e chiude la profezia colla più amara trafittura e piena di velenosa rabbia; E detto l'ho, perchè doler ten' debbia; conciossiachè quello che nelle ingiurie più ci cuoce e trafigge, è l'animo, che in vero studio intende e procaccia la nostra vergogna o il dolore. La storia ha fatto già il comento a questa predizion misteriosa.

ZEV. Sì, sì: non mancherà di vedere i comentatori. or seguite.

ROSA M. La pittura vien crescendoci sugli occhi di bellezza, e pigliando forme ed atti più forti e veementi, da non lo credere a cui ciò si promettesse.

Al fine delle sue parole, il ladro Le mani alzò con C. xxv. ambeduo le fiche Gridando; Togli Dio, ch'a te le squadro. Atto empio di uom rotto, che per ribollimento di bestial ira, sfrenasi contro Dio con quell'atto plebeo, di mettere il pollice fra l'indice e'l medio, quasi scoccandolo a lui nel viso. Squadrare è aggiustar colla squadra: e Dante l'aggiustò da par suo, facendol valere un, Le aggiusto a te per appunto. Ma il trovato di questo sconcio accidente è di quelli sì inaspettati, e nondime no sì naturali, che fanno credere Dante averlo veduto con gli occhi proprio, non parendo possibile ch'e' se l'avesse trovato egli da sè. Bel concetto e giusto questo che segue! Da indi in quà mi fur le serpi amiche,

Perch' una gli s'avvolse allora al collo, Come dicesse; Io non vo' che più diche, è pur cosa da Dante il pensiero, e'l modo di spiegarlo!

TOREL. Si certo. noi amiamo anche i nemici, quando pigliano la vendetta dell' onore degli amici nostri. quindi è quel modo, che parmi aver veduto in Terenzio, ed in uno de' comici Fiorentini: Benedette gli sian le mani, detto ad uno che di santa ragione batteva un servo birbone.

Zev. È vero, verissimo.

Rosa M. Ed un' altra alle braccia e rilegollo, Ribadendo se stessa si dinanzi, Che non potea con esse dare un crollo. Pittura feroce! parmi vedere Laocoonte, e i figliuoli annodati e legati da' due dragoni. Io ne vidi a Roma la statua bellissima, che mette paura e pietà. Quel ribadire (che è ritorcere la punta del chiodo riuscita nell' opposta parte della tavola, conficcandola nella medesima) qui è adoperato per somiglianza ; cioè, il serpente avviticchiato ad ambe le braccia con più giri, e da ultimo aggroppando colla coda la testa dinanzi; che scusa un ribadire; stringe e lega così il peccatore. Qui Dante fa una fiera rivolta a Pistoja : Ah Pistoja Pistoja, che non stanzi D'incenerarti si che più non duri, Poi che 'n mal far lo seme tuo avanzi? Stanziare, è diliberare, pigliar partito. Che non ti risolvi d' appiccar fuoco alle tue case, e tornarle in cenere? essendo tu sì scellerata, che verso di te fu santa cosa la semenza de' soldati di Catilina rifuggiti nel tuo territorio? qual veleno! Per tutti i cerchi dell' inferno

oscuri, Spirto non vidi in Dio tanto superbó (in Dio, alla latina, contr' a Dio): Non quel che cadde a Tebe giù de' muri. questi è quel Capaneo, cui la pioggia del fuoco non maturava ( C. xiv. ).

ZEV. Questo è ben dire il possibile di questo Pistojese; quando Capaneo era una bestia di quella fatta, che ancora il suo feroce orgogliare suonami nelle orecchie.

ROSA M. Ei si fuggì, che non parlò più verbo. Ecco, lo io non vo' che più diche: così avea la strozza legata dal serpe. Ed io vidi un Centauro pien di rabbia Venir gridando; Ov'è, ov'è l'acerbo? Costui è Caco, da Dio ordinato carnefice detle bestemmie del ladro ; e, quello che è più, suo amico e ladro come lui. ecco potenza della giustizia di Dio, che per la punizione degli empi, si fa servire ad altri nemici suoì: e come questo fa Dio nella vita di là, così fa eziandio spesso nella presente. se n'è veduto esempi specchiati, che il tacere è bello. Il Centauro era tutto gremito di biscie: Maremma non cred' io che tante n'abbia, Quante biscie egli avea su per la groppa, Infin dove comincia nostra labbia; cioè, la faccia. in questo senso Dante adopera altrove cotesta voce. Seguita: Sopra le spalle dietro dalla coppa Con l'ali aperte gli giaceva un draco; E quello affuoca qualunque s'intoppa, cioè s'ahbatte in lui.

TOREL. Noi siam pure a quel luogo o terzina di Dante, che già il Dottore toccò di sopra, e che in due parole dice del furore di Ercole quello, che a mala pena direbbesi in un periodo..

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