Page images
PDF
EPUB

quelli che abitano tra Savena e'l Reno: ma ne fu pagato. E non pur io qui piango Bolognese; Anzi n'è questo luogo tanto pieno, Che tante lingue non son ora apprese A dicer sipa tra Savena e'l Reno: E se di ciò vuoi fede o testimonio, Recati a mente il nostro avaro seno. dovette allor l'avarizia essere comun vizio de' Bolognesi. Così parlando, il percosse un demonio Della sua scuriada, e disse; Via, Ruffian: qui non son femmine da conio; cioè, donne venderecce: che conio è l'impronta della moneta; e qui è preso per essa moneta. Così parlando, ha forza qui del latino, haec loquentem: il qual modo è assai domestico alla nostra lingua.

TOREL Piccola cosa mi par qui da notare. Dice, il percosse Della sua scuriada. ecco, che questi verbi, che dicono morte, ferita, o botta, amáno il secondo caso nello strumento che ferisce, o percuote. Morir, ferir di coltello si dice, come ognun sa: e dirassi anche, percuotere di bastone, eccetera.

ZEV. Mi piace. Ma a questo proposito io recherò uso strano di questo DI, ne' verbi suddetti: Fav. Esop. Percosselo della sanna nel petto. ed è poco. Stor. Barl. 8. Adonide... alla fine morì d'uno porco salvatico: cioè ferito, o morso da, ec.; che è ben nuovo. Fin qui Dante era venuto lunghesso il primo fosso a manca, fra esso e la gran cerchia che ho detto; ed avea veduto la procession della gente, che dal suo lato venivagli incontra, e però avea potuto raffigurargli: e gli restava a che era veder la seconda di là dal mezzo di esso fosso, andata con lui, ma coperta dalla prima: ed ecco, come

gli venne fatto. Io mi raggiunsi con la scorta mia ( che gli era dinanzi ): Poscia con pochi passi divenimmo ( arrivammo, come fu notato di sopra) Dove uno scoglio della ripa uscia questo era uno di quelli, che dalla ripa o cerchia grande moveano intercidendo i valloni. Et assai leggermente quel salimmo. come è bene sdrucciolevole questo verso! E vólti a destra sopra la sua scheggia, Da quelle cerchie eterne ci partimmo; per non tornarvi più. Questa è la cerchia suddetta; e la nomina nel numero de' più, forse perchè gli piacque nominarla da' segamenti del cerchio che, uscendone a mano a mano, faceano gli scogli che partivano dalla medesima; ed erano parte continuata del medesimo masso di Malebolge. Quando noi fummo là, dov' ei vaneggia Di sotto, per dar luogo agli sferzati; dove era lo sfogo maggior dell' arco. che dipinger preciso! Lo duca disse; At' tienti ( fermati, forse, attenendoti a qualche chiappa }, e fa che feggia ( ferisca. ogni veduta di cosa, è un ferirci che fanno negli occhi i raggi vegnenti da lei. bel modo!) Lo viso in te di quest' altri mal nati, A' quali ancor non vedesti la faccia, Però che son con noi insieme andati; cioè al verso de' nostri passi: e però non gli avea potuti vedere in faccia, ma pur da lato. Ecco trovato, come veder di fronte costoro ; i quali adesso a Dante, che avea voltato mano sul ponte, venian di contra. tutto espresso con evidente chiarezza. ecco; Dal vecchio ponte guardavam la traccia Che venia verso noi dall' altra banda, E che la ferza similmente schiaccia. La traccia è l'andare, o venire. bel dir poetico! Qui

[ocr errors]

Virgilio gli mostra un grande, Giasone, seduttore di Isifile, il qual venia grave: Il buon maestro senza mia dimanda, Mi disse; Guarda quel grande che viene, E per dolor non par lagrima spanda; cioè, per dolore che egli senta dentro, il raffrena e non piagne (l'uso di questo per in tal senso, è bellissimo e frequentissimo ne' nostri. e potrebbe anche intendersi; Per la forza del delore che lo affoga, non può piagnere). Quanto aspetto reale ancor ritiene!

ROSA M. O! questo è quel di Virgilio, Quantum instar in ipso est! detto di Marcello, che era tutto suo padre nella dignità dell' aspetto.

Zev. Egli è tutto desso. Quelli è Giason, che per cuore e per senno Li Colchi del monton privati fene. Ello passò per l'isola di Lenno, Poi che l'ardite femmine spietate Tutti li maschi loro a morte dienno. Ivi con segni e con parole ornate Isifile ingannè, la giovinetta; Che prima tutte l'altre avea 'ngannate. La sciolla quivi gravida e soletta: Tal colpa a tal martiro lui condanna; E anche di Medea si fa vendetta: altra fanciulla da lui ingannata. Con lui sen' va chi da tal parte inganna. da tal parte: vago modo di parlare! vuol dire, le inganna per averne egli stesso suo piacere: contraria all' altra processione di quelli, che le ingannarono per piacere altrui. E questo basti della prima valle Sapere, e di color che 'n sè assanna. melafora Dantesca; per Afferra, tormenta. Già eravam là 've lo stretto calle Con l'argine secondo s'incrocicchia, E fa di quello ad un altr' arco spalle. maravigliosa24 Bell. di Dante. T. 1.

mente spiegato! vuol dire, che erano smontati dalla testa del primo ponte, dove tagliandol fa croce del secondo argine, nel quale altresì ponta la testa del ponte seguente.

TOREL. La descrizione di queste cose è difficilissima; chi non è insignorito della lingua, nè ha alle mani ogni nome e verbo e modo proprio e calzante. e però Dante quando è a descriverle, mostrasi ben maestro, ed è proprio in casa sua.

ZEV. Dante qui ne conduce proprio nel chiassetto della bruttura, dove cascò quella notte Andreuccio ; ed il condurvi chicchessia non sarebbe certo troppa cortesia, salvo qui nell' inferno; dove l'uomo dee cercar dottrina, non già diletto. e bene hanno gli uomini di che giovarsene, sentendo con quali delizie i lusinghieri vi son pagati. Erano dunque i due poeti, come detto è, sul secondo argine in quel luogo, dove pontavano di fronte le due teste del primo e del secondo pon. te: Quindi sentimmo gente, che si nicchia Nell' altra bolgia e che col muso sbuffa ( ben aveano attorno alla bocca ed al naso, che soffiar via ), E se medesma con le palme picchia. Nicchiarsi è un guaire, o gemere sottovoce. Le ripe eran grommate d'una muffa, Per l'alito di giù che vi s'appasta, Che con gli occhi e col naso facea zuffa. il forte della bellezza dimora qui; nell'aver Dante trovato quel grommate', quell' alito di giù, e quel s'appasta, che mettono affatto sugli occhi il fastidioso intonico di quelle ripe, che fieramente nojavano gli occhi e'l naso. Lo fondo è cupo sì, che non ci

basta Luogo a veder, senza montare al dosso Dell' arco, ove lo scoglio più sovrasta: nel maggior rigoglio dell' arco. bellissimo! Non senza ragione avea prima nominate le sole ripe; che nel fondo non era luogo, donde tornasse agli occhi filo di lume; e però bastasse a vedere; senza montare al sommo del ponte. Quivi venimmo, e quindi giù nel fosso Vidi gente attuffata in uno sterco, Che dagli uman privati parea mosso; e però più puzzolente di tutti. i privati sono i cessi.

ROSA M. Quando le cose che altri dipinge, qualunque elle sieno, sono tutte desse è si veggono in na tura, la pittura è sempre divina.

TOREL. Mi fate ridere voi: ma la cosa è qui. e tal pittore è Dante qui in questo cesso, come nel Pa radiso. Gran valore di penna e di poesia!

ZEY. Io.ve n'abbraccio ambedue. E mentre ch'io laggiù con l'occhio cerco. che perla di verbo! dico di questo cerco appropriato all' occhio. egli vale esaminar parte a parte una cosa; che è quasi frugarne col fuscellino ogni luogo e punto, e squadrarla. quindi il Boccaccio; E cercatolo tutto, dice dovechessia. Vidi un col capo si di merda lordo, Che non parea ( apparia, si conoscea ) se fosse laico o cherco. o che rima cavata ben da verso il centro della terra! Quei mi sgridò; Perchè se' tu si 'ngordo Di riguardar più me, che gli altri brutti? se qui siam tutti conci ad un mo', or perchè guardi tu pur me, pur me? Ed io a lui; Perchè, se ben ricordo, Già t'ho veduto co' capelli asciutti, E se Alessio Interminei da Lucca; Però t' adocchio più,

« PreviousContinue »