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però con molto discreto avviso Dante disse, alcuna via; che importa un dire; Darebbe un qualunque modo, da poter comechessia venir giù. Infatti: se lo scoscendi mento di quella rovina toglie a Dante di poter ismontare, perchè s' incapa egli di voler pure iscendere per quel passo? cercasse per altro luogo più agevole, ed in pendio. Ma non punto del mondo così. e' non c'era altro passo che questo, appunto perchè egli era rovinato; e però ivi solamente era corcato il Minotauro, a guardia della scesa; tutta l'altra rovina era diritta ed intera: qui essendo franata, dava pur qualche passo. E Virgilio se la sapea bene; che nel fine del Canto precedente avea detto a Dante; Seguimi... che il passo da smontare è più in là, E'l balzo via là oltre si dismonta. Ed è questo vero altresì confermato da un altro luogo di questo Inferno, C. xxIII., ove il diavolo dice; Montar potrete su per la ruina: e al Canto xxvi. Noi ci partimmo, e su per le scalee Che n' avean fatto i borni (le morse, i greppi ) a scender pria, Rimontò 'l duca mio. ecco, che per le ruine si va su e giù, non che elle tolgan l'andare. Che ne dite voi, Filippo?

ROSA M. Io dico, che in me non può capire il come que' savi uomini potessero (anzi pure uno di loro ) intender la cosa altramenti: tanto ella è manifesta. e le ragioni medesime che lei, Sig. Giuseppe, condussero e tengono in questa sentenza, le stesse vennero in mente a me; che non se ne perde gocciolo. Ma io vorrei prender cotesti Signori ad un altro cappio. Dante dice, che era SI' la roccia discoscesa, Che alcuna via, ec. e quel

SI' essi l'intendono per si sconciamente; tanto, che non dava nessuna via. Ora chi quel si intendesse, per in tal modo, in siffatta forma, o guisa, reggerebbe certo a martello il valore di quel sì: e potrebbe dire; la roccia era rotta si acconciamente, che dava alcuna via; avvenendo talora, che in tali rovine, i sassi e' macigni rotolando, si fermino poi in tal luogo e postura, che lascino qualche viuzza, formino un po' di scala. Il qual mio trovato, aggiunto alle savie ragioni di lei, serra (pare a me) ogni scappata agli avversarj. Ma per uscire affatto da questo ginepraio: dato anche, che il sentimento di nessuna posto ad alcuna, desse buon senso e legasse; perchè è da credere, che' Dante volesse usare quel nome in quel sentimento, che certo non è usato; avendo l'altro, che con tutti e quattro i piedi procede, con un senso che vien da sè naturalissimo, e dà il più aggiustato e sano concetto? laddove a voler mantenere pur l'altro, è bisogno aver ricorso a' miracoli? Che ne dice ella?

ZEV. Ed a me altresì questa sola chiosa si lascia creder vera. anzi mi vien in mente la favola di quell' Ateniese, in Fedro (1v. 4), che nel suo testamento alle tre sue figliuole comparti l' aver suo tanto bizzarramente, che gli avvocati non ci trovavano capo nè coda. Si levò sù Esopo, dicendo; Oh! si maneret condito sensus patri; Quam graviter ferret, quod voluntatem suam Interpretari non potuissent Attici! Oh se il morto potesse ora levar sù il capo! or che direbbe egli che in tutto lo studio d'Atene non si trovasse dottore, che sapesse ricogliere

il senso della sua volontà! Tuttavia quel testamento aveva assai della sfinge. E così dico io: Che direbbe Dante, se fosse tra noi; veggendo, uno de' luoghi più aperti ed agevoli del suo poema, non essere stato inteso, anzi stroppiato è preso a rovescio da' suoi Italiani? anzi da coloro, che in opera di lettere e di lingua si tengono andare per la maggiore?

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TOREL. Voi avete un milion di ragioni. Ma egli avviene; che quando altri ha franteso un passo la prima volta, e fermatovi il chiodo, vi s'incapa per forma che non vede più lume, e s' avvolge senza trovar più la strada d'uscirne. Ma e' può anche avvenire; ehe dopo essergli stato mostro, e fattogli toccar l'error suo; o per vergogna, o per orgoglio di non confessarsi errato, perfidia a mantener pure il suo fallo. il che io non vorrei che avenisse a qualcuno, di questo passo di Dante. Ma prima ch'io venga ad altro, vo' dire; che avendo io già fermata sopra di questo luogo la mia opinione, siecome ho detto, e' mi diede innanzi un testo di Benvenuto da Imola, antico comentatore di esso Dante, il quale a capello ribadisce il chiodo della mia spiegazione. egli è tratto da un manoscritto della libreria Estense, e pubblicato da un gentile e dotto scrittore. ecco il passo: Hic auctor describit praedictum locum, per comparationem pulchram et propriissimam : et vult sententialiter dicere; quod illa via per quam erant descensuri, erat talis, qualis est ripa Athicis inter Tridentum et Veronam. Illa enim ripa, antequam fieret istud praecipitium maximum, erat ita recta et repens in modum

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muri, quod nullus potuisset ire a summo ripae úsque ad fundum flumanae inferioris: sed post ruinam factam, posset nunc aliqualiter iri..... Et nota; quod istud praecipitium vocatur hodie Slanimum (Slavinum, Slavino di Marco, è il vero nome) ab incolis. Così la pensava altresì il Buti, seguendo il Boccaccio medesimo. ma i moderni più savi, e meglio intendenti della lingua di questi due, affermano di que' vecchi, che Tutti quanti hanno mal inteso il presente passo. ed ecco il Boccaccio dee venire da loro a scuola. Io lascerò a voi far la chiosa alle cose dette..

ZEV. Non è poca virtù il poter tacere a siffatti termini.

TOREL. Ora continuandomi in questo C. XII., Dante segue; Cotal di quel burrato era la scesa; E'n su la punta della rotta lacca L'infamia di Creti era distesa, il Minotauro, che Dante con nobil perifrasi chiama l'infamia di Creti, per la ragion che sapete, d' essere nato di nefando congiungimento; Che fu concetta nella falsa vacca: E quando vide noi se stessa morse, Sì come quei cui l'ira dentro fiacea. Virgilio lo attutì con queste parole; Lo savio mio in ver lui gridò; Forse Tu credi, che qui sia'l duca d'Atene, Che su nel mondo la morte ti

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porse. Partiti, bestia, che questi non viene Ammaestrato dalla tua sorella ( Arianna, per farti morire): Ma vassi per veder le vostre penc. quel bestia vale un mon

do, ad abbassar quella furia. Qual è quel toro che si slaccia, in quella Ch' ha ricevuto già'l colpo mortale... ZEV. Virgilio: incertam excussit cervice securim.

TOREL. Che gir non sa, ma qua e là saltella (bella e viva pittura! ); Vid' io lo Minotauro far cotale. In quella, è in quello, in quel mentre. È inutile, pare a me, e che troppo sa di grammatica, il dire come fa altri; ch' egli è un' ellissi, e sottintendevisi ora. O non basta egli, e non istà il punto nel saper senza più il valore di questo modo di dire (e come di questo, di tutti gli altri), ed impratichirsene, e bene allogarlo ne' propri scritti? Dite il medesimo di quel cotale; che alcuno afferma non significare così ( in onta della Crusca che ce l'insegna ): anzi, dice, è elemento di in cotale modo; come se in cotale modo, non fosse così. Il vero si è che, ondechè sia originata questa particella, vale appunto così; e di qua cotalchè, e così il suo opposito quale, ha il valore di come; Quale i fioretti dal notturno gielo, ec. Colto il tempo che la bestia era in furia, i poeti prendono a venir giù: E quegli accorto gridò ; Corri al varco; Mentre ch'è 'n furia, è buon che tu ti cale. Cosi prendemmo via ( era quell' alcuna via) giù per lo scarco Di quelle pietre, che spesso moviensi Sotto i miei piedi, per lo nuovo carco. questo è certamente uno scendere, senza azione divina, nè altro miracolo. Un tesoro vale quello scarco: e chi l' avrebbe trovato, da Dante in fuori? Egli era il rovinio delle pietre, dalla rotta cima rotolate giù, scaricandosi per l' erta del monte.

ROSA M. Questa ripa così franata porge a Dante materia d'una bella considerazione: lo gia pensando: e quei disse; Tu pensi Forse a questa rovina, ch'è guardata Da quell' ira bestial, ch' io ora spensi. Or vo' che

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