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TOREL. Mancava questa, che voi diceste giunterella, a sigillare compiutamente questo trattato. A bel rivederci domani.

E con questo posero fine al presente ragionamento.

Fine del Dialogo Quarto.

Alla faccia 192 linea 20

le crine. corr. li crini.

DIALOGO QUINTO

Or vatt' impaccia colle lettere e co' poeti; e sappi, se il cervello ti vorrà stare più in casa. E chi l'avrebbe creduto, che il Dottor Agostino Zeviani, stato fino a que' di sempremai tutto nelle Pandette, nel Cuiaccio e ne' protocolli ; innuzzolito al gusto di Dante, avesse all' arte sua voltate le spalle per forma, che venendo i clienti a battere che consigliasse loro un pialo, facesse rispondere, ch' egli non era in casa ovvero in tempera, e non potea attendere a loro? cercassero per altro avvocato? ma egli fu troppo il vero. Egli avea già bene, dal primo giorno che con gli altri due era entrato in que' ragionamenti, alquanto rivolto l'animo da' suoi cartabelli: ma essendo stato nell' ultima ragunata messo più addentro nella materia del bello poetico, e cercatala tanto profondamente, quanto voi avete sentito, egli ne rimase intabaccato per forma, che non trovava luogo; ed ogni ora gli si faceva un anno, che mai venisse l'altro dì, per rimettersi al lecco usato, come fanciullo. E così avvenne; che passato il resto del di, rugumando seco con infinito piacere le cose ragionate, e' passi di Dante che erano venuti in campo, e valica la notte; all' ora degli altri giorni si fu condotto

a casa il Sig. Giuseppe, contandogli ogni cosa; il quale di questo nuovo innamoramento facea le maggiori risa del mondo. Ed essendo il Rosa Morando sopravvenu

to,

'si furono rimessi al consueto sollazzo; e 'l Zeviani usci di tratto in queste parole:

ZEV. Maladetti ( perdonatelomi) í processi, ne' quali mio padre ha pensato di affogarmi, reputandosi far gran senno. Abbia pure Iddio l'anima di lui: ma egli mi privò, per forse tre quarti della vita, del maggior piacere ch' uom possa godersi al mondo. la qual cosa non pur dico ora qui a voi, ma ho stampata, che la sapessero tutti, là dove al Sonetto v. del terzo volumetto della mia Critica poetica, ho detto: Ma il padre mio che mi facea le spese, Mi voleva ignorante a par de scanni, Perchè volle qual son farmi Dottore. E or che montano tutte le instituzioni di Giustiniano, o il Codice Teodosiano, con tutti i comenti del Gottefredo, appetto ad un Canto solo di Dante? dico, snocciolato, sciorinato, o stillato in essenza, come faceste voi? che quantunque prima d'ora io l' avessi qui e qua assaggiato comechessia ; non ci trovai ad un millesimo il gusto, che ci ho assaporato, la mercè vostra, in questi quattro giorni del novellar nostro. Ma non è da badare. mano a' ferri. Ehi, Giuseppe, habes quod agas.

TOREL. E sia pure con Dio. Ammacstrato ben Dante di tutta la generazione de' vizi e lor partimento, rispondente a' cerchi ne' quali eran puniti, Virgilio ripigliando il cammino, si muove per ismontare nel settimo cerchio. Ma prima di metterci con esso lui, io

non posso digerire un mio scrupolo. e' mi pare villania ad aver noi saltato questo non breve tratto di dottrina; e vorrei che noi almeno il leggessimo. che dite voi? certo, eziandio in questo campo sterile non può fallare, che di varie bellezze non ci troviamo.

ZEV. Sia pure con Dio: niente meglio io desidero. Filippo nostro comincerà, se gli piace.

ROSA M. E di bonissima voglia. Noi lasciammo i due Poeti In sull'estremità d' un' alta ripa, Che facevan gran pietre rotte in cerehio; dove per lo puzzo che venia lor da una vallè giù basso, s' erano soffermati. Io fo prima questa ragione: Essi erano entrati per la porta guardata da' diavoli nella città di Dite, la quale era nel giron quinto. questa città, che dalla parte dove entrò Dante avea le mura rosse come ferro rovente, dovette aver qui in luogo di muro questa ripa altissima, per la quale scenderanno i poeti a suo tempo nell' altro girone. Intanto Virgilio; per non perdere il tempo dell' aspettare, finchè l'odorato si fosse ausato al fetore; prese a descrivere (come notammo) il compartimento de' giron che seguivano e così cominciò;...

ZEV. Questo esordio faceste, o Filippo, assai discreta e sentitamente. Or avanti.

,

Rosa M. Figliuol mio, dentro da cotesti sassi, Cominciò poi a dir, son tre cerchietti Di grado in grado come que' che lassi. Tutti son pien' di spirti maladetti: Ma perchè poi ti basti pur la vista, Intendi come e perchè son costretti. D'ogni malizia ch'odio in cielo acquista, Ingiuria è il fine; e ogni fin cotale O con

forza, o con frode altrui contrista. Ecco la prima general divisione: La malizia è sempre ingiuria, o ingiustizia; e questa offende o con violenza, o con frode. Ma perchè frode è dell' uom proprio male, Più spiace a Dio: e però stan di sutto Gli frodolenti, e più dolor gli assale. La frode è mal uso della ragione; e però è peccato più grave, ed è punito più a basso, e più duramente. giron più basso dice peccato maggiore, e pena più grave. Vien dunque alla prima spezie dell' ingiurie fatte per forza o violenza, e di questi violenti è tutto il primo girone; nominato cerchietto, perchè men largo de' primi: De' violenti il primo cerchio è tutto: Ma perchè si fa forza a tre persone, In tre gironi è distinto e costrutto. questo cerchio ha tre gironi, secondo i tre modi in che può essser fatta cotesta forza. A Dio, a sè, al prossimo si puone Far forza; dico in sè ed in lor cose, Com' udirai con aperta ragione. Al prossimo si fa forza, o nella persona, o nelle cose loro; e lo spiega di tratto Morte per forza, e ferute dogliose Nel prossimo si danno; e nel suo avere, Ruine, incendi e tollette dannose: Onde omicidi, e ciascun che mal fiere, Guastatori e predon tutti tormenta Lo giron primo per diverse schiere. costoro son puniti, nel giron primo de' tre. Or viene la forza che l' uom si fa a sè, ed a’ suoi beni e son puniti nel secondo girone del medesimo primo cerchio: Puote uomo avere in sè man violenta, E ne' suoi beni: e però nel secondo Giron convien che senza pro si penta Qualunque priva sè del vostro mondo, Biscazza e fonde la sua facultade, E piange

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