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Sì, che l'un capo all'altro era cappello:
E come 'l pan per fame si manduca,
Così'l sovran li denti all'altro pose
Là 've'l cervel s'aggiunge con la nuca.
Non altrimenti Tideo sì rose

Le tempie a Menalippo per disdegno,
Che quei faceva 'l teschio e l'altre cose.
O tu, che mostri, per sì bestial segno,
Odio sovra colui che tu ti mangi,

127

130

133

126 era cappello vale quanto stavagli sopra, coprivalo. 127 si manduca. Manducare per mangiare, detto anticamente anche in prosa. Vedi il Vocabolario della Crusca.

128'l sovran vale qui quanto il soprastante, lo stante di sopra, sovrano cioè di luogo semplicemente, e non di dignipose per poneva, ficcava, enallage. » Così l'un sovra l'altro i denti pose, legge il Vat. 3199.

ta.

-

v29 Là ’ve, sinalefa, per là ove. - il cervello per la sommità del cranio, sotto della quale ricopresi il cervello. →→→ si giunge, legge il Vat. 3199. la nuca, la parte deretana del саро.

130 131 Tideo, figliuolo d' Eneo, Re di Calidonia, nell'assedio di Tebe, intrapreso per rimettervi Polinice, combattendo con Menalippo Tebano, rimasero entrambi mortalmente feriti; ma premorendo Menalippo, fecesi Tideo recare la di lui testa, e per gran disdegno si mise a roderla [a].

132 teschio, cranio [b]. e l'altre cose, cotenna, capelli, cervella ec. Che quel faceva, legge il codice Angeli co, E. R.

133 →→→ Colpito il Poeta da sì bestial modo, onde l'uuo di quegli spiriti disfoga l'odio suo contro il sottoposto, e curiosissimo d'intendere la condizion Joro, l'invita con lusinghe a farglisi palese; e tanto puote l'odio e la sete di maggior vendetta in quello spirito, che, scordatosi della propria infamia, si fa a manifestare al Poeta la condizione sua, e quella dello spirito che rode. BIAGIOLI.

[a] Vedi Stazio nella Tebaide, lib. 8. nel fine. [b] Vedi il Vocab, della Cr.

Dimmi 'l perchè, diss'io, per tal convegno Che, se tu a ragion di lui ti piangi,

Sappiendo chi voi siete, e la sua pecca, Nel mondo suso ancor io te ne cangi; Se quella, con ch'io parlo, non si secca.

136

135 per tal convegno. Con in luogo di per hanno trovato in un manoscritto gli Accademici della Cr.; ma senza far mutazione può la particella per significare lo stesso che la con [a].

convegno, convenzione, patto. A simil senso scrissero convegna altri autori [b], e convenium i Latino-barbari [c].

136 di lui ti piangi, cioè ti duoli, in francese te plaignes. E. F. ««

137 pecca per mancamento [d].

138 te ne cangi, te ne cambi, per te ne renda il cambio, favorisca io te pure, lodando te, ed infamando lui.

139 Se quella, con ch'io parlo, la lingua, non si serca, non si risolve in polvere, ch'è poi quanto a dire, se non muoio.

Tanto basta all' offeso spirito, che dispousi tosto al lagrimevole racconto, che spiegasi nel seguente canto, ove chi non piange, Illi robur et aes triplex- Circa pectus. BIAGIOLI.

[a] Vedi il Cinon. Partic. 195. 11. [b] Vedi il Vocab. della Cr. [c] Dufresue Gloss. art. Convenium. [d] Vedi il Vocab. della Crusca.

In

ARGOMENTO

questo canto racconta il Poeta la crudel morte del Conte Ugolino e de'figliuoli. Tratta poi della terza sfera, detta Tolommea, nella quale si puniscono coloro che hanno tradito chi di loro si fidava; e tra questi trova Frate Alberigo.

La bocca sollevò dal fiero pasto

Quel peccator, forbendola a' capelli
Del capo
ch'egli avea diretro guasto.
Poi cominciò: tu vuoi ch'io rinnovelli
Disperato dolor che 'l cuor mi preme,

Già

pur pensando, pria ch'io ne favelli .

I

Ecco l'orribile e spaventosa scena, cotanto per ogni paese e per ogni lingua famosa; ecco il luogo, ove chi non è d'ogni natural senso spogliato sentirà stringersi il cuore di pietà tale che, se non fosse l'anima da sì grande attrattivo del pretto dire, del leggiadro stile, e dei bei colori rettorici alquanto distratta, non potrebbe sì fatto raccapriccio sostenere, e rifuggirebbe indietro di compassione e di spavento. BIAGIO

LI.

1

1 2 →→→ La bocca si levò ec., il Vat. 3199, forse error di copista, che doveva scrivere o si coll'accento, o su. forbendola ec., per potere più chiaramente e speditamente favellare.

4 al 6 tu vuoi ec. Sente quel di Virgilio: Infandum, regina, iubes renovare dolorem. BIAGIOLI. che 'l cuor mi preme,- Già pur pensando: che mi opprime il cuore già fin d'ora, solamente pensando all'azione da costui fattami.

Ma se le mie parole esser den seme,

Che frutti infamia al traditor ch'io rodo,
Parlare e lagrimar vedrai insieme.
Io non so chi tu sie, nè per che modo
Venuto se'quaggiù, ma Fiorentino
Mi sembri veramente, quand' io t'odʊ.
Tu dei
saper ch'io fui 'l Conte Ugolino,

7

E questi l'Arcivescovo Ruggieri:

7

10

13

8 den, è il denno troncato dell'ultima sillaba. - se esser den seme, Che frutti infamia ec. val quanto, se debbono influire ad infamare costui su nel mondo.

9 Parlare e lagrimar vedrai. Propriamente il vedrai si riferisce a lagrimar, e per catacresi al parlare. →→→ Con questa evidente espressione viene a dire che molte parole di quello sciaurato sarebbero nel racconto soffocate e mozze per l'angoscia del pianto; onde non le avrebbe già udite, ma piuttosto vedute, meglio argomentandole dall' atto della faccia e del labbro, che dal rotto suono di esse. PERTICARI [a].

10 chi tu se', la Nidob.; chi tu sie, l'altre ediz.: ma il chi tu se' accorda meglio col venuto se', che nel seguente verso leggono poi l'edizioni tutte d'accordo. Così il Lombardi; ma il Biagioli però sostiene doversi leggere chi tu sie (sii o sia) in congiuntivo, perchè cade l'ignoranza sul fatto intero; ed all' opposto venuto seinel verso che segue, perchèivil'ignoranza cade in una sola circostanza del fatto positivo, che è quello d'essere veramente venuto quaggiù. Queste ragioni, l'autorità del Vat.3199, e l'esempio dell' E. R. ci hanno persuasi a rimettere nel nostro testo il sie della comune, e forse originale, lezione.

13 14 Tu dei saper ch'io fui, la Nidobeatina; Tu de saper ch'i' fu', l'altre edizioni, e il Vat. 3199, che legge poi Conte Ugolino, omettendo l'articolo ; il che rende il verso più grave. Conte Ugolino, de'Gherardeschi di Pisa. Dopo di essersi costui, coll'aiuto di Ruggieri degli Ubaldini, Arcivescovo di Pisa, reso padrone di Pisa, spogliando, per tradimento, della padronanza di quella il giudice Nino di Gallura de'Visconti,

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Or ti dirò perch'i son tal vicino.

Che, per l'effetto de' suo' ma' pensieri,

Fidandomi di lui, io fossi preso

16

abbenchè fosse figlio di una propria figliuola; venne poi tradito dall'Arcivescovo medesimo, il quale, facendo credere al popolo che avesse Ugolino tradito Pisa, e rendute le loro castella ai Fiorentini e Lucchesi, fece sì, che a furor di popolo ne venisse il Conte con due figli e due nipoti rinchiuso e fatto morir di fame in una torre [a]. E questi è l'arcivescovo ec., legge l'Ang. E. R. ◄◄

15 Or ti dirò ec. → Non dice in seguito il perchè, ma fa intendere che egli lo strazia così per isfogo d'odio e di vendetta del tradimento che gli fece. BIAGIOLI.i vale qui lo stesso che gli a lui, come nel preced. canto XXII. v. 73. Vedi ciò che ivi si è detto. - tal vicino per tormentatore.

16 ma', apocope, per mali, malvagi. — pensieri per sospetti, che avesse cioè il Conte rendute, o disegnato di rendere ai Fiorentini e Lucchesi le castella, delle quali si erano i Pisani impadroniti. Che non fosse cotale tradimento se non in sospetto, pare lo indichino i versi 85. e 86.:

Che se'l Conte Ugolino aveva voce

D'aver tradita te delle castella.

→→→ Il Biagioli invece inclina a credere Ugolino innocente, e tradito dall'Arcivescovo per mero effetto d'invidia e di gelosia. Ma egli s'inganna; e s'ingannò fors' anche il Lombardi ; dubitando della reità del Conte. Imperocchè è ben da credere che se Dante non l'avesse ritenuta per certissima, posto non avrebbe Ugolino nell'Antenora. E dunque nostro parere che il Poeta condannasse il Conte e l'Arcivescovo al luogo dei traditori della patria, o perchè forse concorsero entrambi coll'opera a spogliar Nino di Gallura della signoria di Pisa, e come è detto sopra alla nota dei versi 13. e 14.; o veramente vi pose Ugolino per la resa effettuata, o premeditata almeno, delle castella; e l'Arcivescovo per aver denunziato al popolo Ugolino (che di lui si fidava ) qual reo di un tradimento da lui medesimo fors' anche consigliato. Ciò posto, chiaro apparisce il motivo dell' ira atroce e fierissima del Conte verso lo sleale che della crudel morte di lui fu cagione.

[a] Gio. Villani lib. 7. cap. 120. e 127.

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