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Ed era quei, che sol de'tre compagni Che venner prima, non era mutato; L'altro era quel, che tu, Gaville, piagni.

149 de'tre compagni, cioè Agnel Brunelleschi, Buoso Abati, ed esso Puccio.

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151 L'altro, cioè colui che sotto forma di serpente feri Buoso nel bellico, e trasmutatolo in serpente, convertissi egli in uomo; era quel, che tu, Gaville, piagni; cioè messer Francesco Guercio Cavalcante (pur esso cittadino fiorentino), ucciso dagli uomini di una terra di val d'Arno di sopra, detta Gaville, che per cagione di costui piangeva, essendo per vendetta stati morti la maggior parte degli abitanti di essa. D▲NIELLO. Del delitto di costui, di Puccio e degli altri dopo Vanni Fucci motivati, vedi l'opinione del Vellutello, riferita sotto il v. 43. Nota che l'Anonimo chiama costui Guelfo, e Pietro di Dante ed il Boccaccio Guercio. E. F.←

ARGOMENTO

Vengono i Poeti all'ottava bolgia, nella quale veggiono infinite fiamme di fuoco: ed intende Dante da Virgilio,che in quelle erano puniti i fraudolenti consiglieri, e che ciascuna conteneva un peccatore, fuorchè una, che facendo di sè due corna, ve ne conteneva due; e questi erano Diomede ed Ulisse.

Godi, Firenze, poi che se’sì grande,
Che per mare e per terra batti l'ali,
E per lo 'nferno il tuo nome si spande.
Tra gli ladron trovai cinque cotali

Tuoi cittadini, onde mi vien vergogna,

1 al 3 Fa gran colpo il principio del presente canto per quest'apostrofe di fierissima ironia ripiena, con versi di maestà nuova, e d'eloquente stile ridondante. Molto poetico è questo dire batti l'ali per mare e per terra a dimostrar la celebrità di Firenze, per le discordie e le iniquità de' suoi cittadini famosa ; è grande l'idea delle parole, E per lo 'nferno il nome tuo si spande, facendo intendere che, in ogni cerchio dell'Inferno incontrandosi Fiorentini, in essa città, più ch'altrove, commettevansi le maggiori scelleratezze. BIAGIOLI.-FiOrenza, leggono i codd. Angelico e Caetano, E. R., - e il Vaticano 3199.

4 5 cinque, già nominati nel canto precedente, cioè Cianfa, Agnel Brunelleschi, Buoso Donati, Puccio Sciancato e Francesco Guercio Cavalcante. - cotali-Tuoi cittadini, onde ec.:

E tu in grande onranza non ne sali. Ma se presso al mattin del ver si sogna, Tu sentirai di qua da picciol tempo,

Di quel che Prato, non ch'altri, t'agogna;

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cittadini tuoi di condizione tale, ch'io me ne vergogno. Ad un modo simile adopera cotale anche il Boccaccio: O mani inique: voi ornatrici della mia bellezza, foste gran cagione di farmi cotale, ch'io fossi desiderata [a]. E certamente l'essere ladri i primarj cittadini reca alla città maggior disdoro; ed a quei massime che nella città stessa ebbero ugual grado, com'ebbelo Dante.

6 E tu in grande ec. Ironica maniera di parlare, che vale quanto, e tu ne riporti grandissimo disonore. Così noi pure diciam sovente: quest'azione non fa a colui troppo onore invece di dire che gli fa gran disonore. onranza, sincope di onoranza. Vedi il Vocab. della Crusca.

7 se presso al mattin ec. Accenna d'essersi delle cose, che è per dire, sognato circa il nascere dell'aurora; nel qual tempo, secondo l'antica superstizione, avevansi i sogni per veritieri. Namque sub aurora (scrive Ovidio) iam dormitante lucerna, -Tempore quo cerni somnia vera solent [b]. Somnium post somnum (ch'è appunto presso al mattino) efficax est, alque eveniet, sive bonum sit, sive malum, scrive anche Suida [e]. →→→Ma se presso al mattino il ver si sogna, legge l'Ang. E. R.

-

Pretende il Biagioli che il Poeta non sognasse in su l'aurora le cose che dirà, e che qui abbia inteso di dire che, siccome i sogni del mattino mostrano del vero, così il guasto e disordinato vivere della città faceva antivedere i disastri che erano per sopravvenire alla medesima. Malgrado ciò, noi preferiamo l'interpretazione del Lombardi, e perchè suonano realmente così le parole del testo, e perchè la conforta poi anche l'unanime consenso di tutti gli altri antichi e moderni Spositori da noi consultati.

89 di qua da ec. Da per a, vedine altri esempi presso il Cinonio [d]. Di quel (intendi danno) che Prato, non che altri. Ellissi, e come se detto fosse: non che, non solamente[e],

[a] Giorn. 5. Nov. 9. [b] Heroidum Ep. 19. [c] Art. öve;po [d] Par

tic. 7o. 2. [e] Cinon. Partic. 184. 1.

E se già fosse, non saria per tempo:
Così foss' ei, da che pur esser dee;

Chè più mi graverà, com' più m'attempo.

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altri popoli, ma quelli stessi di Prato tuoi vicini, sudditi, ti ed in qualche modo partecipi de' tuoi danni. - t'agogna, desiderano ardentemente.

Le disgrazie seguite già quando il Poeta scriveva, ma col fingere ad esse anteriormente fatto questo suo viaggio rese future, furono: la rovina del ponte alla Carraia mentre era pieno zeppo di popolo concorsovi a godere di uno spettacolo che si faceva in Arno nel 1304; l'incendio pur nello stesso anno di più di 1700 case, consumando le fiamme un tesoro infinito; e le discordie civili tra i Bianchi e i Neri. Vedi Gio. Villani, Cron. lib. 8. cap. 70. e 71. Ma ciò che dice Dante in seguito, Che più mi graverà, com' più m'attempo, accenna principalmente il danno di Firenze nell'esilio della propria e di moltissime altre cospicue famiglie di parte Bianca, come ora dimostrerò. 10 se già fosse, il memorato danno, non saria per tempo, non saria di buon'ora, non saria troppo presto.

11 12 →→→ Così foss' ei ec.; slancio d'animo altamente sdegnato, e di vendetta avidissimo; e vuol dire: e poichè egli debbe inevitabilmente avvenire, vorrei che fosse avvenuto già. BIAGIOLI. ← Delle particelle da che per dappoichè, e pur per certamente, vedi il Cinonio [a]. -più mi graverà, com' più ec. Mostrasi l'Autore desideroso di questo male, non per ruina della patria, la qual gli era carissima, ma per punizion dei cattivi cittadini che iniquamente l'amministra vano; e però desidera che sia presto, acciocchè siano puniti quelli che hanno errato. Così il Landino. Il Vellutello chiosa che parli Dante a questo modo, perchè quanto più l'uomo si attempa ed invecchia, tanto più s'accende in lui l'amor della patria; e conseguentemente tanto più gli grava e pesa se ella incorre in qualche miseria. Lo stesso pare che voglia dire anche il Venturi chiosando: col divenire più attempato, diverrò io per l'età men sofferente di questi guai, e di quei disordini di cattivo governo, che tirano addosso alla mia patria tali calamità. Così anche il Poggiali e la E. B. II Torelli a questo luogo chiosa. « Che vuol dire?

[a] Partic. 73. 5., e 106. 3.

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Noi ci partimmo, e su per le scalee

Che n'avean fatte i borni a scender pria,

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» che quanto più invecchio, tanto più mi saranno gravi le disgrazie di Firenze? oppure: che quanto più invecchio, » tanto mi graverà più che cotali disgrazie non accada» no? » ←◄ Il Daniello trascorre questo luogo senza farvi riflessione alcuna. Quanto però al Landino, qual cagione ne dica egli, per cui cotal punizione fosse per riuscire al Poeta più grave quanto più si attempasse, io non intendo; ed il crescere coll'età l'amor della patria, che dice il Vellutello, solo mi pare da ammettersi quando non sia la patria al cittadino ingiusta ed ingrata, come sperimentata aveva già Dante la sua patria quando queste cose scriveva.

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Direi io adunque invece, che il suo esilio e degli altri Bianchi bramasse egli in più fresca età, per aver seco nella disgrazia meno figliuoli [a], e per non essere costretto a cerpaese, casa e pane, mentre incominciava ad aver bisogno di quiete e riposo. L'Anonimo spiega: « io veggio che debbo » essere cacciato di Firenze. Io vorrei ch'egli fosse anzi oggi » che domani, acciocchè io anzi giovine che vecchio m' ausassi » a sapere come sa di sale lo pane altrui ec.»- Ed il Boccaccio: « prega l'Autore che questo fia tosto, s'egli esser dee ; » a simile che fa chi aspettasse avere una pena, e fa priego, » acciocchè egli esca di quella pena. « E. F.-Ricavandosi da molti luoghi del presente poema quanto bramoso della vendetta fosse Dante, e quanto in ciò l'animo e l'ingegno adoperasse, pensa il sig. Biagioli, per ultimo, che il Poeta qui voglia dire piuttosto, che maggiore sarà la pena sua della ritardata vendetta, perchè minore sarà, per la vecchiezza sua, il tempo che potrà godere il piacere della vendetta mede

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sima.

13 scalee per ordine di gradi e scale, adoperato da buoni scrittori anche in prosa. Vedi il Vocab. della Crusca.

14 borni appella Dante i rocchi prominenti da quell'erto scoglioso argine; pe'quali rocchi erano i due Poeti dal medesimo argine discesi per avvicinarsi al fondo di quella ottava bol

[a] L'autore delle Memorie per la Vita di Dante, §. 4., dice Ebbe Dante da sua moglie Gemma Donati più figliuoli, fra' quali Pietro, Iacopo, Gabriello, Aligero, Eliseo e Beatrice.

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