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Anima fia a ciò di me più degna: Con lei ti lascierò nel mio partire. Chè quello 'mperador, che lassù regna, Perch' i' fui ribellante alla sua legge,

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122 Anima di me più degna, Beatrice, la quale a Dante abbandonato da Virgilio nel xxvII. del Purgatorio apparisce, e scopresi nel xxx. per indi accompagnarlo al Paradiso. Nel seguente canto al v. 70. dirò il mio parere intorno al vero soggetto inteso dal Poeta nostro, e per Beatrice e per tutte quelle altre persone, dalle quali dicesi aiutato in questo misterioso viaggio.

125 Perch' i fui (fu' leggono l'edizioni diverse dalla Nidobeatina) ribellante ec. Dovendo questo andar d'accordo con quell'altro, che lo stesso Virgilio dice:

.per null'altro rio

Lo ciel perdei, che per non aver fè [a] fa di mestieri che ribellante alla divina legge vaglia qui lo stesso che alieno dalla vera fede; da quella fede, cioè nel venturo Messia, che Dante con tutti i teologi [b] pone essere stata in ogni tempo necessaria per conseguire l'eterna beatitudine: e però del Paradiso parlando dice:

E

a questo regno

Non sali mai chi non credette in Cristo,

Nè pria, nè poi, ch'el si chiavasse al legno [c].

per lo stesso motivo divide in Paradiso l'umano beato genere in due classi: in una riponendo Quei, che credettero in Cristo venturo [d], e nell'altra Quei, che a Cristo venuto ebber li visi [e].

Oltre di cotale mancanza di fede, altra positiva ed assai più grande reità cadrebbe in Virgilio ed in tutti que'Gentili eroi, che fa lui Dante essere nel Limbo compagni [f] se, come volgarmente si pensa, credere si dovesse che tutto il gentilesimo infetto fosse di politeismo, o sia di credenza in più Dei. Dante però dovette aver letto ciò che nel sesto libro della sua Storia scrive Paolo Orosio (quell'Orosio che la comune degli Espositori chiosa dal medesimo Dante (Par. x. 119. e seg.), [a] Purgat. vII. v. 7. e segg. [b] Vedi Pietro Lombardo l. 2. dist. 25. [c] Parad. xix. v. 103. e segg. [d] Parad. xxx v. 24. [e] Ivi v. 27. Vedi il canto iv. della presente cautica, v. 31. e segg.

Non vuol che 'n sua città per me si vegna.

In tutte parti impera, e quivi regge;

Quivi è la sua cittade, e l'alto seggio:
O felice colui, cu' ivi elegge!

Ed io a lui: Poeta, i' ti richieggio

Per quello Iddio, che tu non conoscesti,
Acciocch' io fugga questo male e peggio,

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inteso nella persona dell'avvocato de'templi cristiani, - Del cui latino Agostin si provvide): Pagani, quos jam declarata veritas de contumacia magis, quam de ignorantia convincit, quum a nobis discutiuntur, non se plures Deos sequi, sed sub uno Deo magno plures ministros venerari fatentur; e come, anche prima di Orosio, dimostrati aveva conoscitori di un solo Iddio tutti i Gentili filosofi Minuzio Felice nel suo Dialogo Octavius, scrivendo non aver essi in realtà fatto altro che Deum unum multis designari nominibus; e più di tutti assolvendo dal politeismo Virgilio per quelle di lui formole al politeismo del tutto opposte:

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Deum namque ire per omnes

Terrasque, tractusque maris, coelumque profundum [a]. O qui res hominumque Deumque

Aeternis regis imperiis, et fulmine terres [b].

127 In tutte parti ec. cioè, in tutte l'altre parti stende il potere del suo dominio, ma quivi propriamente fa sua residenza e tien sua corte. VOLPI. Nota il Biagioli, che imperare è l'atto di esercitare imperio con potenza; reggere quello di governar con amore.

129 cu' ivi elegge, cui Dio elegge a tal luogo.

131 quello Iddio, che ec. In conseguenza di quanto poc'anzi nella nota al v. 125. si è avvisato, dee per quello Iddio intendersi il nostro Salvator Gesù Cristo. Dio in vece d'Iddio con minore pienezza e dolcezza del verso leggono l'edizioni diverse dalla Nidobeatina e il cod. Vat. 3199.

132 questo male, cioè l'oscura selva de'vizj, donde si forzava di uscire. -e peggio, altri vizj peggiori, e l'eterna dannazione. questo male, cioè quello di trovarmi qui

[a] Georg. 111. v. 221. [b] Aeneid. 1. v. 233.

CANTO I.

Che tu mi meni là dov' or dicesti,
Sì ch'io vegga la porta di san Pietro,
E color, che tu fai cotanto mesti.
Allor si mosse, ed io gli tenni dietro.

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smarrito; e peggio, cioè di non poter forse più uscire e di restarvi morto dalle fiere. BIAGIOLI.

134 porta di san Pietro. Mettendo Dante alla porta del Purgatorio [a] per custode un Angelo colle chiavi di san Pietro, e non dicendoci più in verun luogo d'altra porta che dal Purgatorio metta in Paradiso, ma supponendo da quello a questo un passaggio affatto libero, non v'ha dubbio che quella, e non altra, s'abbia a intendere la porta di san Pietro; nè, se non male, pretende il Rosa Morando diversamente. → Il Morando però viene difeso dal Biagioli, che per la porta di san Pietro intende quella del Cielo. Così col Volpi l'E. F. e lo Scolari; ma questi per ragioni ben diverse da quelle del Biagioli, e sono: 1.o per essere già di antica e comune credenza che s. Pietro sia il custode delle celesti porte; 2.0 perchè nel v. 134. il Poeta indica il Paradiso, e nel seguente l'Inferno e il Purgatorio.

135 color, che tu fai cotanto mesti, che gridano ciascuno la seconda morte, i dannati.

136 li per gli legge il Lombardi e chiosa: « li invece » di gli, a lui, scrive Dante qui ed altrove. »Noi però, dietro l'autorità del diligentissimo Poggiali, non abbiano esitato a sostituire qui ed altrove il gli (in senso di a lui) al li della Nidobeat., del Vat. 3199, e delle altre edizioni.←

[a] Canto ix. v. 76. e segg.

ARGOMENTO

In questo secondo canto, dopo la invocazione che sogliono fare i poeti ne' principj de' loro poemi, mostra che considerando le forze, dubitò che elle non fossero bastanti al cammino da Virgilio proposto dello Inferno; ma confortato da Virgilio, finalmente prendendo animo, lui come duce e maestro seguita.

Lo giorno se n'andava, e l'aere bruno

Toglieva gli animai, che sono 'n terra Dalle fatiche loro; ed io sol uno M'apparecchiava a sostener la

guerra

Sì del cammino, e sì della pietate,

I

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1 2 l'aere bruno - Toglieva gli animai, ec. Imita Virgilio in quei versi del lib. vIII. dell' Eneide:

Nox erat, et terras animalia fessa per omnes

Alituum pecudumque genus sopor altus habebat [a]. aere legge spesso la Nidob., ove altre edizioni leggono troncatamente aer: e qui certamente apporta al verso pienezza insieme e dolcezza. aer leggono pure il cod. Vat. 3199 e il Biagioli. ←

5 guerra, difficoltà, -Si del cammino, che nel discendere all'Inferno e poi salire al Purgatorio, e sì della pietate, che dell'anime eternalmente dannate a diversi crudeli tormenti doveva avere. VELLUTELLO. M'apparecchiava ec., cioè s'apparecchiava a far forza al suo animo per non prender pietà dei [a] Verso 26. e seg.

Che ritrarrà la mente, che non erra. O Muse, o alto 'ngegno, or m'aiutate:

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peccatori. MAGALOTTI. - Così pure il Biagioli, manon ne dice il perchè, e il Magalotti spiega anche questo, mostrando che Dante, come uomo dovea sentir compassione di quegli spasimi, ma come cristiano doveva in essi ammirare la potenza e sapienza infinita di Dio, e per non fare offesa alla divina giustizia, fare ogni sforzo per soffocare il sentimento della compassione. È importantissimo, ripiglia qui lo Scolari, sin dalle prime condurre il lettore a prender parte in questo contrasto del Poeta, in cui consiste tutto il drammatico dell'azione. M'affaticava invece di M'apparecchiava legge col Vat. 3199 l'E. R; ma le ragioni ch'egli adduce in favore di tal lezione, non ci hanno persuasi a scostarci dalla Nidobeatina . ←◄

6 ritrarrà, racconterà, la mente, che non erra, la medesima mente, o sia facoltà della mente, che due versi sotto dice le vedute cose avere scritte, cioè la memoria. Lo errare, di fatto, non è che dell' intelletto, che giudichi essere la cosa che non è; ove della memoria il maggior danno può solamente essere lo scordarsi, e non l'errare, o sia il falsamente giudicare. » la mente, che non erra, non può essere la definizione della memoria, come suppone il Lombardi, poichè questa può ingannarsi. Dante vuol far qui fede a chi legge della verità delle cose che dee narrare; e perchè sono meravigliose assai, e vincono il naturale, vuole assicurarci che la sua memoria non s'ingannerà, e ne assegna la ragione dicendo: ch'ella non può errare, perchè ha scritto tutto ciò ch'ella ha visto. PERTICARI. Per mente, che non erra intende lo Scolari la mente Divina e non quella del Poeta, spiegando: m'apparecchiava a sostener quella guerra che darà idea e immagine di quella mente che non erra, ossia della mente Divina. (Vedine le sue note.) Il Vatic. 3199 ha Mente coll' iniziale maiuscola.se non erra col cod. Ang. legge l'E. R., e pretende che questa lezione, inducendo il dubbio nel Poeta, sciolga la difficoltà della interpretazione e renda ragionevole la seguente invocazione delle Muse. ◄◄

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7 O Muse, o alto 'ngegno, ec. Da ciò che a Dante medesimo si fa dire da Cavalcante Cavalcanti, Inf. x. 58. e seg., se per questo cieco - Carcere vai per altezza d'ingegno, -Mio figlio (cioè Guido Cavalcanti) ov'è? scorgesi che il proprio ingegno in un colle Muse eccita qui Dante all'impresa; e che alto Vol. I.

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