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Sempre con l'arte sua la farà trista.

E se non fosse che 'n sul passo d'Arno
Rimane ancor di lui alcuna vista,

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tile, ne potesse più di s. Gio. Battista protettore di Fiorenza cristiana.

A comprovar poi anche collo stesso Dante una tale spiegazione ci piace di addurne la corrispondenza ne'vv. 67. 68. 69. e 73. 74. 75. del canto xvi. Domanda Iacopo Rusticucci al Poeta nel 1.0 terzetto:

Cortesia e valor, di' se dimora

Nella nostra città, sì come suole,
O se del tutto se n'è gito fuora?

Risponde Dante nell'altro:

La gente nuova, e i subiti guadagni
Orgoglio, e dismisura han generata,

Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni.

E prima nel canto vi. v. 74. e seg., là dove Dante risponde a Ciacco su i malori della città partita, cioè Firenze, agitata dalle discordie intestine de' Guelfi e Ghibellini, dice:

Superbia, invidia, ed avarizia sono

Le tre faville, ch'hanno i cuori accesi. E. R. 146 147 E se non fosse, che 'n sul passo d'Arno ec. Scrive Giovanni Villani ch'essendosi i Fiorentini, in tempo che vivevano negli errori del paganesimo, eletto per loro protettore il dio Marte, edificarono a questo nume un tempio, in mezzo al quale vi posero la di lui statua in forma d'un cavaliere armato a cavallo [a]; e che poscia, convertiti alla fede di Gesù Cristo, levarono il loro idolo, e puoserlo in su una alta torre presso al fiume d'Arno [b]; e che essendo di là, nella distruzion di Firenze per Totila, rovesciata in Arno [c], stette nel fiume fino alla riedificazione della città, dell'801, nel qual tempo ripescata fu posta su uno piliere in su la riva del detto fiume, dove è oggi il capo di Ponte Vecchio [d]; e che finalmente nell'inondazione d'Arno del 1333 ricadde la medesima statua in Arno [e]. Prima adunque del r333, vivente il Poeta nostro, era al detto capo di Ponte Vecchio la statua di Marte, che ora non è. Con ciò sia però che narri il Villani esser la

[a] Cron. lib. 1. cap. 42. [b] Lib. 1. c. 60. [c] Lib. 2. cap. 1. [d] Lib.3. cap. 1. [e] Lib. 11. сар. 1.

Quei cittadin, che poi la rifondarno
Sovral cener che d'Attila rimase,

Avrebber fatto lavorare indarno.

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statua medesima stata in forma d'un cavaliere armato a cavallo, avvisa il Borghini d'essersi in ciò il fiorentino popolo ingannato; perocchè, dice, non si costumarono le statue di Marte fare a cavallo [a]; ed aggiunge, in iscusa di Dante, ch'egli in questo, come in altre cose, seguì la fama comune, la quale a poeti poco rilieva, o vera, o falsa che ella sia. Pare nondimeno che al Borghini contraddica il celebre mitologo Natal Conti, il quale di Marte scrive; Habuit hic Deus multa cognomina a locis in quibus templa erecta fuerunt, vel ab eventis, vel ab iis, qui dicarunt templa. Sic Candaeus, et Mamertus, et Rhacius, et Equestris dicitur [b].

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149 cener per rottami. →→ Alcuni testi ed il Comento attribuito al Boccaccio leggono. Sul cener che di Totila rimane; lo che è conforme a ciò che scrive il Villani [c]. « Del re»sto è sbaglio (dice il Lami) che Attila devastasse Firenze, » non essendo egli mai passato di qua dell'Apennino: ma fu » Totila che ne fe'strazio, benchè non la distruggesse total» mente, come alcuni hanno creduto. Che Firenze fosse risto» rata ed ampliata sotto Carlo Magno, è assai credibile [d]. E. F. » Il Biagioli qui giustifica Dante coll'asserire: « che » la distruzione di Firenze attribuita ad Attila, era al tempo » di Dante una favolosa tradizione sparsa per tutti i popoli » d'Italia, e singolarmente creduta dal popolo fiorentino, cui » Dante, poeta, e non già storico, secondò, per non contrapporsi all'opinione generale. »><

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150 Avrebber fatto lavorare indarno: vieppiù arrabbiato il Demonio, procurato avrebbe il totale esterminio della città, talchè indarno l'avrebbero i cittadini rifondata. Suppone però questo parlare che i Fiorentini pe' loro pravi costumi non si meritassero la protezione del loro s. Giovanni Battista. -* Lenostre riflessioni però alla nota de'v. 143.e 144. danno bastante schiarimento anche a questo passo, nel quale non possiamo esser totalmente d'accordo col Lombardi. E. R. « Dicesi che

[a] Dell' Orig di Firenze, pag. 202. e 203. [b] Mythol. lib. 2. cap. 7. [c] G. Vill. Stor. lib. 2. cap. 1 [d] Vedi Disc. di Vinc. Borghini e il Prospet, d'una nuova Compil. di St. Fior. di A.F. Adami. Pisa 1758.

Io fei giubbetto a me delle mie case.

»gli antichi di rifarla (Firenze) non avean potere, se prima non » avessero tratta la imagine del marmo consecrata per li primi >> edificatori pagani al loro dio Marte [a]. » La stessa opinione riferisce l'Anonimo nella chiosa al verso, Sempre coll'arte sua la farà trista, ove ci dà notizia che il dì 4 Novembre 1323, cadendo il Ponte Vecchio, la statua di Marte cadde di nuovo nel fiume Arno. -Cosi la E. F., con manifesto errore di copista o di stampa, sapendosi da Giovanni Villani essere il detto ponte precisamente caduto nel dì 4 Novembre 1333 [b]. ← 151 Io fei, legge la Nidobeatina; ed 'fe', altre ediz. e il Vat. 3199. giubbetto, vocabolo formato dal francese gibet, che significa forca. Adunque lo fei giubbetto a me delle mie case vuol dire che della sua casa (per sineddoche la casa per la soffitta, o travi della soffitta ponendo) fece a sè stesso forca. - *Il Postill. Cass. nota: Iste fuit quidam Florentinus, qui se suspendit in domo propria, et dicitur quod fecit giubettum ec. Giubettum est quedam turris Parisiis, ubi homines suspenduntur. Sopra Florentinus si aggiunge Messer Loto de Lali, cioè Lotto degli Agli, come nel comento di lacopo della Lana. E. R. La famiglia degli Agli fu potente e facoltosa in Firenze. Da essa si denomina anche oggidì una contrada in detta città, onde non è meraviglia che avesse in Firenze più case o abitazioni. POGGIALI.←

[a] Gio. Vill. Stor. lib. 3. cap. 1. [b] Ivi, lib. 11. cap. 1.

ARGOMENTO

Giungono i due Poeti al principio del terzo girone, il quale è una campagna di cocente arena, ove sono punite tre condizioni e qualità di violenti, cioè contra Iddio, contra la natura, e contra l'arte. La lor pena è l'esser tormentati da fiamme ardentissime, che loro eternamente piovono addosso. Quivi tra' violenti contra Iddio vede Capaneo. Poi trova un fiumicello di sangue, ed indi una statua, dalle cui lagrime nasce il detto fiumicello insieme con gli altri tre infernali fiumi. In fine attraversano il campo dell' arena.

Poichè la carità del natio loco

Mi strinse, raunai le fronde sparte, E rendelle a colui, ch' era già fioco; Indi veninimo al fine, ove si parte

I

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1 la carità del natio loco, l'amore della patria Firenze, della quale disse d'essere stata l'ombra supplicante. 2 Mi strinse, mi costrinse.

3 E rendelle a colui, ch'era già fioco, legge la Nidob.; E rend'le a colui che era già roco, l'altre ediz. Ma avendo rend' rendei l'accento sull'ultima lettera, non veggo perchè non debba seguire l'universal legge di far duplicare la iniziale consonante lettera del pronome aggiunto.

per

4 al fine, intendi, al confine, al termine della selva. al fine, ove si parte, legge la Nibob., meglio che non leggouo l'altre ediz., onde si parte, che non è già qui

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Lo secondo giron dal terzo, e dove
Si vede di Giustizia orribil' arte.
A ben manifestar le cose nuove

Dico che arrivammo ad una landa,

Che dal suo letto ogni pianta rimuove. La dolorosa selva l'è ghirlanda

Intorno, come 'l fosso tristo ad essa: Quivi fermammo i piedi a randa a randa. Lo spazzo era una rena arida e spessa,

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partir per andar via, ma per distinguere. « Indi, avver»bio composto delle due preposizioni indicanti le due relazioni » di stanza e di sceveramento, di e in; ed equivalente a da » quel luogo in cui eravamo, di là da quel cespuglio; e non » vuol già dire fatto questo, come interpreta il Boccaccio. E sia » detto col debito rispetto a tanto senno. al fine, al confine; » così il Biagioli, il quale sostiene pure che si debba leggere onde, cioè dal quale confine, e non ove, come la Nidob. modo.

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6 arte per

8 landa, pianura, spiegano d'accordo e rettamente il Vocabolario della Crusca, il Volpi e il Venturi: solo errano a donare lo stesso significato a lama, che significa valle, cavità di terreno. Vedi la nota al canto xx. di questa cantica, v. 79. Landa (chiosa nel suo Glossario il Dufresne) planities inculta, nostris lande, vox ex Saxonico, aut. Germ. land.

9 Che dal suo letto ec., che nel suo letto non ha pianta

veruna.

10 11 La dolorosa selva, de' pruni animati anzidetti, - l'è ghirlanda-Intorno, la circonda.-come'l fosso tristo (la fossa di sangue bollente, descritta nel c. XII.) ad essa selva, intendi, è ghirlanda, cioè circonda essa pure. Vedi la nota al v. 30. del passato canto x1. → li è ghirlanda, legge il Vat. 3199.

12 13 a randa a randa, cioè rasente rasente la rena (di che è per dire), cioè tanto accosto e tanto rasente, che non si poteva andar più in là un minimo che. Buti, riportato dal Vocab. della Crusca. Arent dicesi in Lombardia per appresso; e pronunziato alla francese arant, ha molta somiglianza con a randa, Lo spazzo, il suolo di essa landa.

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