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Ed ecco, quasi al cominciar dell' erta,
Una lonza leggiera e presta molto,
Che di pel maculato era coperta.
E non mi si partia dinanzi al volto,
Anz'impediva tanto'l mio cammino,

Ch'i' fui per ritornar più volte volto.

Non però in tutto si sconfortò, chè novella cagione a bene sperare gli parve

Di quella fera la gaietta pelle,

che a me piace interpretare certa esteriore politezza e leggiadra civiltà del popolo fiorentino, per la quale avvisò non potere in esso la crudeltà e l'odio durevolmente annidare.

Si ch'a bene sperar m' era cagione

Di quella fera la gaietta pelle,
L'ora del tempo, e la dolce stagione ;
Ma non sì, che paura non mi desse
La vista, che m' apparve d'un leone,

E questa seconda fiera rappresenta il Reame di Francia, ovvero la possanza di Carlo di Valois, il quale, avendo condotto a que' di un poderoso esercito in Italia, da prima con celate arti, indi a viso aperto aiutò la fazione de' Guelfi. E l'immagine d'un leone, fortissimo tra gli animali, del quale dice il Poeta : Questi parca che contra me venessc

Con la test' alta, .

benc si confaceva a Carlo di Valois, di cui è detto nel VI canto dell' Inferno:

e che l'altra (la parte guelfa ) sormonti
Con la forza di tal, che testè piaggia.
Alto terrà lungo tempo le fronti,
Tenendo l'altra sotto gravi pesi,
Come che di ciò pianga, e che n'adonti.

In fine si oppose a lui

...

una lupa, che di tutte brame Sembiava carca nella sua magrezza,

E molte genti fe' già viver grame.

Con la quale è significata Roma, o vogliam dire la podestà secolare di Roma; contro cui s' accese per si fatto modo quell'animosa ira ghibellina, che siccome in molti altri luoghi di questo poema, così sotto il velame della presente allegoria le fece ingiuria di acerbissime parole, intorno alle quali piacerebbemi assai meglio tacere che favellare. Ma la materia mi comanda;

nè io stimo che alcune opinioni di que' rozzi e feroci tempi, recate dall'Alighieri nella divina Commedia, possano essere argomento di scandalo agli uomini di questo secolo. Però seguitando io dico, che le cose poco appresso vaticinate da Virgilio della lupa e del Veltro:

Molti son gli animali, a cui s' ammoglia,

E più saranno ancora, infin che 'l Veltro
Verrà, che la farà morir di doglia.
Questi non ciberà terra, nè peltro,
Ma sapienza, e amore, e virtute;
E sua nazion sarà tra Feltro e Feltro.
Di quell' umile Italia fia salute,
Per cui morì la vergine Camilla,
Eurialo, e Turno, e Niso di ferute:
Questi la caccerà per ogni villa,

Finchè l' avrà rimessa nello 'nferno,
Là onde invidia prima dipartilla.

queste cose, io dissi, adombrano una superba speranza entrata nell' infiammato animo di Dante, che Can Grande della Scala, il quale era per fare dell' armi sue valevolissimo soccorso a' Ghibellini, fosse pervenuto ad avere vittoria intera della contraria fazione, e conseguentemente a disgombrare da ogni città dell' Italia quella dominazione che i Guelfi favoreggiavano; la quale per l'invidia ( secondo suo giudizio) che Roma portò alla possanza e alla maestà dell'Imperio, ebbe cagione e cominciamento. Notabile esempio, come l'immoderato affetto di parte talvolta anco ne' magnanimi e sapienti sia fallace e pericoloso estimatore delle cose!

Ne' quali versi sopraccitati debbesi inoltre considerare che quelle parole (non bene intese finora )

Questi non ciberà terra, nè peltro,

sono tacito rimprovero a coloro dai quali, essendo egli cacciato di Firenze, fu condannato a un tempo nella somma gravissima di lire ottomila, e quindi privato de' suoi poderi; e che il primo

verso:

Molti son gli animali, a cui s'ammoglia, consuona mirabilmente a quello del canto XIX dell'Inferno: Puttaneggiar co' Regi a lui fu vista.

Laonde a me pare toccar con mano, che fiere od animali in questa nobilissima allegoria non altro dinotino fuorchè Signorie.

e Polentali.

Nè già e mio intendimento di negare a' Comentatori che la lonza fosse própria a rendere immagine di libidine; d'ambizione e di superbia il leone; d'avarizia la lupa; ma per ciò appunto stimo avere la mia nuova opinione più salda certezza. Imperocchè Dante (nel XXIII canto del Purgatorio ) rinfacciò con grande sdegno a' Fiorentini la disfrenata loro lascivia; a Carlo di Valois (nel canto XX) la stolta ambizione che lui spinse vanamente al conquisto del reame di Napoli; e a Roma ( quanto più spesso l'ira sua gli dettò ) la sacrilega avarizia.

Che se taluno, considerando come il Poeta impauri della lupa vieppiù che del leone e della lonza, mi chiedesse qual cagione ebbe Dante di più temere l'odio di Roma, che non l'indegnazione di Firenze e della Francia, io gli addurrei le seguenti parole di Cacciaguida nel canto XVII del Paradiso, per le quali si fa palese come Roma primieramente meditò, e con ogni più efficace modo procacciò l'esilio di luí.

Questo si vuole, e questo già si cerca ;

E tosto verrà fatto a chi ciò pensa

Là, dove Cristo tutto di si merca.

Quindi non è da maravigliarsi se per questo mal talento di lei in verso Dante, e per la qualità dell' indole sua, che il Poeta ( sdegnato a' pravi costumi di quel secolo) chiamò sì malvagia, che pur pascendo il conceputo odio, mai nol saziava :

E dopo 'l pasto ha più fame che pria,

e' mostrasse essere stato compreso da si forte paura al cospetto della lupa, che subito disperasse di pervenire alla dilettosa cima del monte:

Questa mi porse tanto di gravezza,

Con la paura ch'uscia di sua vista,
Ch'i' perdei la speranza dell'altezza.

E siccome la speranza aveva allegoricamente espressa col salire per l'erta, così la disperazione col ritornare nell' oscura valle significò :

Tal mi fece la bestia senza pace,

Che, venendomi 'ncontro a poco a poco,

Mi ripingeva là, dove 'l Sol tace.

cioè dove non era cosa, la quale a sperare mi confortasse. Se non che agli spiriti gentili e caramente amati dalle Muse riman pure, in qualsivoglia iniquità di fortuna o degli uomini, alcuno alleviamento e rifugio nella quiete non invidiata dei soavissimi studj. E ciò viene espresso coll' apparire di Virgilio, il

quale fu mandato a soccorrere Dante da Beatrice, cui mosse a questo pietoso uffizio

Lucia, nimica di ciascun crudele,

e però amica a coloro, i quali dall'altrui crudeltà sono afflitti. Ma siccome è convenevol cosa che la maniera del soccorso in tutto si confaccia alla qualità, al costume, all'arte di colui che n'è domandato; così Beatrice impose a Virgilio che lui sovvenisse colla sua parola ornata; e quindi soggiunse: Venni quaggiù dal mio beato scanno, Fidandomi nel tuo parlare onesto,

Che onora te, e quei, ch'udito l' hanno ;

il che è quanto dire: Soccorri l'amico mio con l'eletto e magnifico tuo stile; io mi confido nella eccellenza dell'arte tua, nella tua maravigliosa poesia, la quale onora te e coloro tutti che bene la meditarono. Al che consuonano le supplichevoli parole che Dante fece da prima a Virgilio:

O degli altri poeti onore e lume,

Vagliami'l lungo studio e'l grande amore,
Che m'han fatto cercar lo tuo volume.
Tu se' lo mio maestro, e'l mio autore:
Tu se' solo colui, da cu' io tolsi

Lo bello stile, che m'ha fatto onore.

Per la qual cosa io non posso convenire nella sentenza degli Espositori, i quali tennero non altro essere la persona di Virgilio nel poema di Dante, fuorchè una immagine della morale filosofia; di che non trovo fatto alcun menomo cenno in tutta la lunghezza della divina Commedia. E se a Beatrice, ch'essi fecero immagine della teologia, nel canto XXX del Purgatorio vennero dati alcuni simboli che paiono a quella scienza confacenti, ciò fu perchè dichiarando ella a Dante nel Paradiso le cose celestiali e divine, esercitò allora in verso di lui l'altissimo ministero della teologia.

Virgilio risponde al pregare di Dante, che le fiere nol lascierebbero quindi passare più oltre; ma ch' egli lo trarrebbe di quella valle per altra via, nella quale sarebbegli guida e consi glio. E che altro può ella significare cotesta via, dove Virgilio coll' arte sua debbe scorgere e soccorrere Dante, se non quello in che l'arte e la poesia maravigliosa di Virgilio avrebbegli potuto fare più sicura utilità, e più possente soccorso arrccare, cioè l'arduo e nobilissimo lavoro di un poema? Dove le divine opere di Virgilio reggendo la mente sua, e levandola a mirabile

altezza d'invenzioni, d'immagini, di concetti, di stile, sarebbero state cagione ch' egli ne acquistasse così gloriosa fama, che i suoi concittadini, vergognando avere privata di cotanto lume la patria, lui finalmente traessero dell'esilio, e nella tanto desiderata pace lo riponessero? Sicchè almeno per lo più lungo e malagevole cammino, quale si è quello della gloria, venissegli fatto di poter essere colà, dove per la via più breve e spedita, cioè per quella della giustizia, non gli era dato allora di pervenire:

Che del bel monte il corto andar si toglie.
Veggasi palesemente nei primi versi del canto XXV del Para-
diso com' egli ciò appunto sperasse dal sao divino poema :
Se mai continga che 'l poema sacro,

Al quale ha posto mano e cielo e terra,
Si che m' ha fatto per più anni macro,
Vinca la crudeltà, che fuor mi serra

Del bello ovile, ov' io dormi' agnello
Nimico a' lupi che gli danno guerra;
Con altra voce omai, con altro vello
Ritornerò poeta, ed in sul fonte

Del mio battesmo prenderò'l cappello.

Virgilio soggiugne la predetta via dover essere quella dell'Inferno, del Purgatorio e del Paradiso: con che viene esposto il subbietto del poema. E si avverta che Beatrice non fe'cenno di quella a Virgilio, ma Virgilio medesimo a Dante la prescrisse; e con questo volle il Poeta dimostrare che le opere stesse di Virgilio, e particolarmente, come io penso, il libro VI dell' Eneide, ove è narrato il viaggio di Enea all' Inferno, fe' nascere nella sua mente l'idea grande e sublime di questo

poeina.

Il quale somministrandogli opportuno e vastissimo campo a discorrere le cose politiche dell' Italia, e a dare opera, come si disse, onde ridurre i divisi animi ad un volere, per ciò ancora gli era cagione a lietamente sperare dell'avvenire. Nulladimeno egli senti che spesse volte le sue forti parole avrebbero di necessità fruttato infamia ad alcuni potenti uomini, de' quali era pericoloso lo sdegno: e sì fatto timore, cred' io, egli volle accortamente accennare a Virgilio quando gli disse:

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