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un romanzo colla regina, che inganna una povera fanciulla, e non per. amore, ma perchè un giorno potrebbe nomarsi Lady Talbot, è qualche cosa d'orrido e di schifoso. Quando la regina vorrà con una scena d'amore richiamare l'affetto del pubblico su questo suo ganzo infame, chi potrà dimenticarne l'orribile condotta? Considerato nelle sue parti diverse, questo dramma è un tessuto d' inverosimiglianze. Tuttavia non mancano alcune scene di grande affetto e ben condotte. Del resto, quanto all'accoglienza fatta dal pubblico a questo lavoro, testimonianza di cui l'autore par che si tenga nella prefazione, non mi pare da farne gran conto, se altri vorrà riandare lo spreco dei scenarii, la ricchezza delle comparse, insonima tutta la parte spettacolosa. In generale nei lavori moderni lo spettacolo usurpa l'intrinseco del dramma.

15 Giugno.

Les Burgraves trassero, a detta dell' autore, una gran folla di gente al teatro. Ciò non prova il merito di questo dramma; ma è spiegabilissimo leggendo quanto si richiegga per l'apparato scenico. Che razza d'intreccio è mai quello dei Burgravi? Qual è il carattere che può e deve cattivarsi la nostra simpatia?

Alberto e Regina sono le due creature che dovrebbero consolarci in mezzo a tanti errori; ma tutti e due non sono che lo strumento d'una mostruosa vendetta, spinta a tal punto da recar fastidio anche allo stomaco d'un ciclope. Iob, il maledetto, non è dipinto che a metà. Magno comparisce un momento e non si vede più. Hatto non fa che mostrarci la sua mala natura e viltà, e scompare, senza lasciarsi capire come ei pretendesse alla mano di Regina. Il Mendico, o Federico Barbarossa, somiglia piuttosto ad una fantasmagoria che ad un essere reale. Genevra è forse la figura meglio scolpita, quantunque anch' essa pecchi d'esagerazione.

In questo dramma di V. Hugo parmi (se non m'inganno) di scoprire una vera decadenza. A misura che l'arte manca, lo straordinario piglia il campo, lo strano prende la maschera del sublime.

Per consolarmi della fatica durata in questa lettura cerco una delle odi del medesimo autore, e mi viene sotto gli occhi quella che ha per titolo, Louis XVII, e comincia, En ces temps là. Mi pare d'una squisita bellezza. Egli dipinge la vergine anima dello sventurato fanciullo, accolta dopo la morte fra i cori degli angeli, a cui narra la storia de' suoi dolori. Les Burgraves hanno la data del 1843 e questode del 1822, V. Hugo era più poeta in quei giorni, che nel 43. Vent'anni di distanza lasciano un solco profondo, e possono inaridire anche le foglie dell' alloro, benchè rispettate dallo stesso falmine di Giove.

19 Giugno.

Quest'oggi mi è giunta stampata sull'Album l'ode all' Angelo Custod. (1) Sono versi che sentono il letto e la debolezza della malattia sofferta; ma i sentimenti ne sono veri. Il parlare di sè, il narrare altrui quanto vi passa per la fantasia è una ridicola cosa, e potrebbe essere anche una vanità. Che bisogno vi era di dire ai pochi lettori dell' Album: io fui malato, e durante il mio male pensavo a questa e a quella cosa? E al postutto, che importa che sappiano queste inezie? E pure sembrami una specie di consolazione, e non credo di avere esagerata cosa alcuna. La vanità veramente dovrebbe cessare sul letto della morte. Non dimentichiamo però che i gladiatori antichi cercavano, morendo, un atteggiamento artistico. Il meglio di tutto è raccomandarsi a Dio, e morire senza far ciancie.

Ho ragione di pensare oggi alla morte. Non abbiamo in casa un morente? È una vista veramente malinconica; ma quando l'infermo è rassegnato, come pare il caso nostro, troviamo molta consolazione. La religione non è mai così bella come quando si asside all'origliere d'un moribondo. Essa ha delle parole che gli uomini non trovano, delle speranze che ci seguono fino dentro la tomba, e ci insegnano a vincerne l'orrore.

È una coincidenza strana per me, e avrebbe un significato se fossi superstizioso. Oggi ricevo la mia ode mortuaria, il povero B.... lotta colla morte, e traduco la bellissima morte di Maria nel XII. del Klopstock!

19 Giugno.

Ho letto di questi giorni, ma dopo mille interruzioni, un romanzo della Sand, il Teverino, il quale, a detta sua, est une pure fantaisie dont chaque lecteur peut tirer la conclusion qu'il lui plaira. Non saprei ben dire quale conchiusione ne abbia tirata io medesimo, perchè la stravaganza di quest' originale di Teverino è troppo grande. Tuttavolta vi ha un incanto maraviglioso in questo racconto senza costrutto, e voi dovete seguire lo scrittore dove vuole, anche quando vi dice chiaro di avere intenzione di burlarsi di voi. Le declamazioni contro questo genere di letteratura sono assai facili, ma senza qualche cosa di straordinario non si giunge a padroneggiare l'animo di migliaia di lettori. E pure Manzoni toccando di questo punto in un suo recente scritto sul romanzo, trova molte ragioni da opporre.

(1) Ode del Cereseto composta in malattia, e stampata in quell'anno.

Leone e Sabina sono due caratteri assai bene scolpiti. È un romanzo senza incidenti, senza intreccio, e si fa leggere con piacere. Si vede chiaro che la Sand conosce perfettamente questo suo talento, e ne usa fino alla tirannia.

24 Giugno.

Quest'oggi è il mio giorno onomastico. Mi sono regalati molti fiori. Sono gratissimo ai gentili offerenti, massimamente ai miei alunni; ma la stagione dei fiori è passata per me, e di frutti non seppi darne. Misero a me, che potrò rispondere quando mi sarà chiesta ragione dei miei trent' otto anni? E pure in generale io ho fama di essere uomo È operoso. per altro sempre vera quella pittura di Fedro: Est ardelionum quædam Romæ natio elc.

(Continua)

G. B. CERESETO.

LA VITA DI GESU' CRISTO

DEL P. ALFONSO CAPECELATRO.

Sempre ch' io leggo: Iddio è in cielo, in terra e per tutto, io mi dimando se questa verità, che fanciulli imparammo a scuola e nel catechismo, è passata in atto o passerà di certo, o se veramente nella scienza, nell'arte e nella vita quotidiana usiamo di sentirla o dimenticarcene.

Dio dappertutto significa e dee significare Dio nell' astro, nel fluido che balena, nel fiorellino del campo e nell' insetto, nell' uomo, nello stato, nella storia e infine nella scienza, nella coscienza e altresì nelerrore. Ponete una cosa sola fuori di Dio veramente, e le cose si annullano, mentre negate anche Iddio. Anche gli antichi dicevano: Jovis omnia plena. Togliete all' universo, o a qualsisia parte di esso Iddio e l'unità è sparita, e con l'unità è sparito l'universo e la sua intelligibilità. Oscurato o rimosso quel centro dalle menti, non si può che andar brancolando d'una in altra apparenza, senza realità e senza meta; e chi parla ancora di scienza, scambia il simulacro e il fenomeno con l'essenza e la legge della realtà; si appaga del flusso inquieto del Anito, quando la cognizione non ha valore se non riposa nell' immutabile e nell' assoluto. La scienza umana è un infinito Perchè; e Dio

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solo con tutto il mistero della sua essenza, è la ragione infinita di quel perchè. Senza il mistero di Dio, non è solo mistero la natura, la scienza e tutto; ma è buio ed assurdo.

Priva di centro, la scienza si disperde in rivoli varii e divisi, che presumono di mantenere il nome di scienze alle parti, ma sconoscono a ogni passo la vita e l'origine comune. Ciascuna, come ramo divulso dal tronco e non più nutrita del succo vitale vegeta, al vedere, e si covre tuttavia di foglie; ma non ha più radice, e la sua vegetazione è essenzialmente parassita. Ond' hai che la politica rinnega la morale, la fisica ride della metafisica, e la matematica disprezza boriosamente ogni altra disciplina. Intanto si riducono tutte a certi termini che sono la negazione della scienza; e il dritto si converte col fatto e con la forza, l'economia predica il dominio assoluto d' un capitale, la politica cade nell' arbitrio individuale, la fisica diviene un cumulo slegato di fenomeni, la chimica un giuoco di trasformazioni molecolari, che il fornello si prova ad operare e moltiplicare ma che non spiega; e perfino le matematiche riescono a una ginnastica dell' intelletto attraente, che si applica all' industria ed all'arti della vita, ma che in se stessa deve accertarsi disperata in faccia alla nozione del punto. Avvenuta quella primordiale separazione di Dio sulla scienza, un' analisi distruggitrice si impossessa d'ogni cosa, e sgomina, sbriciola, riduce al niente ogni realità ed ogni idealità. Una critica senza criterio presume di porsi come assoluta verità, cioè di convertirsi essa stessa in dommatica senza base in luce, e la conseguenza ultima di questo moto intellettuale è uno scetticismo che assidera la scienza e la vita.

Tuttavia il nostro spirito, per le stabili leggi della sua medesima natura, sente il bisogno di ricomporre il mondo che ha fatto a brani, e di ritrovare l'unità e il centro di quell' universo scientifico e reale che gli sfugge di mano. Ma avendo capovolto l'ordine reale e logico col sostituire alla dommatica la critica, capovolge altresì nella scienza e nell' universo i termini della sostanziale relazione, e dalle categorie logiche vuol dedurre le idee, dallo spirito umano fa di generare Iddio, e dalla moltiplice fattura l' unità. Per il che, distruggendosi la relazione, si annulla l'unione, che è distinzione di termini, e si annulla l'unità vera, sostituendovi una mostruosa unificazione. La logica diventa metafisica, il pensiero umano si fa assoluto e Dio, e il moltiplice si scambia con l' Uno. Così il panteismo è l'errore per eccellenza, perchè antischema supremo del vero; e dove la verità insegna Dio dappertullo, il suo contrario proclama Dio tutto. Lo sconvolgimento totale che ne deriva è manifesto; massime nell' Hegel, il più ardito, il più severo, il più grande dei panteisti ch' io sappia. Il fatto è il diritto; l'inconscio

RIVISTA UNIV ANNO VI.

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produce la coscienza; la follia e la tenebra della religione e dell' arte si fa luce e verità nella filosofia, l'astrazione genera la realtà; e in fondo il nulla diventa Essere. L'unificazione di tutto è il barbaglio che ti fa credere un momento che tutto sia; ma l'unificazione di tutto essendo, in sostanza, negazione dell' ordine reale, e l'opposto dell' uno in tutto l'illusione di quel vasto mondo finisce in una tenebra e vanità universale.

Nulla dimeno quel tentativo è per noi indizio d'una profonda necessità de' tempi, e dello spirito umano. Se tutto è in frantumi, convien ricomporre ogni cosa; se l'immedesimazione dell' infinito col finito è l'errore, la penetrazione e l'unione dell' infinito è la verità da ristorare, se il male sta nell' aver derivato dal nulla tutto e Dio stesso, la medicina non può consistere che nel far discorrere in ogni vena dell'essere creato, dirò così, l' alito dell' Essere infinito; se infine ogni scienza si è voluta umanare ed ha negato ogni divinità, identificando Dio con l'uomo; uopo è divinizzare la scienza di nuovo, mercè un principio che leghi l'uomo à Dio, e non neghi nè l' uomo, nè Dio, nè la loro congiunzione.

Or questo principio la scienza non deve inventarlo, nè supporlo: perchè i principii o sono una realità, o non sono principii. Esso lo trova nella ragione, e nella storia. Se religione è legame di uomo con Dio, l'archetipo di questa unione è l' Uomo Dio; e ciò solo basterebbe a chiarire la verità di una religione rispetto ad altre. Il nesso del necessario e del contingente, dell' eterno e del temporaneo, dello spirito e del corpo, dell' infinito e del finito, che pur sono i problemi della filosofia e della ragione umana, è proposto, si può dire, da Dio stesso all'umano intendimento, perchè lo scuoti, e dimostri, e applichi e dilati nel cielo e sulla terra. La ragione e il perchè d' una storia ci è somministrata da un fatto, storico anch' esso, che fa della storia del nostro genere in certo modo la continuazione e la storia di Dio, legando il principio alla fine, la creazione alla gloria, il venir fuori della materia e del mondo col preterire delle forme materiali e con l'inciclarsi del mondo. Se dunque Dio è dappertutto, Cristo è dappertutto: e la scienza cristiana si ordinerà e farà mancare ogni ragion d' essere al panteismo moderno, se studierà di ritrovare in ogni cosa il Verbo umanato. Per noi infatti Cristo è, come dire, Iddio nella massima vicinanza, e conoscibilità, e intrinsechezza possibile. Dio Verbo non crea solo l'uomo, ma si fa uomo; e l'uomo non è più tanto simile a Dio quanto è un congiunto di Dio. Questo arcano connubio, senza toglier nulla veramente a Dio, lo ha spogliato di quella terribilità che, anche senza la colpa, riteneva presso gli ebrei l'essere infinitamente distante da noi.

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