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nella notte seguente il Papa rispose con una bolla di scomunica. E Pio VII n' ebbe in ricambio l'arresto nelle sue camere del Quirinale e subito l'esser condotto lontano da Roma e la prigione prima a Grenoble e poscia a Savona.

Intanto qui giova ricordare in qual guisa sentivansi cotali fatti, veramente desolanti al cuore de' cattolici, dal clero, e massime dai vescovi dei ducati. Riporterò a tal proposito le seguenti parole di A. Thiers con cui giudica i preti in generale, mettendole a confronto con altre dello stesso autore, da cui ne escirà un giusto concetto sulla condotta de' chierici in mezzo a quelle tirannie, esercitate dal governo contro al loro capo. Le clergé à cette époque.... ignorait ou feignait d'ignorer la bulle d'excommunication lancée contre Napoléon... Chose singulière! sous la pression d'un gouvernement tout-puissant, l'Église oubbliant en ce moment à quel point la puissance temporelie des pon-· tifes était nécessaire a l'independance de leur puissance spirituelle, l'Église, depuis si exigente, penchait à admettre que le Pape devait renoncer à ses Etats, et se contenter d'un établissement considerable, qui, quelque magnifique qu'on l'imaginât, ne pouvait être, après tout, que celui des anciens patriarches résidants auprès de Costantinople (1). Ma più innanzi de' vescovi chiamati a Parigi dal Bonaparte scrive: Pleins au fond du coeur d'une respectueuse compassion pour les malheurs de Pie VII, desapprouvant complétement l'abolition de la puissance temporelle du Saint-Siege (2). Laonde, il silenzio del clero contro le ingiustizie commesse dal governo a danno dei diritti religiosi non è da attribuirsi ad ignoranza, sibbene a paura, alla violenza di che il Bonaparte servivasene senza tanti scrupoli; e il coprire la deformità di quelle in Italia fu principalmente l'opera di prelati francesi ed anche di alcuni de' ducati, mossi da quelle stesse cause per cui si peritavano a manifestare la loro disapprovazione.

Perciò il vescovo Fallot de Beaumont, in que' giorni di tanta schiavitù per la Chiesa, era sollecito di pubblicare ai suoi diocesani la lettera circolare dell' imperatore, colla data 13 luglio dal campo di Zoain in Moravia, nella quale comandasi ai vescovi di riunire i popoli nelle chiese per ringraziare l' Altissimo per le vittorie di Enzersdorf e di Wagram, nella quale si bandisce che il nostro Signor Gesù Cristo, quantunque sortito dalla stirpe di David non volle alcun regno temporale, che anzi volle che si obbedisse a Cesare nel regolamento degli affari terreni. In questa lettera il generale della grande armata tra gli

(1) Histoire du Consulat ecc. T. VIII, liv. XXXVIII, p. 31 e 52. (2) Histoire du Consulat ecc. T. IX, liv. XLI, p. 120, 21.

affari di guerra, colle mani non ancora asciutte del sangue versato, si mette ad insegnare ai vescovi che il Salvatore era solo animato pel grande oggetto della redenzione e per la salvezza delle anime, ma che a sè toccavano tutti i diritti di Cesare. Promette di perseverare nella grand' opera del ristabilimento della religione e di circondare i ministri di quella considerazione, che ei solo poteva loro dare. Con siffatti sentimenti vuol far cadere nel disprezzo le opere di coloro che disapprovano la sua condotta di aver spogliato il Papa, sebbene nol nomini; opere che taccia d'ignoranza, di debolezza, di malignità e di demenza. E conclude con queste parole: Noi sappiamo che quelli i quali vorrebbero far dipendere dall' interesse degli affari temporali che periscono, l'eterno interesse delle coscienze e degli affari spirituali sono fuori della carità, dello spirito e della Religione di quegli che ha detto: Il mio impero non é di questo mondo (1). Così Napoleone scriveva alcuni giorni dopo la cattura di Pio VII, e in tempo che di ciò dovea essere informato per lettera direttagli il 6 luglio dal generale Miollis. La maggior maraviglia intorno al contegno del vescovo di Piacenza sta in ciò che inviasse lo scritto volgarizzato ai suoi parrochi, nel momento che i fedeli sentivano col più amaro cordoglio la sorte toccata al mansueto pontefice. È vero che il prelato, nella pastorale, non commenta tutta la lettera e restringesi ad encomiare la parte che tocca delle gloriose vittorie; nondimeno quel mostrare tanto ripetutamente il valore e l'aiuto di Dio nel suo eroe, se non era un approvare il resto, certamente serviva a coprirne le ingiustizie. Avrei amato raccontare eziandio in qual modo il cardinale Caselli e il vescovo Garimberti accettassero l'insegnamento imperiale, e se lo comunicassero ai loro diocesani; ma le mie ricerche non mi condussero ad altro che a stabilire che entrambi fecero festa delle due vittorie a colui che in que' giorni tormentava il capo della cristianità.

La contesa tra stato e Chiesa andava vie più manifestandosi, e forse l'anno 1810 è il più degno di considerazione nel dominio francese per i molteplici fatti compiti dal governo in danno dei diritti appartenenti alla società religiosa. Il ministro dei culti Bigot, agli 6 febbraio, scrisse ai nostri vescovi di togliere dai calendarii diocesani la festa e l'officio del pontefice san Gregorio VII, che corre ai 25 di maggio. E per ragione adduceva il rifiuto fatto dal clero di Francia nel 1730 agli ordini della Congregazione dei riti che fissava la festa di quel santo. Ed encomiava i membri di quel sacerdozio nazionale, il

(1) Mi sono servito della traduzione pubblicata dal sunominato vescovo, a cui ei aggiunse pure il testo francese. (Pastorale 31 luglio 1809).

quale, fattosi giudice superiore alla prima Sede, e tacciando d'inconsiderato e di eccedente tutti i limiti verso il potere secolare e di fonte a dissensioni lo zelo di Ildebrando, nol volle venerare sugli altari. Quel gran papa fu sempre un' ombra di terrore ai principi nemici delle libertà ecclesiastiche, e se essi avesser potuto, quanto volontieri avrebbero scancellato la memoria delle sue gloriose gesta e del suo intrepido coraggio. Nei ducati si obbedì al comando e da questo tempo sino alla caduta del governo forestiero ne' calendarii sotto il giorno 25 maggio, fu omessa la festa di s. Gregorio ed in sua vece si notò quella di sant' Urbano. Lo stesso fecesi nell' abbazia di Guastalla unita al regno italico.

Chi imperava, anche tiranneggiando, voleva apparire largo di libertà. Da ciò venne il decreto dei 28 di questo mese, il quale eccettuava dal sindacato governativo i brevi della penitenzieria pel foro interno. Ma il personaggio dall' autorità del quale escono siffatte carte tenevasi prigioniero e vegliato in tutto. Si largheggiò un poco coi vescovi, vincolando meno il diritto di ordinare: e si abrogò l'articolo delle leggi organiche, il quale stabiliva i vicarii generali nella stessa giurisdizione, anche dopo la morte del vescovo che li aveva eletti, sino alla venuta del successore. Forse compivasi tutto ciò, affinchè i popoli dicessero: vedete, Pio VII resiste all' imperatore, che sostiene i vescovi e riconosce i canoni. Passati pochi giorni da queste lievi concessioni, uscì un decreto imperiale che dichiarava legge dell' impero l'editto di Luigi XIV, risguardante la dichiarazione del clero francese intorno alle libertà gallicane, conseguenza legittima del senatus-consulto 30 gennaio. Il ministro de' culti, fu sollecito di darne nolizia a' vescovi de' ducati. È oggetto interessantissimo del mio lavoro il narrare come da noi si accogliessero e si adempissero ordini così fatti. I tre prelati del dipartimento del Taro proposero ai loro seminarii d'insegnare i famosi articoli del 1682, dove negasi i' infallibilità del papa, la supremazia del concilio sul papa e si definisce il potere de' principi indipendente da ogni censura dell' autorità religiosa, o meglio dove togliesi l'infallibilità al capo della Chiesa per darla in diritto e in fatto al sovrano. Insegnamento aulico, che nel secolo scorso aveva negli stati Parmensi fautori segnatamente intorno alla parte che concerne il potere politico, perchè tenuto d' immediata origine divina: ma che al principio del nostro vi trovò ben pochi, i quali con convinzione o in tutto o in parte l'abbracciassero. Dissi che i nostri vescovi proposero ai loro seminarii l'insegnamento delle proposizioni gallicane, e non che vel mettessero obbligatorio, sebbene in quest' ultimo senso fossero gli ordini del governo. Perocchè Fallot de Beau

RIVISTA UNIV. ANNO VI.

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mont, giudicato troppo severamente dal cardinal Pacca (1), avendo ricevuto il dispaccio ministeriale ne fece prender nota: ma consenti che si continuasse a sostenere ne' due suoi seminarii, sopra tal punto, la dottrina comune alle scuole d'Italia, ed anche assistè ad alcune tesi difese da' suoi seminaristi intorno all' infallibilità del papa, e aggiungendo esser lui pure dello stesso pensare e credere che il Salvatore non avrebbe provveduto sufficientemente al bene della Chiesa, se ei non avesse concesso il privilegio dell' infallibilità alle decisioni dogmatiche del suo capo (2). Intorno a siffatto insegnamento il vescovo di Borgo S. Donnino rispose al ministro che il professore di teologia del suo seminario si sarebbe dato ogni premura di fare, entro l'anno scolastico, l'esposizione della dottrina contenuta nei quattro articoli del clero gallicano. Dal che apparisce che nella Chiesa fidentina i placiti regalisti non furono insegnati ai chierici che come storia; e così pure mi accerta persona che studiava colà teologia in quel turno sotto il dotto e piissimo don lacopo Pellegri.

Ei pare che il vescovo di Parma Caselli fosse il più cedevole alle dottrine governative, dacchè raccontasi aver lui messo l'insegnamento delle famose proposizioni nel seminario di Parma subito dopo il decreto, che univa le nostre chiese a quella di Francia. Chi lo scusa, dicendo che forse fu indotto a ciò dalla voce allora sparsa che il Papa avesse promesso di eguagliare le diocesi de' ducati alle francesi (5). Ma il vero motivo io giudico che fosse il timore che a lui incutevano le voglie dell'imperatore. Ed una pruova di questa sua timidezza d' animo si ha fino nel 1801, quando da teologo assisteva Consalvi e Spina, rappresentanti a Parigi della santa Sede nell' aggiustamento colla Francia: circostanza, in cui egli a fronte della prepotente volontà del Bonaparte era pronto a cedere nelle ragioni della Chiesa, ben più che non avrebbe voluto il negoziatore principale Consalvi (4).

In questo frattempo Napoleone non solo come monarca turbava le amichevoli relazioni, che dovrebbero esistere tra Chiesa e stato; ma eziandio come privato colla sua condotta arrecava afflizioni alla prima. Il suo amore verso la moglie Giuseppina non restava appieno soddisfatto, perchè la medesima non gli dava figli per succedergli nell'impero, e perchè traevasi la gelosia e l'invidia de' parenti del marito; onde egli studiò modo di disfarsene cercando di mostrar nullo il ma

(1) Memorie storiche p. 3. C. VIII p. 183, ed. 7a it. Benevento 1833.
(2) L'ami de la religion n. 2743 jeudi 8 décembre 1836 p. 471.

(3) Semeria Storia Ecclesiastica di Genova p. 455.

(4) Consalvi Mémoires T. I, p. 370-71.

trimonio stretto con lei. Nella commissione ecclesiastica di sette vescovi, incaricata dall' arcicancelliere Cambacères di esprimere il proprio parere, se l'officialità diocesana era autorità competente per giudicare nullo il legame tra il Bonaparte e la Beauharnais, fuvvi anche il vescovo di Parma, il quale insieme a' suoi compagni affermò in favore della competenza del tribunale, per siffatto affare creato e compartito in diocesano, metropolitano e primaziale. Al dire di Thiers e de' giornali officiali parrebbe che dal comitato, cui apparteneva Caselli, si discutessero eziandio i motivi che favorivano la competenza. Cioè che se lo sciogliere un matrimonio regolare colla mira di un grande interesse di stato competeva alla sola autorità del papa; in un matrimonio irregolare, come nel caso in cui trattavasi, bastava l'autorità diocesana. Che la cerimonia nascosta, fatta nell' oratorio delle Tuileries, per congiungere religiosamente Napoleone e Giuseppina, senza testimonii, senza il proprio parroco, senza consenso reciproco delle parti contraenti non poteva, checchè ne dicesse il cardinale Fesch, costituire un matrimonio regolare. Che adunque si dovea procedere all' invalidazione per difetto di forma presso l'officialità diocesana in prima istanza, e in ultima presso la metropolitana e primaziale. Ma il dotto e pio abbate Émery, scrivendo ad un suo parente, tramandò che nell' ecclesiastica commissione non si svolse che il quesito della competenza e che i membri di essa dissero che la sentenza intorno all' invalidità del matrimonio, come i motivi non furono proposti alla loro deliberazione. Con tutto il rispetto a testimonianza così autorevole, non si può presumere che i cardinali Fesch, Maury e Caselli, e l'arcivescovo di Tours e i vescovi di Nantes, d'Évreux, di Trèves e di Vercelli giudicassero della competenza senza almeno indirettamente toccare delle ragioni opportune a mostrare invalido il primo matrimonio di Napoleone. Perocchè se le cause matrimoniali de' principi anche in Francia erano devolute alla santa Sede, per sentenziare che quella dell' imperatore potevasi trattare davanti ad un tribunale paesano, conveniva non solo esaminare l'estensione del potere proprio all' officialità ma ben anco la natura della

causa.

Avendo un' accolta de' vescovi, dopo l'annullazione in senato del matrimonio civile, e sotto l'impressione del timore e del comando governativo, giudicato l'affare nella maniera suddetta, non deve far maraviglia che il novello tripartito tribunale s' appigliasse con maggior servilità per rispetto alle parti a sentenziare infine nullo siffatto matrimonio non per mancanza di consenso, bensì per mancanza di testimoni e del proprio parroco de' contraenti. Caselli e i suoi colleghi e i membri delle tre officialità non doveano ignorare che i papi avevano a sè

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