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rico, dopo questa legazione, passò in Inghilterra; quindi, sotto Eugenio III, in Francia, ove mori a Verdun, nel 1448. San Bernardo, abate di Chiaravalle, che gli fu compagno in quest'ultima legazione, lo tenne in si alta stima di santità, che celebrando pel suo funerale il divino sacrificio, quando giunse alla preghiera pei defunti, vi sostituì quella invece d'invocazione ai santi confessori. Nell' anno stesso la chiesa di Ostia fu provveduta di pastore nella persona di GUIDO II, che non la governò due intieri anni, e che d'altronde fu l'ultimo cardinale vescovo del titolo di Ostia soltanto; il suo successore incominciò la serie dei vescovi di Ostia e Velletri. Già sin dal 1446 o 17, il papa Pasquale II, vedendo la città di Ostia pressochè spopolata e distrutta, aveva tralasciato di dare il vescovo a Velletri, e col solo titolo di Ostia affidava in cura allo stesso prelato ambedue le chiese. Perciò dal vescovo Lamberto, che nominai di sopra sino a questo tempo, Velletri ed Ostia ne formavano una sola. Tuttavolta era necessaria una pontificia determinazione, che le unisse canonicamente, e questa avvenne sotto il papa Eugenio III, il quale non volle che rimanesse abolito il titolo di Velletri, nè soppressa quella cattedrale: la uni ad Ostia, e si che il cardinale vescovo di Ostia per l'antica sua dignità e preminenza nel sacro collegio portasse prima il titolo di questa e poi di quella; fosse quindi denominato vescovo di Ostia e Velletri.

E poichè di qua incomincia la canonica unione delle due chiese, perciò credo necessario interrompere un istante il mio narrare di Ostia, acciocchè gli avvenimenti di Velletri possano avere il loro luogo prima ch' io proceda oltre coi passi a dar notizie dei tempi in cui, amministrate da un solo pastore, devonsi queste chiese come una sola cosa considerare.

VELLETRI

Tra le antichissime città de Volsci ebbe rinomanza quella di VELLETRI, detta da loro Velitrae, popolata già da una colonia romana. Sino dall'anno di Roma 260 si mostrò Velletri intollerante del giogo della metropoli, a grado che tutti i suoi abitanti vennero trasportati a Roma e, col nome di gens transtiberina, ne andarono a popolare la parte di là del Tevere; e sono eglino i moderni trasteverini, celebri per ardimento e fierezza (1): nel terreno dei loro senatori furono mandati novelli abitatori a popolare la città ed a formare una nuova nazione. Di ciò parla Tito Livio così: « In Veliternas, veteres cives romanos, quod toties rebellassent, graviter >> saevitum, et muri dejecti, et Senatus inde abductus, jussique trans » Tiberim habitare, ut ejus, qui extra Tiberim deprehensus esset, usque » ad mille pondo clarigatio esset, nec priusquam aere persoluto, is, qui » cepisset, extra vincula captum haberet. In agrum Senatorum coloni missi, quibus adscriptis speciem antiquae frequentiae Velitrae recepe» runt. » E per dir brevemente anche dell' origine di siffatta insubordinazione di Velletri alla romana padronanza, noterò con Svetonio, averne dato occasione un fulmine, che caduto dalle nubi danneggiò le mura della città. Interrogatone l' oracolo, ebbero i veliterni la risposta, che sarebbe venuto un dì, nel quale la loro città detterebbe leggi a tutto il mondo: a questo vaticinio affidati azzardarono di scuotere il giogo romano ed invece affrettarono il proprio eccidio. Svetonio in siffatto avvenimento scorge preconizzata piuttosto la futura grandezza di Velletri nell' essere la patria di Ottaviano Cesare Augusto, il quale stese si ampiamente il dominio di Roma e per ben quarantasette anni fu pacifico padrone di questa città.

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(1) Italia descritta e dipinta, tom. 11, Torino 1837, pag. 9.

Eccone le sue parole: (1) « Velitris antiquitus tacta de coelo parte muri, » responsum est, ejus oppidi civem quandoque rerum potiturum: qua » fiducia Velitrini et tunc statim et postea saepius paene ad exitium sui » cum populo romano belligeraverant: sero tandem documentis apparuit, » ostentum illud, Augusti potentiam portendisse. » Ma non più di Velletri pagana; se ne parli dai giorni primi del cristianesimo.

La sua vicinanza a Roma ci fa ragionevolmente presumere, che la voce del principe degli apostoli per la prima volta le annunziasse la religione di grazia, le recasse l'evangelio di pace. Essa egualmente che le altre città della Campania, cospicue allora e popolate, distrutte adesso e deserte, fu più volte nelle persecuzioni pagane innaffiata del sangue dei suoi valorosi figliuoli, che glorificarono col martirio la fede e il nome di Gesù Cristo. Varie chiese in tempi più tranquilli furono fabbricate: la primaria, ossia la cattedrale, chiesa di gotico stile, è intitolata a s. Clemente papa martire, ristaurata più volte dai vescovi. Anche monasteri e luoghi pii decorano la città e rendono testimonianza alla pietà e alla religione dei veliterni.

Pretendesi, che la sede vescovile di Velletri conosca stabile il suo principio dacchè l' apostolo s. Pietro vi mandò Epafrodito, uno de'settantadue discepoli, da lui consecrato vescovo di Tarracina, a rassodare nella fede ed a fregiare di sede episcopale anche questa città. Tuttavolta non si trovano traccie sicure di pastori, che ne reggessero lo spiritual gregge, prima dell' anno 464. Vero è, che Teolo (2) racconta, aver s. Clemente, prima di esser papa, governato la chiesa di Velletri in qualità di suo vescovo; ma non so quanta fede si possa prestare a questa narrazione, non abbastanza appoggiata su ben considerati argomenti. Bensi è certo, che in sul cadere del primo secolo cristiano veniva eretto dalla pietà dei fedeli un tempio al Salvatore Gesù Cristo: del che rende testimonianza l' erudito Ughelli scrivendo sui vescovi di questa chiesa (5). Il cospicuo capitolo della cattedrale di Velletri è decorato di un prevosto, che n'è la prima ed unica dignità. La chiesa di santa Maria detta della Piazza è la più considerevole dopo la cattedrale. Per semplice erudizione piacemi ricordare

(1) Sveton. lib. 11, cap. xv, num. 94. (2) In Theatr. Histor. Veletren., part. 2, cap. 4.

(3) Ital. Sacr. tom. 1.

l'antica ed alta torre delle campane, la quale sorge isolata nella maggior piazza della città, ed è piantata sopra base quadrata, degna d'esser veduta.

Di ventiquattro vescovi si conoscono i nomi, prima che Velletri andasse unita con Ostia: ma la loro serie, siccome dissi, non precede l'anno 464. In quest'anno infatti il papa sant' Ilario tenne in Roma un concilio, nel mese di gennaio, nella basilica di santa Maria maggiore, alla presenza di quarantotto vescovi, per inculcare l'osservanza dei canoni stabiliti dal concilio ecumenico di Nicea. ADEODATO di Velletri è il vigesimo nono tra le sottoscrizioni di questi vescovi. Gli venne dietro un BONIFACIO, di cui trovasi il nome negli atti del concilio romano tenuto dal papa Felice II in marzo del 487. Dopo di esso ebbe la chiesa di Velletri quel BONIFACIO II, da cui Ughelli incomincia la serie dei vescovi di qui; e lo dice intervenuto al concilio romano di Simmaco nel 499. Circa il quale Concilio, Lucenzio fa una osservazione, che riesce di onore alla chiesa veliterna e che ci mostra la sua cospicuità; perciocchè, mentre tutti gli altri nomi dei vescovi sono posti con ordine alfabetico, il nome di Bonifacio di Velletri, dopo quello di Celio Rustico, vescovo dell'antica chiesa di Minturna, segue immediatamente il nome del papa. Di breve durata sembra che fosse il governo vescovile di Bonifacio, perchè dal Baronio (1) ci viene fatto conoscere il successore di esso nella persona di SAN SILVANO O SILVIANO O SILVINO, che assistette al terzo, al quarto, al quinto e al sesto sinodo dello stesso papa, e che nel martirologio romano è registrato sotto il giorno 10 febbraio. Potrebbe per altro nascere il dubbio, se questo santo vescovo appartenesse veramente alla sede veliterna, non trovandolo nominato che colla semplice qualificazione di vescovo della Campania. Ma lo stesso Baronio risponde a questa difficoltà, facendo avvertire, che non trovandovi alcun'altra indicazione, lo si deve assolutamente ritenere come vescovo di Velletri; perchè, sebbene ai Volsci appartenesse in antico questa città, nei tempi cristiani però invalse l'uso di chiamarne la sua provincia non più col nome dei Volsci, ma con quello di Campania. Lo dimostra egli anche dalle sottoscrizioni di un concilio posteriore, tenuto dal papa Agatone, ove il vescovo Placenzo è detto vescovo di Velletri della provincia di Campania. Se ne rechino a maggiore dimostrazione le sue parole medesime: « Quod autem hic fuisse ponatur episcopus in Campania,

(1) Nelie note al Martirologio romano.

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» nec cujus fuerit civitatis episcopus declaretur, in re ambigua quid di» camus non habemus; nisi quod invenimus claruisse temporibus Sym» machi papae Sylvianum sive Sylvinum episcopum veliternum, qui inter» fuit romanis conciliis tunc adversus schismaticos habitis. Sciendum » praeterea, quod licet ea civitas in Volscis ponatur ab antiquis, ut Liv. » lib. 2, Dionys. lib. 7, et aliis, obtinuit tamen loquendi usus, ut eadem » provincia et Campania diceretur. Probant haec acta synodica romani » concilii sub Agathone, in quibus subscriptus reperitur: Placentius epi» scopus veliternus provinciae Campaniae. » E questa maniera di sottoscrizioni la si trova usata frequentemente anche dai vescovi di altre chiese; come in seguito mi verrà più volte occasione di narrare.

Dopo il quale Silvano, un vuoto ci si presenta di quasi novant'anni senza che si sappia chi n'abbia posseduto la sede. Potrebbe questa essere anche rimasta vacua, e potrebbero forse essersi smarriti i nomi dei pastori che la possedettero. Ai tempi finalmente di s. Gregorio magno trovasi la chiesa veliterna provveduta di un GIOVANNI, a cui lo stesso papa diresse due lettere: esse giovano alquanto alla storia di questa chiesa (1). Nel 592 moveva Airolfo, duca di Spoleti, contro Romano, esarca di Ravenna, e gli disputava il possesso di Roma e delle terre e provincie circostanti; anche i Longobardi si avanzarono sulle possessioni pontificie e ridussero a grandi angustie tutte le città, che attorniavano la metropoli, le distrussero, ne ammazzarono o ne imprigionarono gli abitatori. Di queste sciagure così parlava il santo pontefice (2): « Ubique luctus aspicimus: ubique gemitus » audivimus, destructae urbes, eversa sunt castra, depopulati sunt agri, >> in solitudinem terra reducta est. Alios in captivitatem duci, alios detrun» cari, alios interficere videmus. » Ora il santo pontefice, prevedendo sino dalle prime loro mosse tali avvenimenti funesti, scriveva al vescovo di Velletri, e lo avvisava a porsi in salvo dalla sciagura, che sovrastava a lui e alla sua chiesa; abbandonasse perciò la città di Velletri e si trasferisse al luogo dedicato a sant' Andrea in Arenara, finchè la procella fosse intieramente cessata. Giova recar qui l'intiera lettera del santo pontefice, a migliore soddisfazione di chi ama vedere le cose nella genuina lor fonte, ed a più estesa notizia del fatto.

(1) Lib. 11, lett. 11 e 33, al 50.

(2) Homil. 6, lib. 11.

Vol. 1.

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