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fiziale; a meno che non si vogliano spingere le cose tant'oltre da affermare la stessa cosa della Grecia.

Giunto al termine di questo qualsiasi discorso, col quale ho cercato di designare alla meglio l'importanza della metrica per lo studio della poesia romana, io mi rivolgo particolarmente a quelli fra gli studenti che vogliono dedicarsi con ispeciale amore alle lettere latine, esortandoli a non voler dimenticare uno studio giustamente apprezzato e favorito dalle nazioni ove maggiore è la coltura e la seria operosità letteraria. Quanto a me, consacrando una lezione su tre per settimana ad un commento metrico de' poeti latini e specialmente di Orazio, ho cercato di colmare, per quel tanto che mi permettono le mie deboli forze, una lacuna da lungo tempo esistente nell'insegnamento superiore in Italia. Mi reputerò fortunato se, continuandomi voi il vostro cortese favore, potrà il mio insegnamento non riuscire affatto inutile agli studiosi della letteratura latina.

Il nome di Virgilio

(1883)

Dalla prima edizione del libro Le Georgiche di Virgilio commentate. Parte Prima. Libri I e II. Torino, Ermanno Loescher, 1884, PP. XVII-XIX.

Farà forse meraviglia a non pochi il vedere da me scritto in italiano Virgilio ed in latino Vergilius. Per non essere tacciato di contraddizione darò brevemente la ragione di questa differenza tra la forma italiana e la latina; nè sarà, spero, tempo sprecato, quando si pensi quanto scalpore si meni ancora fra noi contro la forma Vergilius che per opera mia appare la prima volta, se non erro, in un'edizione italiana.

Io distinguo nel nome del poeta mantovano la forma genuina e, per così dire, primigenia da quella che ci si presenta nell'estremo periodo storico della lingua latina sino allo sviluppo delle lingue neo-latine o romanze. Imperocchè non trovo ragionevole lo introdurre nella lingua classica del Lazio una forma che le era certamente estranea; e per converso non vedo perchè debbasi bandire dalla lingua che parliamo oggidì una forma consacrata dalla tradizione secolare italiana, una forma la quale appartiene a quello stadio della lingua latina da cui venivano mano a mano svolgendosi per processo in gran parte evolutivo novelli idiomi. La qual cosa fu anche praticata in Germania da parecchi filologi; ed il Ritschl, il quale scriveva in la

tino Vergilius, si domandava se non avremmo noi il diritto di usare in una lingua moderna la forma ad ogni modo popolare che si svolse da Virgilius (1). Resta a dire perchè si debba in latino scrivere Vergilius.

Lascio da parte ogni questione spettante ai glottologi (2), per limitarmi ai documenti e monumenti più antichi in cui si legge la forma da me adottata. Già nel secolo XV quell' insigne umanista, che fu Angelo Poliziano, si convinse che per la testimonianza di antichissimi codici ed iscrizioni si doveva dire Vergilius, e scrisse a questo proposito un dotto ragionamento (3) a cui rimando tutti quelli, e sono ancor molti, i quali di certe novità, come le chiamano, accagionano i filologi tedeschi veramente incolpabili di aver scagliato la prima pietra contro il medievale Virgilius. Fu il Poliziano che lesse la forma Vergilius nel codice archetipo fiorentino delle Pandette; come nel codice Romano delle

(1) Opusc. philol., vol. II, 1868, pp. 781, 782.

(2) Accennerò qui solamente al fatto che Vergilius sta a Vergiliae, come Quintilius, Sextilius sta a Quintilis, Sextilis (mensis), significando un uomo nato verso il tempo del sorgere delle Vergiliae (Corssen, Ueber Ausspr. etc., Leipzig, 1870, vol. I, p. 544). Ora che Vergiliae e non Virgiliae si dicesse, lo provano Festo (de verbor. signif., p. 372, ediz. O. Müller) ed Isidoro (Orig., III, 70, p. 910 in Auctores latinae linguae etc., 1621).

(3) Liber miscellan. in Politiani Opera quae quidem extitere hactenus, omnia etc., Basileae, MDLIII, cap. LXXVII, pp. 286, 287.

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