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Studiare la poesia di un popolo allo scopo di trovarvi per entro il riflesso della sua coscienza, di udir quasi l'eco de' suoi sentimenti, de' suoi affetti, delle sue passioni; allo scopo di scoprirne gl'interessi ideali, di ricostruirlo insomma psicologicamente tal quale fu nella storia, è uno dei principali intenti della critica moderna. La quale, considerando che il gusto dell'arte è altrettanto naturale all'uomo quanto l'istinto della propria conservazione, ha veduto che quella non è altrimenti da riguardarsi come un portato artificiale di società raffinate o corrotte, come taluno si piacque di chiamarla, ma bensì come un prodotto spontaneo, immediato e necessario dell'attività umana (1). L'arte ha accompagnato dalla sua culla l'umanità; e questa imprimendovi ovunque ed in ogni tempo i segni delle proprie energie ideali, le ha confidato la parte migliore di sè, il pensiero, che, perpetuandosi nelle forme di essa, può, quale specchio fedele della vita, offrire non pochi sussidi allo studioso della storia

(1) E. Véron, L'Esthétique, Paris, C. Reinwald, 1878 P. 34.

ed a chi cerca faticosamente di instituire una psicologia dei popoli.

Ora, fra le arti, quella che ha un dominio maggiore per l'estendersi che fa ad ogni specie di sentimenti e, direi quasi, ad ogni ordine di idee, è la poesia. La superiorità di quest'arte sulle altre è un fatto universalmente riconosciuto, perchè essa può, sotto un certo rispetto, tener luogo di ciascuna di quelle, i cui limiti sono incomparabilmente più ristretti. Ecco la ragione per cui, più che nella scultura, nella pittura, nell'architettura, nella musica d'un popolo, possiamo nella poesia discoprirne la vita intima, vederne, analizzarne quasi il pensiero e ricomporne la figura. Ecco la ragione del tanto affannarsi di dotti per chiarire le origini delle varie letterature, le quali, come ognun sa, cominciano tutte colla poesia, perchè è questa la prima forma sotto la quale lo spirito colpisce il vero (1), perchè la vita del sentimento, che vi si specchia, precede sempre di parecchi secoli la vita intellettuale propriamente detta, donde trae origine la prosa artisticamente configurata.

Prendiamo a considerare un istante le origini della poesia romana, intorno alle quali molto hanno lavorato i moderni, specialmente i dotti tedeschi, e che dovranno essere uno degli argomenti dei nostri studi. Dirò subito che è

(1) Hegel, Cours d'Esthétique, analysé et traduit en partie par M. Ch. Bénard, Paris, 1840-1852, vol. IV, P. 151.

grande sventura per noi il non esserci pervenuto della poesia romana altro che pochissimi e talvolta insignificanti frammenti, sui quali mal si potrebbe fondare una storia compiuta ed esatta dell'evoluzione dello spirito poetico romano. S'aggiunga che le incertezze stesse sempre esistenti, malgrado gl'immensi studi fatti dai moderni, riguardo alle origini di Roma ed alle prime manifestazioni della sua vita, conferiscono non poco a tenere ancora quasi nel buio la questione del cominciamento e dello sviluppo successivo della poesia romana. Tuttavia, e studiando con attenzione quelle scarse reliquie, e tenendo conto delle indicazioni che gli antichi. scrittori ci diedero della primitiva poesia in Roma, possiamo giungere ad una conoscenza relativamente precisa delle condizioni dello spirito romano nei primi cinque secoli della città. Ritenere la letteratura e quindi la poesia romana siccome cominciante solo nel VI secolo sarebbe un vero errore, quale sarebbe il credere che la letteratura italiana abbia soltanto avuto principio da Dante o anche, risalendo più su, dalla scuola siculo-provenzale o da quella di Bologna, senza tener conto del lavorio intellettuale anteriore che rese possibili i canti di Federico II, di Odo delle Colonne, di Guinicelli, di Ghisilieri e la Divina Commedia. Imperocchè, come ben osserva il Tamagni (1), non proce

(1) Storia della letteratura romana continuata da Francesco D'Ovidio, Milano, Vallardi, p. 15.

dendo mai la natura per salti, niuno vorrà credere che la letteratura sorgesse improvvisa in Roma, così come si favoleggia di Minerva che uscì armata di tutto punto dal cervello di Giove; si bene è naturale il pensare, che in questo sì lungo tempo si venissero a poco a poco preparando gli animi e le cose a riceverla e farla prosperare.

Ora che questa sia per l'appunto la verità, ce lo dicono i frammenti dei carmi saliari, del carme arvale, delle iscrizioni sepolcrali, di poesie didattiche ed altre reliquie delle quali, fra molti, dottamente scrisse il Corssen nel suo aureo libro Origines poesis romanae (1). Da questi pochi avanzi si può intendere quale fosse lo spirito poetico de' primitivi Romani. Dei quali si vede quanto povera fosse l'immaginazione, senza cui non v'ha forza di volontà e pazienza di studio che possa creare una vera e grande poesia. In quegli abbozzi informi che dei loro carmi ci rimangono, tu vedi degli uomini impotenti a convertire le sensazioni della natura in fantasmi poetici (2), degli uomini il cui pensiero si determina sempre all'utile ed al necessario (3); tu vi trovi una tendenza pratica spiccatissima, consentanea precisamente al loro carattere grave, fermo,

(1) Berolini, Gust. Bethge, MDCCCXLVI.

(2) Trezza, Origini del dramma romano in Nuovi studi critici, Verona-Padova, 1881, p. 24.

(3) Patin, Études sur la Poésie latine, Paris, Hachette, 1869, Tom. I, p. 36.

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