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assai lenta, se non interveniva una causa potente ad accelerarne il progresso. Questa causa è l'idea cristiana. Era impossibile che il sentimento cristiano profondamente intimo e spiritualistico potesse adattarsi alle forme dominate dalla quantità. Sotto l'influenza del cristianesimo la versificazione più non poteva mantenersi indipendente dal pensiero, siccome avveniva della metrical classica, dove la misura non era determinata dal senso, dalla significazione delle parole (1), che si spezzavano, direi quasi si dimezzavano, nel movimento generale del ritmo; dove la distinzione delle lunghe e delle brevi, l'accento ritmico, le dieresi e le cesure, da cui nasce la vita e la varietà del verso, si appoggiano sul lato materiale del linguaggio invece di lasciarsi determinare, giusta l'espressione Hegeliana, da un'intonazione superiore, in virtù della quale, predominando il senso spirituale delle parole, si stabiliscono tra l'idea e la forma certi rapporti d'armonia che improntano naturalmente la voce appoggiandosi sulle sillabe significative più fortemente che sulle altre (2). Di qui il predominio dell'accento. < Est accentus, ut quidam recte putaverunt, velut anima vocis », dice Diomede (3): l'accento è qualche cosa di delicato, di spirituale, di superiore quindi alla materialità delle lunghe e delle brevi, e,

(1) Hegel, op. e vol. cit., p. 235.

(2) Du Méril, op. cit., p. 65.

(3) Art. Gramm., lib. II (in Grammatici latini, ex recens. H. Keilii, vol. I, p. 431; in Putsch, p. 426).

come elemento di vita, facendo spiccare, come si è detto, la sillaba più significativa, toglie al ritmo il suo carattere puramente musicale, legandolo invece al pensiero, al movimento delle idee. Col prevalere quindi dell'accento e colla caduta della quantità s'invertirono i termini. Nell'antichità pagana avveniva della versificazione ciò che era della musica; vale a dire non si vedeva che un meccanismo, un accordo quasi di spedienti aventi per carattere proprio, per qualità inerente, di comunicare all'anima una tale o tal altra impulsione (1): non era il sentimento che generava il verso, ma questo generava quello: l'effetto esteriore si sostituiva perpetuamente alla causa interna. Ciò non poteva più aver luogo sotto il dominio del cristianesimo. Il pensiero doveva trovare un modo d'espressione che meglio corrispondesse alla sua natura divenuta più intima e spirituale, spogliandosi, in certa maniera, di ciò che era puramente corporale nel linguaggio e facendo meglio spiccare l'elemento ove risiede la significazione, e lasciando divenire insignificante il resto (2). Inoltre, come conseguenza naturale dello spiritualizzarsi del sentimento, della sua maggiore intimità, onde s'informa la nuova poesia, lo spirito si compiace di ripiegarsi in sè, di sentire se stesso nei propri suoni, nel loro ritorno sistematico, si compiace di riscontrare la

(1) Véron, op. cit., p. 354.

(2) Hegel, op. e vol. cit., p. 236.

loro identità, perchè in questo ritorno, in questo riconoscimento dell'identità dei suoni, l'io prende coscienza di se stesso, si riconosce e si soddisfa in un riflesso della propria attività (1). Di qui la rima, elemento che si può dire affatto estraneo alla poesia classica, dove solo si trova come un triste giuoco di spirito o un malaugurato caso (2).

Per tal guisa sotto l'impero romano venivano man mano estinguendosi le differenze della quantità, mentre al tempo stesso tanto maggior significazione acquistava nella pronuncia l'accento delle sillabe, sì che, osserva il Christ, gli scarpellini, i quali riportavano nella scrittura il tono così come coll'orecchio lo percepivano, frequentemente, in luogo di un O accentato, ponevano un sulla pietra (3). Innanzi tutto cominciò a venir meno la distinzione delle sillabe lunghe per posizione (4), distinzione che è senza dubbio

(1) Hegel, op. e vol. cit., p. 245.

(2) Du Méril, op. cit., p. 80.

(3) Op. cit., § 437, P. 373.

(4) Ho detto sillabe lunghe per posizione e non vocali lunghe per posizione, poichè ben disse Luigi Havet che è un errore "croire que l'expression longue par position peut s'appliquer à la voyelle elle-même et non à la syllabe, (in Mémoires de la Société de Lingui stique de Paris, tom. IV, fasc. I, pp. 21 e 22). Vedi anche Ch. Thurot, De l'emploi des mots OEZEI, POSITIONE en Prosodie, in Revue de Philologie, de Littérature et d'Histoire anciennes, Paris, année et tome IV, P. 92 e seg.

ciò che v'ha di più delicato nella quantità (1); poi man mano le licenze si estendono anche alle vocali lunghe per natura, tanto che, leggendo gli scritti stessi dei grammatici degli ultimi secoli, ci convinciamo che in essi fosse spento affatto il senso della quantità. La quale, anche senza venir propriamente agli ultimi secoli, ci risulta essere stata messa in disparte dalle canzoni popolari e dalla Chiesa in particolar modo, poichè questa non si rivolgeva semplicemente alle classi colte, presso cui teneva ancor fermo la poesia classica per procedimento riflesso, ma a tutto il popolo, e col dar prevalenza al nuovo principio di versificazione prendeva zelantemente l'occasione d'aprire un abisso tra' suoi inni e gli antichi canti pagani (2). Si formò quindi per uso del popolo e della Chiesa una metrica nuova, nella quale, oscuratasi la cognizione delle regole di prosodia, i poeti si contentavano di riprodurre soltanto l'andamento e le cadenze dei metri classici (3).

Vero è bensì che accanto a questa nuova poesia stava ancora in piedi, durante l'impero, la poesia classica colla sua metrica; ma ho detto che teneva fermo per procedimento riflesso, vale a dire non perchè fossero naturalmente sentiti dai poeti i valori prosodici di cui si servivano,

(1) Benlow, Précis etc., p. 60; Weil et Benlow, Théorie générale etc., p. 254.

(2) Christ, op. e § cit.

(3) Tamagni, op. cit., p. 308; Zambaldi, op. cit.,

P. 18.

ma perchè ne studiavano la natura nelle opere dei grammatici, dove sovente i precetti erano falsi, futile ed assurda la dottrina (1). Così Ausonio e Prudenzio, per non nominar altri, si lasciano sfuggire nel verso errori di quantità di cui non si ha esempio nel periodo classico. Ad ogni modo questa poesia non ha più fondamento sulla natura dello spirito poetico romano, è una poesia d'artifizio, è già, per usare di questa espressione, divenuta un fossile della storia. Lo spirito poetico evolvendosi rapidamente è passato innanzi creandosi una forma nuova adattata alle nuove proprietà che s'è venuto acquistando nel suo trasformarsi.

Non posso più oltre dimorare su questo tema perchè mi fa difetto il tempo. Spero tuttavia che quel poco, che ho detto, abbia potuto dare un concetto del come la caduta della metrica antica ed il sostituirsi ad essa di un'altra con principii di gran lunga diversi, sia un fatto organico, talmente organico che, se la poesia puramente ritmica s'introdusse nella letteratura latina con Commodiano di Gaza, vissuto nella seconda metà del terzo secolo, nella letteratura greca s'introduce non molto appresso con Gregorio Nazianzeno (2), fatto notevolissimo e non abbastanza ponderato da quelli che affermano la quantità in Roma essere stata un prodotto arti

(1) Luciano Mueller, De re metr. etc., pp. 16 e 17. (2) Christ, op. cit., § 438, p. 374.

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