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gate in Class. Rev., vol. cit., p. 37, fondandosi sull'uso di hinc, inde, unde, illinc nel senso di ex con his, iis, quibus, illis, propone di leggere nec deus HINC mensa dea nec dignata cubili est (cfr. la nota preced.). Quanto poi al senso di questo verso, è da citarsi ancora Vincenzo Ussani (Un caso di fusione di due voci in Vergilio. Due luoghi di Vergilio spiegati, Roma, 1895, p. 18 seg.) il quale pensa che il poeta alluda ad una < convivenza terrena », in quanto al bambino miracoloso i fati preparino qui sulla terra medesima e dovuti alla sua natura divina, mensa e talamo divino ».

V. ARGOMENTO. Circa le relazioni intercedenti fra quest'ecloga e la poesia di Teocrito cfr. Paul Jahn, Die Art der Abhängigkeit Vergils von Theokrit und anderen Dichtern. 2. Fortsetzung. Berlin, 1899, pp. 3-9. Del resto sulla leggenda di Dafni prima di Teocrito ed in Teocrito stesso si veda Cartault, op. cit., p. 166 segg., e gli articoli Daphnis, dello Stoll nell' Ausführliches Lex. der gr. und röm. Myth. del Roscher (vol. I, col. 955 segg.), e del Fabricius nella Real-Encyclopädie di Pauly-Wissowa, vol. IV, col. 2141 segg. Qui basti ricordare che la forma più antica della leggenda pare sia quella in cui Dafni è fatto nascere in Sicilia da Hermes e da una ninfa (cfr. il Servio di Daniel e gli Scholia Bern. al v. 20). Amato da una ninfa, cui aveva giurato fedeltà, fu da essa privato della vista, quando seppe che s'era dato alla figlia di un re. Teocrito modificò la leggenda nell'idill. I, anche per ciò che riguarda la morte, sulla quale abbiamo indicazioni

discordanti: ma un'antica leggenda, riferita dal Servio di Daniel al v. cit., ci fa sapere che Dafni, divenuto cieco per l'ira della tradita ninfa, in auxilium patrem Mercurium invocavit: qui eum in caelum eripuit et in eo loco fontem elicuit, qui Daphnis vocatur, apud quem quotannis Siculi sacrificant. Virgilio, a sua volta, con ulteriori trasformazioni, fa di Dafni, in vita, un eroe bacchico e, dopo morte, una divinità rustica. Il Helm (Daphnis bei Theokrit in Philol., vol. LVIII, a. 1899, pp. 111-120) pensa invece che sia stato Euforione di Calcide a portare per il primo la leggenda di Dafni « in die Umgebung des Weingottes, e che Virgilio, avendone conosciuto le opere per mezzo del suo amico Gallo, abbia da lui preso questo cambiamento della leggenda. A quella guisa che in altre anteriori variazioni Dafni era stato trasportato in Frigia, collegandone la leggenda col mito di Ercole, oppure in Arcadia, connettendola col mito di Pane, come nota lo stesso Helm (p. 119 seg.), così nulla vieta che si attribuisca a Virgilio la nuova fisonomia della leggenda quale appare nella Ecl. V. Cfr. anche in generale Legrand, Étude sur

Théocrite, Paris, 1898.

V, 22 seg. Contro l'interpretazione del Wagner che fa di complexa un verbo, congiungendo complexa est... atque vocat, giustamente osserva il Page che il parallelismo di atque... atque è così spiccato, che sembra impossibile fare da uno congiungere due verbi e dall'altro due nomi.

V, 28. Il cod. Palatino dà la lezione ferunt,

e q.

in luogo di feri, e silvae. q. con s eraso fra e Evidentemente in origine vi si leggeva silvas. Di qui due lezioni, cioè montesque ferunt silvasque loquuntur e montesque ferunt silvaeque loquuntur, per tacere della congettura montesque feros silvasque loquuntur, che fu messa avanti dal Markland (a Staz., Silv., II, 5, 13), il quale perciò intende il passo nel modo seguente: Daphni, dicunt leones et feros montes et silvas ingemuisse tuum interitum.

V, 38. Date le lezioni violae del cod. Palatino e violaet del Romano, è lecito congetturare che anche qui, come nel v. prec. e nel v. seg., i due concetti siano congiunti mediante et, e quindi si debba leggere pro molli viola et pro purpurea narcisso.

V, 40. Poichè sulle tombe si spargevano comunemente dei fiori (cfr. Aen., VI, 883 seg.: manibus date lilia plenis, purpureos spargam flores etc.), il Conington, notando pure che pulla è usato nel senso di fiori in Teocr., Idyll., XI, 26; XVIII, 39, interpreta foliis per . fiori ». Credo col Page che l'idea di fiori, sebbene non espressa, non è esclusa dal vocabolo foliis che, con un significato comprensivo, tradurrei per foglie e fiori ».

<

V, 64. In sostanza le rupi e gli alberi van gridando a Menalca sonoramente (sonant) e ripetutamente (di qui il plur. carmina) le parole: noi abbiamo un nuovo dio, un nuovo dio, o Menalca! E Menalca ripete nel suo canto quel ritornello.

Lucretiana

II.

(III, 237-240. II, 719)

(1915)

Dalla Rivista di Filologia e d'Istruzione classica, Vol. XLIII,

anno 1915, pp. 263-277.

E. STAMPINI, Studi di Lett. e Fil. lat.

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