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Questa disputa di lingua tra gli scriventi, e i parlanti non è già questione di dominio, e di proprietà, perchè niuna parte d'Italia in letteratura ha la fastosa prerogativa, che ebbe l'antica Roma in politica, di negare o concedere al resto degl' Italiani il dritto di cittadinanza, e perchè sebbene

L'idioma gentil sonante e puro

sia nato, e allignato sempre in Toscana, non dovrebb'ella aborrire di considerarne partecipi gli abitanti tutti della penisola, di cui ella occupa la parte più bella. Ella è piuttosto una questione, che interessa la preservazione del gusto, e quindi cadono di mano agli scriventi quelle sì spesso maneggiate armi o del sarcasmo per deridere un'autocrazia fiorentina in Italia, o del lamento d'un'esclusione inospitale, e superba, in onta al sacro diritto, che dà la co munanza di patria .

Il Biblico esempio della confusione delle lingue può denotare i pericoli d' un'ardimentosa intrapresa: ma esso marvigliosamente caratteriz za quelli, ai quali anderebbe soggetto il filosofico divisamento d'un'opera nuova, e gigantesca sulle ruine dell' antica, ed esile troppo per rifabbricare, o restaurare gli elementi del quadro della parola. La sorte del gusto in letteratura andò sempre unita a quella delle lingue, che

nel loro crescere vi si distinsero. La storia comprova un tal fatto, e la ragione ha vie, e modi per mostrarne le cause; ma quando pure non avess'ella forze bastanti per rintracciarle, dovrebbe rispettarlo come segreto della natura comprovato dalla osservazione, e dalla esperienza, non essendole lecito, sotto pretesto di stabilir meglio i suoi dritti sopra una lingua, di alterar l'opera della natura, e delle abitudini, rinnuovar l'apologo di Menenio Agrippa, e pretendere, che la mano tolga di trono la lingua nel favellare conciossiachè fin da' tempi di Gellio nella sola parlata lingua sia stato riconosciuto il vanto di esprimere i bisogni del cuore e le commozioni della natura (1).

Se queste deduzioni avessero il carattere di verità, che dovrebbe distinguerle, esse aver pur dovrebbero nello stato attuale de' fatti una convincente riprova; e la Toscana possedendo nella lingua parlata il patrimonio della natura, vantar dovrebbe e poeti e prosatori, ne'quali più la natura che l'arte, più la sicurezza del tatto che la contenzion dello spirito, non di rado all'affettazione soggetta, sentir si farebbero.

La poesia chiuse in Toscana il secolo decimo ottavo con tutta la maestà della pompa, con cui

(1) Noct. Act. lib. 10. cap.

compievasi dagli antichi questa ceremonia solenne. Piguotti, Labindo, e Salomon Fiorenti. no, fedeli agli antichi modelli, pregiabili per la poesia di stile, interessanti sempre, debbono riguardarsi come campioni, e propugnacoli del gusto in Italia. Il nome del Pignotti risveglia la memoria dell'amico suo senator Giulio Mozzi, le di cui poche si ma leggiadre poesie non vogliono esser passate sotto silenzio.

La estemporanea poesia, di cui la natura fè dono alla Italia, e più che ad altri alla Toscana, ed alla lingua parlata, sebben fatta più pe' contemporanei che per la posterità, la quale di nulla è fraudata mentre estemporanei poeti anche per lei nasceranno, può risguardarsi più come un lusso della natura che come produzione di un'arte intenta a perfezionarla. La estemporanea poesia (1) ebbe tra noi in questi ultimi tempi il Giannetti, che vi si mostrò portentoso, e che scrivendo fece talvolta risovvenire del Guidi...

La prosa, che sotto la penna del Redi, del Magalotti, del Cocchi e del Salvini avea lasciato il ceremoniale abito del Trecento senza nulla perdere del suo interesse, e fatta più disinvolta erasi posta più a livello de' bisogni, e de' progressi della umana ragione, si appresentò in tutta la semplicità delle native sue grazie nelle lezioni (1) Corilla mori nel 1800: delle viventi si tace.

sul Decamerone di Monsignor Bottari, che noi possiamo chiamare opera contemporanea perchè in questi ultimi anni per la prima volta stampata. Alla castigatezza, e alla correzione del dire si unì la venustà, e la morbidezza dello stile nelle brevi prose del Pagnini, negli scritti del Canovai, del Sarchiani, di Monsignor Fabroni, e di Giovanni Lessi; nè sapremmo decidere se tornando oggi a scrivere quello Spagnolo, acuto si ma indiscreto sovente, il quale rimproverava alla Italia la povertà della prosa, potess'egli sostener oggi sì fatto rimprovero.

L'uso de' segni naturali nella espressione dell'idee degli oggetti, e delle loro relazioni som. ministrò il vero carattere d'imitazione alle arti, e poichè il legame degli oggetti imitati tra loro fu meramente sentimentale, e le regole grammaticali, e sintattiche, cemento necessario dell' idee nell' uso de' segni arbitrarj, non vi ebbero parte, le arti camminarono verso il loro progresso, e vi giunsero per una via, di cui il gusto fu l'assoluto signore.

Avendo la natura collocato in Grecia il modello delle sue perfezioni ne'delineamenti del volto, e delle forme dell'uomo, non è da meravigliare se presso di quella nazione il bello come scopo dell'arte non fu additato dal gusto soltanto, ma comandato eziandio dalle leggi ci

vili, e politiche. Essa fu l'oggetto della Pittura, della Scultura, e dell' Architettura, e lo fu ancor della Musica nella melodia: attributo, che tanto l'avvicina alla magia dello stile nelle produzioni poetiche. Il bello sembra dover essere il naturale scopo delle produzioni intente a dilettare per la vista come il melodioso di quelle, che dilettano per l'udito. Le circostanze locali, il genio particolar dell'artista, e mille altre cagioni possono prendere con maggiore o minore successo una direzione diversa: ma la estetica dell' arte sembra non potere ammettere scopo, che quello non sia, come principio di perfezione. Due ragioni però cospirano a minacciare si fatto principio: le pretensioni del settentrione, che volle mettersi in paralello cogli antichi e il bisogno di sensazioni forti, che fece nauseare le moderate, e piacevoli.

La istituzione d'un' Accademia di belle Arti in Firenze fu per così dire il centro, in cui la salutare azione del governo riunì, e rese permanenti, e più vivi tanti raggi di genio, che la natura ha sempre fatti spuntare in Toscana per questo genere d'imitazione. Il, Benvenuti si è formato senza maestro, e può dirsi nato da se medesimo. Il suo piccolo quadro della fuga di Enea si manifestò quasi opera prodigiosa in mezzo alla folla de'manieristi, che inondavano la

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