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Da ogni bocca dirompea co' denti
Un peccatore a guisa di maciulla,
Sì che tre ne facea così dolenti.
Inf. C. ult. v. 46.

Quando Dante arrivò in quel fondo Giuda stava in bocca di Lucifero con la metà del corpo, dimenando fuori le gambe, e Cassio e Bruto empievano le altre due bocche. Questo demonio era piantato nel centro della terra, cosicchè le gambe usciano fuori per l'altro emisfero. Volendo i poeti passare in questo gli montarono addos so, e aggrappandosi pel pelo si calarono entro il pozzo, e camminando in mezzo ad una fitta oscurità tornarono dall'altra parte a rivedere il cielo. Alcuni tacciano Dante perchè questo passaggio pel centro della terra è contrario ai principj dell'attrazione, ch'era benissimo nota al poeta, come il dà a divedere alquanti versi dopo. Ma si debbe supporre, che egli ci sia passato per quella stessa grazia speziale, che gli permise che entrasse vivo nell'Inferno; il che non credo che sia niente più naturale.

Qui termina la Cantica dell'Inferno. Dai versi riportati mi lusingo, Miledi, che ne avrete acquistato una bastevole idea. Voi avete ammirato in questo poeta ricchezza d'invenzione, veemenza di fantasia, arditezza e novità di espressioni, vibratezza di dire, e sopra tutto una grande evidenza. I suoi quadri non sono elaborati, nè compiuti con l'ultima finitezza; ma pajono disegnati

alla présta, e solamente i tratti principali e caratteristici vi sono espressi con forza. Siccom'egli ha maniere grandi di concepire, e si spiega con brevità e con precisione, così le frasi e le parole sono energiche, spiritose, gravide di senso, non dicono che quello che è necessario, nè si potrebbe rimuoverle dal loro posto, o sostituirne dell'altre; onde n'avviene che Dante sia uno de' poeti più difficili da essere tradotti nelle lingue straniere. Non si può tuttavia dissimulare che s'egli era fornito di molto genio, non fosse assai mancante di gusto. Di questo se ne debbe principalmente incolpare l'età in cui viveva. Il genio lo dispensa la natura in tutti i tempi, ma il gusto non si forma che in secoli colti, e per via del confronto, della discussione, dell'analisi ragionata delle varie produzioni dello spirito, e si raffina con la esperienza. È difficile che uno scrittore possa vantare molta delicatezza in tempi rozzi ed inurbani. Egli rappresenta la natura quale gli si offerisce dinanzi : gli oggetti non fanno su di lui l'impressione medesima che fanno su noi altri, onde non risguarda come bassi ed ignobili quelli che come tali furono considerati dappoi. Vedete come Omero nato in secoli incolti non può farsi ammirare abbastanza per la raffinatezza del gusto, come seppe sollevarsi sopra tutti i poeti con la forza e la sublimità del suo genio.

Non crediate contuttociò, Miledi, che io voglia attribuire solamente alla indole de' tempi il

poco buon gusto di Dante, poichè vi ha molta parte la propria sua stravaganza. Da questa si debbono credere originati tanti vocaboli ruvidi e oscuri introdotti senza necessità, lo strano mescuglio di voci e di frasi latine, le allusioni troppo vili e buffonesche, e finalmente la bizzarria del piano del suo poema. E veramente faceta sì, ma espressiva mi sembra l'allegoria di quel pittore, che volendo su un quadro dare idea del carattere di Petrarca e di Dante, finse questo poeta sul colle d'Elicona in un verde prato, pel quale menava a cerchio una gran falce, mietendo ogni erba, mentre il Petrarca iva scegliendo le più nobili, e cogliea i fior più gentili.

Voglio credere che adesso avrete appagata da per voi la curiosità che avevate di sapere se Milton nel comporre il Paradiso perduto abbia cavato nessuna finzione dalla divina Commedia. Da' passi che ho citati della Cantica dell'Inferno avrete potuto riconoscere varj tratti imitati dal vostro poeta. Di tale natura sono il lago agghiacciato dell' Inferno, la grandine che flagella i demonj, Medusa che gli spaventa col suo ceffo, il mostro con busto umano e coda di serpente ornata di una punta velenosa, Satanasso con le ali grandi come due vele di nave; tutte immagini che Milton trasse da Dante. Di questo però non vi dovete maravigliare, poichè il genio del poeta inglese si affaceva moltissimo con quello dell'italiano. Si dilettò anch' egli come Dante, e forse più di lui, d'innestare nel suo poema no

tizie di astronomia, di mitologia, di storia, e lunghe dispute sulla teologia, dove andò più in là di Dante medesimo, poichè fa parlare fino i demonj sulla providenza, sulla prescienza, sul fato, sul libero arbitrio. Nella stranezza poi delle immagini non la cede certo al nostro poeta; nė quando rappresenta lo scudo di Satanasso più grande della luna piena guardata col telescopio; nè quando trasforma i diavoli in pigmei per farli capire tutti nella sala concistoriale del Pandemonion; nè allorchè introduce Satana nel Paradiso terrestre prima sotto la figura di un corvo, poi di un rospo; nè finalmente quando descrive la battaglia degli angeli e de' demonj, e che costoro inventano le bombe e i cannoni per isbaragliare gli spiriti celesti, che accorrono alla difesa con delle rupi e delle montagne, e le gettano in testa ai diavoli con tutti i fiumi, i boschi, e le nevi che vi sono sopra. Battaglia veramente singolare e bizzarra, poichè niuno avrebbe pensato di vedere gli angeli combattere alla foggia de' giganti della mitologia; nè si avrebbe immaginato mai frate Schwartz, che il diavolo gli venisse a togliere la gloria dell'invenzione della polvere.

f

Io ho differito fino all'ultima lettera che vi ho scritto, di soddisfare alla vostra curiosità su quanto desideravate di sapere in riguardo a Milton e a Dante. Vi chiedo scusa, Miledi, se con maggiore prontezza non ho appagato il vostro desiderio; e, per confessarvi il vero, non l'ho fatto senza qualche malizia. Io ho voluto in questa maniera allungare il carteggio, e procurarmi il piacere di vedere più spesso i vostri caratteri, e l'onore di presentarvi i miei. Adesso poi vi scrivo con maggiore coraggio, giacchè nell'ultimo vostro foglio siete stata così gentile di farmi credere che le mie lettere non vi sieno affatto spiaciute, e m' invitate a seguitare questa poetica corrispondenza.

Se voi parlate con alcuni che si hanno poco dilettato di leggere Dante, la corrispondenza dovrebbe ben tosto essere terminata dopo avervi reso conto della Cantica dell'Inferno. Corre opinione che qualora uno abbia letto questa parte della divina Commedia, senza perdere molto si possa dispensare di proseguir la lettura del restante del Poema. Io spero di farvi vedere, che questo giudizio non è assai giusto, nè assai ragionevole. È vero che Dante nella Cantica se

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