Page images
PDF
EPUB

buoni. Vedete in qual maniera Tibullo rappresenta l'Inferno, ch'è ben differente da quello che annunziano i nostri Predicatori. Vi parla al solito di Cerbero, d'Issione, di Tizio, poi vi descrive le pianure degli Elisi, dove i morti si trattengono in canti e in balli. Queste pianure sono sparse qua e là di boschetti di acacia dove si sentono gorgheggiare gli augelletti, e tutto all'intorno sorgono odorosi cespi di rose. Folte schiere di giovani e di donzelle con le chiome coronate di mirto scherzano e folleggiano per que' prati; e benchè sciolti da ogni qualità umana non sono già insensibili agli stimoli dell'amore, che stende il suo impero anche nella regione de' morti. Così gli antichi più voluttuosi di noi altri, e che godevano più allegramente i piaceri della vita presente, non voleano troppo conturbarsi con le immagini funeste della futura, è pare che mettessero gli Elisi presso al Tartaro, per render, in certo modo, meno tetro l'orrido di quel soggiorno.

Ma mentre Dante e Virgilio sono spettatori di scene così terribili presso di Dite, videro inoltrarsi uno, che venia su per l'acqua a piante asciutte, dinanzi a cui fuggivano a precipizio gli spiriti dannati. Egli non mostrava noja di niente altro, che di quell'aere crasso, che si rimovea dal viso, menando innanzi la mano. Questi era un Angelo, che calò dal Cielo per aprire a Virgilio la porta, che gli fu chiusa in faccia dai demonj. Pieno di stizza die' d'un colpo di

bastone nell'uscio e lo spalancò, si fermò sulla soglia, e con gran collera minacciò que' diavoli, perchè trattarono Virgilio così villanamente, e s'opposero al voler del Cielo.

Poi si rivolse per la strada lorda,

E non fe' motto a noi, ma fe' sembiante D'uomo cui altra cura stringa e morda, Che quella di colui che gli è davante. Inf. IX. 100.

Mostra con ciò il poeta che l'Angelo, il quale non avea ancora gli spiriti in calma pel gran rabuffo che diede a' demonj, non badava a chi lo seguiva. Questo è uno di que' tratti fini, che Dante era sopra tutto eccellente nel saper cogliere. Non vi è circostanza, oggetto, o azione per minuta e rara che sia ch'egli non rappresenti con somma facilità e con vivezza. In questo consiste la grande abilità de' poeti; poichè non v'è nessun merito mettere in vista quello che risalta agli occhi di tutti.

Seguitando Dante il suo cammino entrò nella città infernale e mosse intorno gli occhi, curioso di vedere che cosa v'era là entro. Vide prima di tutto una pianura assai vasta, sparsa tutta quanta di sepolture che buttavano fuoco. I coperchi erano sospesi, e di là usciano i lamenti di coloro che si cuoceano in quelle fosse, ch'erano gli eresiarchi. Dante camminava ragionando con Virgilio, quando da uno de' sepolcri

uscì una voce che gridò: Olà, Tosco; tu che vai vivo per la città del foco, fermati. Olà.

Subitamente questo suono uscio

D'una dell'arche; però m'accostai, Temendo, un poco più al Duca mio. Ed ei mi disse: Volgiti, che fai?

Vedi là Farinata che s'è ritto:

Dalla cintola in su tutto il vedrai. Io avea già il mio viso nel suo fitto: Ed ei s'ergea col petto e con la fronte, Come avesse l'Inferno in gran dispitto: E le animose man del Duca e pronte, Mi spinser tra le sepolture a lui, Dicendo: Le parole tue sien conte. Tosto che al piè della sua tomba fui, Guardommi un poco, e poi quasi sdegnoso Mi dimandò: Chi fur li maggior tui? Io ch'era d'ubbidir desideroso,

Non gliel celai, ma tutto gliele apersi: Ond'ei levò le ciglia un poco in soso. E disse: Fieramente furo avversi

A me, ed a' miei primi, ed a mia parte, Sì che per due fiate gli dispersi. S'ei fur cacciati, ei tornar d'ogni parte (Risposi a lui) e l'una e l'altra fiata:

Ma i vostri non appreser ben quell'arte (1). Allor surse alla vista scoperchiata (2)

(1) Cioè, l'arte di tornare.

(2) Alla vista aperta, cioè fuori del coperchio del sepolcro.

Un'ombra, lungo questa infino al mento: Credo che s'era inginocchion levata. D'intorno mi guardò, come talento

Avesse di veder s'altri era meco:

Ma poi che il suspicar fu tutto spento,
Piangendo disse: Se per questo cieco
Carcere vai per altezza d'ingegno,
Mio figlio ov'è, e perchè non è teco?
Inf. X. 28.

Farinata degli Uberti, chiamato dal Denina il Camillo de' Fiorentini, e Cavalcante de' Cavalcanti sono coloro qui descritti. Farinata in questo dialogo (che continua per più altri versi che io non cito) conserva tutta la fierezza del suo carattere. Il discorso versa sulle risse civili che passarono tra la famiglia di lui, e quella di Dante. I maggiori di questo poeta, anzi egli medesimo prima che fosse sbandito di Firenze, erano del partito Guelfo, e Farinata all'incontro del Ghibellino. Quest'ultimo partito come più potente cacciò l'altro; ma i Guelfi essendo ritornati dopo qualche tempo si rivendicarono nello stesso modo, ed espulsero i Ghibellini. Essi si trovavano ancora raminghi al tempo di Dante; ond'egli rimprovera qui a Farinata, che i suoi non appresero bene l'arte di far ritorno essendo scacciati. L'altro sepolto, è Cavalcante de' Cavalcanti, che era nel fuoco con Farinata per essere stato, come spiegano i comentatori, di sentimento Epicureo. Il figlio di lui, di cui chiede

gliato di vederlo in quel luogo, perchè l' avea lasciato pur dianzi vivo e sano nel mondo. Fu poi informato, come finge, ch' era gran tempo che ser Branca d'Oria era morto, ma che si credeva ancora vivo, perchè, subito spirato, un diavolo andò a mettersi nel suo corpo, e prese le sembianze di lui. Quale Dante si mostra ne' suoi scritti, tal era eziandio nel suo contegno di vita, e quando gli venia a taglio di mordere altrui con qualche pronta risposta, non la perdonava a Signori, nè a Principi. Si narra di lui che in quel tempo che si trovava alla Corte di Can di Scala, venne alla presenza di questo Signore un buffone, che lo facea molto ridere con le sue piacevolezze; onde Can chiese a Dante come poteva essere, che colui pazzo com'era sapesse farsi tanto amare, e ch'egli non potesse riuscirvi con tutta la sua sapienza. Non vi maravigliate, rispose Dante, s'egli vi dà sollazzo: la somiglianza di carattere forma gli amici.

Partito Dante dal sesto cerchio calò nel settimo, e scendendo per quelle pietre che spesso si moveano sotto a'suoi piedi per lo nuovo carco arrivò ad una gran fossa piena di sangue bollente, in cui erano immersi i violenti. Su per le rive andava in volta una frotta di Centauri co' dardi incoccati per saettare coloro che tentassero uscire del lago. L' Ariosto ebbe in mira questo passo, quando descrisse Orlando, che schiacciò i ladroni della grotta di Gabrina, e li

« PreviousContinue »